Film

Macchine mortali: cosa è andato storto?

Io ci credevo in Macchine mortali, ci credevo così tanto che alla vista del primo trailer ricordo di aver emesso un singulto ben poco virile. Tutta questa esaltazione dipendeva da ben precisi fattori: finalmente un film steampunk (sottogenere di cui amo alla follia l’immaginario), scritto e prodotto da Peter Jackson (sono riuscito a trovare un perché persino nell’odiato Lo Hobbit, e questo dovrebbe farvi capire quanto sono poco obiettivo nel giudicare l’opera di questo panciuto cineasta neozelandese), e che si prometteva come uno young adult coi controcohones. Peccato che quando mi sono messo a vedere il film, mi stavo letteralmente sciogliendo come Quentin Tarantino in Planet Terror. Ma andiamo con ordine.

Macchine mortali è tratto dal primo romanzo di una saga di quattro libri scritta da Philip Reeve che ha riscosso un buon successo in America. La trama potrebbe da sola coprire un’intera trilogia: il mondo è andato distrutto durante un conflitto noto come la Guerra dei Sessanta Minuti. L’umanità si è adattata a vivere “a bordo” di enormi città in movimento che vagano per i continenti, cannibalizzando le città più piccole. Londra è la più potente tra le “città trazioniste” e qui vive l’umile Tom Natsworthy (Robert Sheehan), un ragazzo che viene coinvolto in un’avventura più grande di lui dall’intraprendente fuorilegge Hester Shaw (Hera Hilmar). Sulle loro tracce si metterà ben presto Elrond Thaddeus Valentine (Hugo Weaving), l’ambizioso e meschino personaggio che, purtroppo, copre la carica di personalità più influente della società londinese. Riusciranno i nostri due eroi a porre fine al regime di terrore di Londra?

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Macchine mortali rientra perfettamente nella categoria dei film ipertrofici che ti danno solo il nervoso per quante cose vogliano essere senza riuscire ad approfondire anche solo UNA delle loro singole parti. Questa pellicola in particolare vuole essere l’ennesimo racconto di formazione, di viaggio, di redenzione, persino di guerra, ma finisce solo con il farsi sfuggire di mano qualsiasi aspirazione di eccellenza, soffocata dal peso ingombrante di tante (troppe) ambizioni. Le due ore di durata sono imbottite di talmente tanta roba a livello di eventi e personaggi che dopo un po’ diventa pure faticoso rimanere concetrati sulla visione. E qui, bisogna dirlo, è in primis colpa proprio di Peter Jackson.

Come detto, qui il buon PJ si limita a metterci i soldini e a scrivere la sceneggiatura. Il libro non l’ho letto, quindi non mi metterò a fare paragoni tra ciò che si legge e ciò che si vede sullo schermo. E allora, soffermandoci solo su ciò che si vede, qual è il risultato della condensazione in a malapena due ore di una trama così pregna? Un noioso film privo di ritmo, che pur muovendosi ordinatamente e senza confusione tra l’infinità di location e storylines, priva i tanti personaggi di carisma e di un arco evolutivo degno di questo nome, tratteggiando i loro caratteri e i loro percorsi per blocchi meccanici e a volte troppo bruschi. Non ci si affeziona mai davvero a nessuno dei protagonisti, e la recitazione spesso mediocre del cast (Weaving, che nei panni del villain ci ha abituati a ben altro, compreso) non aiuta certo la fruizione.

Purtroppo nemmeno il buon Christian Rivers, il regista del film, può salvare la baracca. Questo povero Cristo formatosi nella seconda unità di Jackson, tra Il Signore degli Anelli e King Kong, non elargisce il giusto tono epico che alla vicenda avrebbe sicuramente giovato, preferendo affidarsi specialmente agli effetti speciali della Weta (quelli sì davvero eccezionali) per la costruzione delle scene visivamente più potenti; la sua regia non ha guizzi, e fa troppo il verso (senza raggiugerne, inevitabilmente, i livelli) al George Miller di Mad Max.

In definitiva, Macchine mortali è un film sacrificato sull’altare della Dea Mediocrità, l’inizio spento e poco convinto di una saga di cui non vedremo mai sviluppo e conclusione, visto l’insuccesso di botteghino. E le carte in regola per un film duro e cazzuto c’erano veramente tutte.

Per i fan dello steampunk più puro forse è opportuno attendere la prossima occasione.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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