Una decina di anni fa la Gialappa’s Band aveva uno slot fisso in prima serata. Erano tempi in cui la TV italiana era ancora capace di far ridere. Come da prassi per il trio, il programma si chiamava Mai dire (domenica, lunedì o martedì, a seconda del giorno di messa in onda) e proponeva un sacco di personaggi e rubriche fantastiche. Tra queste ultime, ebbe particolare fortuna una serie di filmati demenziali che scimmiottavano i trailer cinematografici. Dietro a queste esilaranti perle comiche che la Gialappa’s rese popolari si celava il genio di Marcello Macchia, attore e regista abruzzese più noto con il nome d’arte di Maccio Capatonda.
Perché i finti trailer di Maccio funzionano così bene? Per capirlo, secondo me, dobbiamo prima di tutto concentrarci su due caratteristiche dei trailer reali: dovrebbero servire semplicemente a pubblicizzare un film ma a volte si fanno spesso prendere un po’ troppo la mano, rasentando pericolosamente lo spoiler selvaggio. Inoltre, quasi sempre, viene utilizzato il climax, con una voce narrante che evidenzia con sempre maggiore enfasi i punti più appetibili della sinossi, fino a giungere alla pomposa rivelazione finale del titolo.
Ecco, nelle sue parodie Maccio porta all’estremo queste caratteristiche, riuscendo a dare vita a veri e propri cortometraggi perfettamente compiuti che riescono a tenere lo spettatore sulle spine, in attesa del colpo di scena finale. Un “colpo di scena” comico, perché – come sappiamo – questi trailer sono parodie. Il regista riesce a farci ridere con espedienti che di per sé potrebbero facilmente risultare infantili e stucchevoli: una sgrammaticatura, una storpiatura del nome di un noto regista, l’invenzione di improbabili sedicenti attori. Tuttavia, questi elementi sono piazzati come pezzi di un puzzle all’interno del trailer, giocando alla perfezione con i tempi, con i contrasti tra quello che viene detto e quello che viene mostrato e tra l’aspettativa dello spettatore e la realtà. Si spinge forte sull’acceleratore alla ricerca costante del paradosso, con alcune situazioni al limite del nonsense. Il risultato è un mondo senza regole dove vale tutto e il contrario di tutto, dove si stravolgono i canoni dei più diversi generi cinematografici e dove persino una frase banale può assurgere al rango di cult assoluto.
In due dei trailer più recenti (Italiano Medio e La terra dei Morti Contribuenti) – ormai interrotta la collaborazione con la Gialappa’s e raggiunta la notorietà – Maccio prova a inserire timidamente alcune tematiche politico-sociali.
Nel 2015, dall’idea base di uno di questi trailer, nasce il suo primo lungometraggio, intitolato per l’appunto Italiano medio. Il protagonista Giulio Verme è un uomo apparentemente informato e consapevole, finché un suo amico gli propone una pillola in grado di fargli utilizzare solo il 2% del cervello. Giulio, sotto l’effetto di questa stravagante droga, si trasforma in un rozzo cafone. Da questa esilissima sinossi si sviluppa una commediaccia degna dei peggiori cinepanettoni, roba da farmi rimpiangere ancora oggi quegli 8 euro di cinema. Cosa è successo, dunque, al nostro Maccio? Niente, credo. Semplicemente, il mondo apparentemente senza regola dei trailer qualche regola – in realtà- ce l’ha. Da un lato, la comicità paradossale di cui parlavo non va imbrigliata all’interno di una trama che, volenti o nolenti, deve avere un minimo di coerenza interna. Dall’altro lato Maccio è stato comunque costretto ad imbastirne una, altrimenti è quasi impossibile mettere in piedi un film di un paio d’ore. Questa contraddizione ha prodotto una commedia stucchevole, incompiuta, piatta, portatrice di un messaggio ambiguo (non si capisce bene quale sia il modello positivo secondo Italiano medio. A mio parere, Giulio Verme è un italiano medio in tutte le “versioni” proposte).
Non so se Maccio ripeterà mai l’esperienza al cinema. Il suo film ha incassato piuttosto bene e ha ricevuto diverse recensioni positive scritte da gente ben più qualificata di me. La possibilità, quindi, non è neppure così remota. Il mio augurio personale, però, è che lasci perdere. Perché i suoi giochi di parole e le sue trovate completamente fuori di testa funzionano meglio in un contesto tendenzialmente breve, estemporaneo, slegato da stringenti necessità di sceneggiatura.
Chiudo segnalandovi alcuni lavori di Maccio, a metà strada tra il trailer ed il film. Si tratta di tre serie tv. La più popolare (ma a mio parere la meno riuscita) è Mario. Molto più degne di nota sono Drammi medicali e Intralci. La prima, nata per il web, segue le strampalate vicende di un ospedale italiano. Con la partecipazione di Elio (!).
La seconda era andata in onda anni fa sulla defunta AllMusic, ma oggi dovrebbe trovarsi facilmente su internet. Parodia delle soap-opera sudamericane, Intralci è il punto d’incontro ideale tra il trailer e l’opera più strutturata e coerente, la dimostrazione che il compromesso tra la presenza di una trama vera e propria e la pazzia totale di Maccio Capatonda è forse possibile. Guardatelo, se volete, perché è il suo lavoro più sottovalutato. E chissà, Italiano medio potrebbe essere stato solo un incidente di percorso.