
Malignant: James Wan, lo slasher e un parto gemellare finito male
Dopo aver diretto un paio di blockbusteroni – quali Fast and Furious 7 e Aquaman – James Wan ha deciso di guardare indietro alle origini della sua carriera e tornare a un horror più personale, più viscerale. Ne è uscito Malignant, possibilmente il suo film più folle e libero in una carriera costellata di follie: stiamo pur sempre parlando dell’autore di Saw e Dead Silence.
In Malignant c’è tutto James Wan.

Proprio per questo motivo credo sia utile analizzare questa nuova produzione del malese naturalizzato australiano ripercorrendo la sua filmografia, isolando quegli elementi che, film dopo film, sono travasati in Malignant.
Quindi dai: partiamo, che tanto sono pochi.
VI AVVISO CHE CI SARANNO DEGLI SPOILERINI QUA E LÀ
Saw
L’elemento cardine di Saw, al di là di ciò che lo ha reso un fenomeno planetario, era il dilemma etico-morale che le situazioni presentate nel film ponevano allo spettatore e ai protagonisti stessi della pellicola. In breve. Seppur con un sadismo che farebbe impallidire colui che ha fornito l’etimologia di questa parola – il Marchese de Sade – il personaggio dell’Enigmista cerca di riportare le sue vittime in una condizione più “pura”. Lo scopo, in pratica, è quello di risvegliare i malcapitati dal torpore che li avvolge per far loro riscoprire il valore della vita umana.
È questo il dilemma etico che Saw ci propone. L’intento certamente nobile dell’Enigmista giustifica la violenza messa in atto per raggiungerlo? E soprattutto: la condizione raggiunta dai superstiti dei giochi di Jigsaw si può definire libera? Sulla carta la scelta che viene posta in Saw è quella tra vivere e morire, ma all’atto pratico la questione si pone su un piano diverso. Sostanzialmente la domanda diventa “cosa significa essere libero?”.
Malignant va a scavare in Saw e ne recupera questo tema, declinandolo nell’attualità.
Come dichiarato da Wan stesso il fatto che la protagonista del film sia una donna è cruciale, per un semplice motivo. Madison non è una donna libera, sotto molteplici punti di vista. Non lo è a causa del marito violento; non lo è per i continui aborti spontanei; non lo è in quanto non riesce a determinare la propria identità; non lo è perché contiene letteralmente in sé un’altra coscienza che, spesso e volentieri, prende il sopravvento su di lei.
Qui Malignant rivela la sua componente femminista e si configura, sotto questo aspetto, come il percorso di una donna alla ricerca della sua identità, tema di assoluta rilevanza ad oggi.
Questo percorso, tuttavia, è leggibile da due direzioni. Siccome dentro Madison albergano effettivamente due persone, lei e il suo fratello “maligno” Gabriel, il film diventa allora anche il viaggio di Gabriel, a sua volta alla ricerca di un’identità sempre negata.
Specularmente i due fratelli vivono la stessa condizione. Madison è incompleta – e vista come tale dalla società – in quanto ancora incapace di autodeterminarsi e con l’aggravante dell’impossibilità di procreare, stereotipicamente il ruolo primario della donna. Il suo riscatto avverrà liberandosi del fratello e trovando la propria identità lontana dal ruolo previsto dalla società per lei in quanto donna. Madison diviene libera pur senza procreare; anzi, proprio per questo.
Anche Gabriel è incompleto, in un senso fortemente corporeo. Egli è il risultato di un teratoma, ovvero un tumore che si verifica durante la gravidanza. Per farvela semplice questo tumore si comporta come una cellula embrionale che, seguendo le istruzioni del DNA, dà vita a una persona all’interno di un’altra persona, come un ammasso vivente a tutti gli effetti contenuto dentro un essere vivente. Un alien, in pratica.
Quindi il malignant del titolo è anche il tumore.

Anche Gabriel allora vorrà – e in un certo senso dovrà – autodeterminarsi. Il suo ruolo è simile a quello dell’Enigmista. Anche qui abbiamo un personaggio che, mosso da un intento rispettabilissimo e anzi ampiamente condivisibile, utilizza la violenza sfrenata per portarlo a termine. La voglia stessa di vendetta che Gabriel prova nei confronti di coloro che hanno cercato di estirparlo sin dalla sua nascita è fondamentale nel suo percorso di affermazione di sé. Per determinarsi come individuo Gabriel deve eliminare coloro che gli hanno impedito di diventarlo.
E quindi il dilemma etico si ripropone. Gabriel metaforicamente, ma anche biologicamente, diventa l’emblema del reietto, dell’escluso, del non voluto che, in quanto tale, rivendica la propria identità. Purtroppo però il suo è un obiettivo irraggiungibile. Dal punto di vista biologico la sua sopravvivenza significherebbe la morte dell’ospite, ovvero sua sorella, e di conseguenza anche la sua. Dal punto di vista metaforico la sua emancipazione sarebbe illegittima, in quanto avverrebbe a danno di altri. Egli è quindi un personaggio tragico: porta un fardello di cui per definizione non può liberarsi, il che lo condanna dal principio.
Qui Gabriel si ricongiunge all’Enigmista. Entrambi, infatti, portano un fardello di cui non possono liberarsi (uno ha un tumore, l’altro è un tumore); entrambi non rinunciano alla vita attraverso mezzi brutali; entrambi tentano di raggiungere la libertà, ma nel farlo privano gli altri di quest’ultima. Libertà è partecipazione.
Dead Silence e Death Sentence
Da Saw Malignant riprende anche l’elemento della bambola-marionetta, anche se è un po’ difficile dire esattamente da quale film viene ripreso quest’elemento, perché James Wan è fissato con le bambole. Per quanto concerne Malignant, forse è più azzeccato il ruolo che la marionetta ha in Dead Silence.
Nel secondo film di Wan la peculiarità della marionetta sta nel fatto che diventa un veicolo del male. Lo spirito della ventriloqua continua a esprimersi anche dopo la sua morte per mezzo delle bambole che lei utilizzava in vita per i suoi spettacoli. In sostanza la presenza della bambola è inscindibile da quella dello spirito della ventriloqua.
Allo stesso modo in Malignant la presenza di Madison è inscindibile da quella di Gabriel, dato che quest’ultimo alberga in lei. L’obiezione è che qui però di marionette non ce ne sono. Vero. Ma.
Seppur fisicamente in Malignant non sia presente nessuna marionetta, è allo stesso modo vero che Madison, quando perde il controllo di sé lasciando il posto a Gabriel, viene effettivamente utilizzata come una marionetta dal suo ospite indesiderato. Gabriel letteralmente muove Madison, utilizza il suo corpo per compiere le sue azioni. Ma non solo. Le movenze stesse di Gabriel richiamano i movimenti legnosi e innaturali della marionetta. Quindi per Malignant James Wan non rinuncia alle marionette, ma anzi le rende carne.
Da Dead Silence Wan riprende anche il tema della genealogia familiare. In questo film il protagonista è condannato a essere perseguitato dallo spirito della ventriloqua, che vuole la sua morte, in quanto egli è un discendente della famiglia che la uccise.
Malignant riprende questo tema costringendo Madison e Gabriel in un legame simbiotico, che nessuno dei due vuole, esattamente come in Dead Silence il protagonista rinnegava la sua famiglia e in particolare suo padre. Ma non solo. In questo nuovo film Wan insiste più volte sul tema della famiglia, in quanto, si scoprirà, Madison è adottata e crede morta la madre biologica, che invece poi si rivelerà viva.
Da Death Sentence, invece, Malignant ricava la struttura a thriller, con tanto di indagine della polizia e meccanismo a indizi che si rivelano progressivamente. Ma in Death Sentence c’è anche un punto che lo unisce sia a Saw che proprio a Malignant.
Kevin Bacon in Death Sentence, nell’impeto della vendetta, si trasforma in una sorta di giustiziere senza scrupoli, un po’ come Gerald Butler in Giustizia privata. Ma anche un po’ come Jigsaw. In tutti e tre i casi la struttura è la medesima: un evento scatenante porta i protagonisti a ignorare la legge e i codici morali precostituiti per perseguire la loro personalissima visione dell’etica. Certo, l’Enigmista sulla carta lascia possibilità di scelta alle sue vittime, scelta che però come abbiamo visto sopra è in buona parte una scelta obbligata e dunque non libera. L’esito è il medesimo in tutti e tre i film: la giustizia viene amministrata da singoli individui in modo del tutto arbitrario.
Insidious e The conjuring
Questi sono i due film – le due saghe – da cui Wan prende meno, perché sono quelle da cui si vuole allontanare di più, ma di questo parleremo dopo. Comunque alcuni elementi di Insidious e di The conjuring sono fondamentali in Malignant.
Il primo è, ovviamente, la possessione demoniaca. In varie interviste Wan ha dichiarato di non voler essere visto come il regista che fa i film sulle possessioni, pur avendo dato vita a due delle saghe – e relativi spin-off – più longeve e in voga in tal senso.
Allora in Malignant il regista gioca con questo elemento attraverso meccanismi di continuo spiazzamento nei confronti dello spettatore.
Gabriel inizialmente sembra effettivamente essere un demone, in tutto e per tutto simile alle figure mostruose che vediamo apparire in Insidious e The conjuring. Lo spiazzamento sta nel fatto che poi Gabriel si rivela essere una persona vera e dunque un assassino – ricollegandosi, come dicevo prima a Death Sentence. Wan però si diverte e per buona metà di film ci presenta Gabriel con tutti i codici stilistici con cui di solito presenta i demoni.
C’è poi in Malignant quella che più che un riferimento è una citazione, ovvero la scena di ipnosi, che rimanda palesemente a Insidious e alla sensitiva Elise. Ma non solo. Le scene in cui Madison vive gli omicidi di Gabriel sono presentate visivamente attraverso un effetto che sembra sciogliere l’ambiente in cui Madison si trova per immergerla in quello in cui Gabriel sta agendo. Per quanto sia solo un accenno, questa realtà che si altera richiama per certi versi l’Oltre di Insidious, a sua volta specchio della realtà.
In generale ciò che sorprende in Malignant è la volontà di Wan di allontanarsi da tutto ciò che ha reso famose le due saghe: il sovrannaturale e il jump scare. Il sovrannaturale è risolto, senza soluzione di continuità, in una matrice del tutto realistica, che utilizza i topoi dell’horror ma in chiave opposta. Il jump scare, invece, seppur da sempre usato da Wan con grande sapienza e intelligenza, è ‘stavolta del tutto negato. E meno male, per una volta.
Malignant
Per il resto non devo star qui a dirvi che James Wan è un maestro dell’horror contemporaneo. Ciò che mi sorprende ogni volta dei suoi film è l’inventiva nel creare nuovi modi per incutere paura e terrore. Ad esempio uno stilema tipico del regista – e per il quale è stato accostato a Robert Altman – è l’utilizzo dello zoom, funzionalissimo nell’utilizzo a infondere timore.
In Malignant Wan si inventa una soluzione che su due piedi è impensabile per girare una scena ansiogena: la gira dall’alto, plongée. L’utilizzo standard degli stilemi horror sconsiglierebbe una ripresa del genere. Di solito per far paura, per sorprendere, per mostrare senza mostrare, si ricorre a inquadrature strette, ravvicinate, che nascondono il visibile per renderlo inquietante. Wan invece apre lo spazio e lo rappresenta attraverso un falso piano sequenza plongée che spiazza lo spettatore e per questo lo inquieta ancora di più.
E poi la gestione delle luci e, soprattutto, delle ombre, la costruzione delle scene in funzione di un jump scare che poi viene negato, la grande abilità acquisita lavorando nei blockbuster nel girare sequenze d’azione piuttosto elaborate, l’ottimo lavoro fatto sul look visivo di Gabriel, che richiama il body horror cronenberghiano. Insomma, tutto quello che farebbe un maestro.
E infine, un’ultima cosa. Malignant riplasma lo slasher. Non alla maniera di Fear Street, però. Sostanzialmente Malignant fa finta di essere uno slasher senza esserlo realmente. La struttura è quella: c’è un assassino che, da ruolo, uccide la gente. Ma non è Non aprite quella porta o Halloween. Qui l’itinerario dell’assassino è funzionale a una ricostruzione della trama seguendo uno schema da poliziesco-thriller per riplasmare l’orrore in un’ottica ancor più viscerale.
C’è qua e là qualche errorino di sceneggiatura, qualche buchetto: ma niente di che. Forse manca un po’ la mano di Leigh Whannell.
E comunque c’è un altro elemento da tenere in considerazione. James Wan è bellissimo.