
Mank: Quarto potere, la politica, le fake news e lo streaming digitale
In ambito cinematografico basta nominare Quarto potere e ai cinefili viene così duro che il peso dei loro membri sommato è capace di modificare l’inclinazione dei satelliti di Giove. Meglio del viagra. Anche David Fincher è un cinefilo, e Mank ne è la dimostrazione.
Facciamo subito un passo indietro e cerchiamo di essere più simpatici.
Dico che Mank è un film cinefilo e da cinefili innanzitutto perché, come anche le manguste sanno, l’ultimo lavoro di Fincher cerca di ricostruire la genesi e lo sviluppo della sceneggiatura di Quarto potere di Orson Welles. E già qui si rischia il sesso.
Alcune brevissime pillole di storia. Se cercate in giro noterete che la sceneggiatura di quello che è probabilmente il film più importante della storia del cinema è accreditata alla coppia Orson Welles-Herman Mankiewicz. Tuttavia le cose sono un po’ più complicate di così.
Semplificando potremmo dire che esistono due fazioni riguardo alla questione: una che sostiene che la sceneggiatura sia tutta opera di Welles, solo vagamente coadiuvato da Mank, e l’altra che sostiene che Welles non abbia fatto proprio una fava e che senza Mank la sceneggiatura non sarebbe mai esistita.
Ci sono anche alcuni simpatici critici che sostengono che, data la scarsa qualità dei successivi film di Welles, è evidente che la sceneggiatura di Quarto potere non possa essere sua. Capito, la scarsa qualità dei successivi film di Welles. Perchè non è un regista che non ha mai sbagliato nulla, nono.
Ma andiamo avanti.
In secondo luogo Mank è un film che mima a tutti gli effetti una pellicola degli anni ’40.
Lo vediamo dal bianco e nero con la grana spessa, ottima scelta per ricreare quell’atmosfera, ma che inizialmente mi ha stranito in quanto dal trailer sembrava un bianco e nero molto più lucido e brillante. Lo vediamo dall’apparizione, di tanto in tanto, del bollino nero in alto a destra, quel bollino nero che, all’epoca della pellicola, indicava l’inizio di un nuovo rullo. Lo vediamo anche dall’utilizzo della colonna sonora e da tanti altri micro-elementi che fanno di Mank un film assolutamente caratteristico.
L’elemento forse più interessante è la presenza delle didascalie che indicano l’ingresso nei vari flashback. Ma non classiche didascalie. Infatti queste appaiono come righe di testo di una sceneggiatura, quasi a sottolineare la natura di testo scritto, evidenziando il fatto che Mank cerca di ricostruire la lavorazione di una sceneggiatura.
Il punto, però, è che la ricostruzione operata da Fincher non è filologica, il che si lega all’altro tema principale trattato nel film: le fake news.

Il concetto di fake news all’epoca in cui è ambientato Mank è a dir poco distante da quello odierno. Lì infatti la questione era anche maggiormente legata alla sincerità e alla manipolazione dei media tradizionali. È chiaro che coi media moderni, e soprattutto col web, la questione cambia radicalmente. Vedi che cos’è un prosumer per capire meglio.
Tuttavia l’indagine di Fincher si svolge a un livello più profondo, perché il discorso sulle fake news si estende al film stesso, all’autenticità di ciò che mostra e al suo rapporto problematico con la storia, con il cinema e con la verità.
È evidente quasi da subito che Mank è un film che imita, cita, riprende e omaggia Quarto potere, strutturandosi e svolgendosi quasi allo stesso modo.
Giusto per fare una rapida disamina. Entrambi i film si svolgono sul doppio binario presente-flashback; entrambi, tramite i flashback, attuano un percorso di “scoperta della verità” sui relativi personaggi; entrambi partono da una personalità storica realmente esistita e ne ricostruiscono la vita e le azioni; entrambi manipolano la realtà.
Il punto più importante è proprio quest’ultimo. Se Quarto potere infatti partiva dalla figura del magnate dell’editoria Hearnst e, alterando elementi e parti della sua vita, sviluppava il personaggio di Charles Foster Kane; così Mank parte dalla figura di Herman Mankiewicz, manipolandone la biografia reale per costruire il suo personaggio.
Non voglio star qui a farvi l’autopsia di quali scene nel film corrispondono a realtà storica e quali no. Sappiate solo che alcuni fatti sono realmente accaduti come vengono presentati nel film, altri sono andati diversamente, altri ancora non sono proprio accaduti.
Ma quindi Finche ci prende per il culo? Tanto quanto lo faceva Orson Welles. Cioè no.
L’autore di Seven, in realtà, semplicemente si avvale del metodo di manipolazione più vecchio del mondo: le storie. Egli ci sta semplicemente raccontando una storia, attuando quella che genericamente viene chiamata romanzizzazione. Avete presente no? Quando si dice che la storia è romanzata. Un po’ come in quel film di merda de La teoria del tutto.
Resta l’evidenza del fatto che Fincher ha volontariamente manipolato la biografia reale di Mankiewicz; e non solo: ha manipolato anche la ricostruzione della lavorazione di Quarto potere.
Ciò detto, credo sia proprio questo il fatto che rende il discorso sulle fake news decisamente profondo e problematico, perché rintracciare la verità in questa rete di rimandi, citazioni, alterazioni e riferimenti è quasi impossibile.
Seguitemi anche su un altro elemento. Al tempo della stesura della sceneggiatura di Quarto potere Mankiewicz aveva all’incirca 40 anni. Nel film lo sceneggiatore è interpretato da Gary Oldman, sessantaduenne. Il fatto è che l’attore non è stato truccato in modo da ringiovanirlo o comunque per nascondere il fatto che sia più vecchio di quanto non fosse Mankiewicz. Coincidenze?
Ma quindi Mank è un capolavoro? No; o forse dovrei dire: quasi.
Il film è perfetto dal punto di vista tecnico, con alcuni guizzi registici davvero interessanti e ancora una volta semantizzati a richiamare i film anni ’40.
Le interpretazioni sono ottime, soprattutto quella di Amanda Seyfried. Gary Oldman bravo, ma a mio avviso non al massimo della forma: il suo Mankiewicz risulta strano. Ma visto quanto detto prima magari era voluto, chissà.
L’unico problema di Mank è la sua freddezza. Il film è arzillo, neanche troppo lungo, con un bel ritmo che definirei jazzato e frizzante. Tuttavia è difficile essere coinvolti al 100% dagli eventi narrati, in quanto c’è questa sensazione di straniamento costante. Magari anche qui era voluto.
Allo stesso tempo però non è il caso del film perfetto tecnicamente ma freddo dal punto di vista della narrazione. Come dicevo, il ritmo è bello pimpante, ma forse quello che manca è l’empatia. Sostanzialmente io ero del tutto indifferente alle sorti di Mank durante la visione. E probabilmente il fatto di non riuscire a “sentire”, ad empatizzare col protagonista è ciò che più penalizza il film.
Forse vederlo al cinema avrebbe fatto un effetto diverso. Ma è anche vero che forse il cinema questo film non lo voleva.