Film

Man in the Dark, o come un ex marine gioca a mosca cieca

Man in the Dark: un noir che diventa thriller, un thriller che diventa un quasi-horror.

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I generi sono come etichette con poca colla appiccicate su fronti parecchio sudate. 

cit. Me Medesimo


Dopo questa massima mi candido per l’Aforisma Awards 2017, così magari nelle vostre Instagram Stories date un po’ di respiro ai poveri Jim Morrison, Oscar Wilde e Friedrich Nietzsche, pace all’anima loro.

Vaccate a parte, credo che il senso della frasetta sia evidente e che si sposi bene con film del tipo di Man in the Dark, quelli che non è semplice rinchiudere nel rassicurante cassetto di un genere. Man in the Dark non è un horror, nel senso che l’obiettivo del film non è né disgustare né terrorizzare l’incauto spettatore, lo definirei piuttosto un “thriller Pippo Inzaghi”, ovvero uno di quelli che gioca sempre sulla linea del fuorigioco fra un genere e l’altro. Già, perché il regista Fede Alvarez vuole innanzitutto raccontarci una storia e per avere una storia c’è bisogno di protagonisti veri, un minimo sfaccettati, personaggi in evoluzione.

Ecco dunque il trittico di ragazzi protagonisti: ladruncoli per necessità che andranno a impelagarsi in qualcosa più grande di loro. Il copione di Man in the Dark è già visto, ma non per questo non funziona: lui ama lei, ma lei sta con l’altro (che casualmente è il cretino del gruppo). Il triangolo amoroso passa però in secondo piano rispetto alle vite miserevoli dei tre protagonisti, costretti a rubacchiare per sperare in un futuro migliore in una città degradata e priva di prospettive come Detroit, fatta di famiglie distrutte oppure assenti.

La mini-Banda Bassotti ha in mente di mettere a segno l’ultimo colpo della carriera e poi via, chi in fuga in California chi a Detroit a godersi i frutti di un colpo vero, per una volta: basta con cellulari, tablet e televisori. È sufficiente compiere una rapina come si deve, una rapina da grandi. Il bersaglio prescelto è la casa di un ex marine, un uomo cieco, che vive da solo insieme al cane e che, dopo la morte della figlioletta in un incidente, ha ritirato un corposo indennizzo di svariate centinaia di migliaia di dollari e lo custodisce in casa. Il bottino è ovviamente troppo ghiotto per non tentare, ma Money, Alex e Rocky non hanno messo in conto che infilarsi nottetempo in casa di un uomo come Norman Nordstrom (uno strepitoso Stephen Lang, già visto in Avatar) non è proprio una grande idea. Ecco così che la bravata sfocia in tragedia, non appena il reduce e i suoi incubi vengono risvegliati dai tre ragazzi.

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Il ribaltamento dell’home-invasion

Tre anni dopo aver portato a casa l’ottimo remake de La Casa, Fede Alvarez continua a lavorare sotto la sanguinolenta ala protettiva di Sam Raimi che – a parte Drag me to Hell (2009) e Il grande e potente Oz (2013) –  negli ultimi tempi si sta dedicando perlopiù a promuovere progetti altrui. Ah, se amate Raimi e non avete ancora visto quel capolavoro di Ash vs Evil Dead siete da ricovero.

Già con La Casa (2013) si erano viste le doti innegabili di un regista ancora giovane e da rodare, ma certamente capacissimo e con un’abilità tecnica fuori dal normale. In questo suo secondo film si stacca decisamente dall’omaggio al mentore/produttore e spicca il volo con le sue ali, imbastendo un film con una tensione crescente e continua, che non molla mai lo spettatore dal momento in cui il trio entra nella casa del reduce. Evidenti sono gli omaggi a film cult come La casa nera del compianto Wes Craven e a quelli appartenenti al sottogenere dell’home-invasion (vedi film come Arancia meccanica, Cane di paglia, Funny Games, Panic Room, Knock Knock), del quale Alvarez fa un vero e proprio ribaltamento: il pericolo non viene da fuori, ma sta già all’interno della casa invasa.

In sostanza ci troviamo di fronte non a un capolavoro, ma a un film ottimo, che intrattiene per un’ora e mezza grazie a una regia illuminata, che sfrutta al meglio ogni anfratto della casa e la riduce a un tenebroso cunicolo da dove i nostri protagonisti devono evadere, nascondendosi da un agguerritissimo e astuto ex militare sanguinario e – come scopriremo – mica tanto a posto col cervello.

Morale: se siete pesi piuma e fate i grossi coi pesi massimi allora non siete deboli, siete solo coglioni.

Ed è già samba di Janeiro per la vittoria nell’Aforisma Awards 2017.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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