Film

L’ultima follia di Mel Brooks: film muti, metacinema e grassissime risate

Gli italiani sono i maestri indiscussi della supercazzola – l’hanno praticamente inventata loro. C’è però qualcuno oltreoceano che ha saputo fare del cazzeggio intelligente il suo mantra, la sua ragione di vita, il suo biglietto da visita: preparate i pop corn, perché sta per entrare in scena Mel Brooks. Dopo gli esordi con il fulminante Per favore, non toccate le vecchiette, l’immortale Frankenstein Junior e i primi sfottò al classico western con Mezzogiorno e mezzo di fuoco, nel remoto 1976 – ma il film è così divertente e autoironico che sembra girato l’altro ieri – ecco che il nostro crea un altro capolavoro di comicità: Silent Movie, in italiano malamente tradotto con L’ultima follia di Mel Brooks.

Se volessimo tirarcela useremmo immediatamente la parola metacinema; ma Mel Brooks punta soprattutto a ridere e far ridere, e del resto è talmente bravo da non aver bisogno di sentirselo ripetere dai critici; limitiamoci quindi a dire che L’ultima follia di Mel Brooks fa sbellicare, e che riesce a prendere in giro colleghi passati e presenti come pochi altri. Sullo schermo troviamo Mel Brooks in persona nei panni di Mel Funn, sceneggiatore sul viale del tramonto un po’ troppo attaccato alla bottiglia. E poteva forse mancare lui, la maschera per eccellenza, Marty Feldman, a fargli da compare? I due, con l’aiuto di un amico (Dom DeLuise), tentano di convincere il capo dei Big Picture Studios (Sid Caesar) che Hollywood ha assolutamente bisogno di un nuovo film muto. Siamo negli Anni Settanta, quindi comprensibilmente il poveretto nicchia, nicchia, nicchia ancora e poi cede, ma a patto che nel film compaiano tutti i più grandi attori del momento.

Ah, qualora non lo aveste ancora capito: L’ultima follia di Mel Brooks è esso stesso un film muto. Metacinema, ricordate? E dei film muti degli Anni Venti riprende tutte le gag, le esaspera e le rimoderna: per dirlo in tre parole, slapstick in technicolor. Il trio di sceneggiatori scalcagnati saltella, scivola, balla, tenta con scarso successo di sedurre infermiere e passanti, si sofferma sui negozi all’ultima moda; di contro, i cattivi ringhiano fino a sbavare come cani, si vestono con abiti inamidati, sembrano una caricatura del capitalista malvagio.

Già, perché un film non è un film senza cattivi: che in questo caso portano il significativo nome di Engulf & Devour, sono una sorta di banca di investimenti, e farebbero carte false pur acquisire la Big Picture Studios e bloccare il lavoro di Mel, fino ad arruolare la bella Vilma Kaplan (Bernadette Peters) per sedurlo. Ma si sa, al cuor non si comanda. Piccola chicca: lo slogan che campeggia sull’insegna dei cattivi è “our hands are in everything”. Altra piccola chicca: i lussuosissimi bagni dei loro uffici sono ricoperti di scritte che manco alle medie di Quarto Oggiaro. Solo che in questo caso suonano come “fuck poverty”.

E non finisce qui: perché se supercazzola deve essere, allora che lo sia fino in fondo. Mel deve reclutare i migliori attori sulla piazza, dicevamo; ebbene, nell’ordine compaiono Burt Reynolds, James Caan, Liza Minnelli, Anne Bancroft, Marcel Marceau – indovinate chi pronuncerà l’unica parola di tutto il film? – e Paul Newman, tutti nei panni di sé stessi. Praticamente l’equivalente di una gita di classe, solo con facce significativamente più belle, e con Mel Brooks nel ruolo di quello che nasconde le birre nello zaino. Così, oltre all’invidia per quanto sono affascinanti, ricchi e famosi, ora possiamo anche immaginarci quanto si saranno divertiti.

Già, perché quando si pensa a un film muto ci si immaginano cose in bianco e nero, occhi bistrati e un sottile velo di noia: ci voleva L’ultima follia di Mel Brooks per ricordarci quanto può essere liberatorio scivolare su una buccia di banana.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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