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Mattinata al concorso di corti di “Visioni Fantastiche”

28 Ottobre – Suona la sveglia, è tempo di alzarsi. Do un’ultima aggiustatina alla recensione di Window Horses e mi reco al bar per la colazione.

Ore 8:30 – CONCORSO INTERNZIONALE 18+, Concorso cortometraggi 18+, ingresso aperto a tutti“: questo leggo sul programma. Decisamente interessante, penso. Poi guardo l’ora: 8:28.

Pur non essendo facile compiere un’operazione del genere senza il dovuto allenamento, decido di chiedere al mio corpo con educazione, ma allo stesso tempo fermezza, di compiere in un minuto un tragitto di dieci. La difficoltà di una manovra del genere sta soprattutto nel convincere la colazione a compiere il suo naturale percorso, senza farsi venire idee strane nel durante.

Con stoica volontà il mio corpo raggiunge un risultato egualmente encomiabile e si fa trovare davanti al Palazzo dei Congressi in tre minuti. Ce l’ho fatta! Pur entrando a luci spente potrò vedere i cortometraggi!

Quello che ho visto sono tre corti in live-action (con attori) e quattro corti animati. Andiamo con ordine.

BLOODY FAIRY TALES (Repubblica Ceca, 2018) di Tereza Kovandová

Il primo corto proiettato non è altro che un insieme di piccoli sketches che vanno a rivisitare, in modo irriverente e a volte sanguinolento alcune tra le fiabe europee più note e amate. Si va da Raperonzolo ai Tre porcellini, da Cenerentola alla Principessa e il ranocchio.

Realizzato con una tecnica d’animazione che richiama fortemente il capolavoro Le Avventure del Principe Achmed di Lotte Rienger e la cut-out animation utilizzata nella serie South Park, il film non esita a toccare tasti di profondo humor nero (ricorrendo anche a finali a sorpresa).

Davvero simpatico e realizzato con una divertita goliardia, ma a chi non apprezza questo tipo di umorismo potrebbe non piacere.

Aggiornamento: a quanto pare il corto ha vinto il concorso. Avrei molto da dire a proposito di questa scelta, ma preferisco non peggiorare l’immagine che potreste avere di me…

NARKISSOS (Repubblica Ceca, 2018) di Nora Štrbová

Un altro corto animato, questa volta in stop-motion, in cui vediamo un personaggio profondamente innamorato di sè stesso.

In un certo senso, anche questo corto, come il precedente Bloody Fairy Tales, rilegge un mito europeo in modo irriverente (in questo caso, quello di Narciso). Eppure questo tipo di humor non ha il sapore della spensieratezza o della parodia. Sembra qualcosa più vicino ad una visione esistenziale, che lascia noi spettatori con un profondo senso di disagio (dovuto sicuramente all’isolamento e alla solitudine che aleggiano attorno al protagonista).

Il film è molto breve (3 minuti), ma interessante. L’animazione in particolare è davvero bella, soprattutto quando dà sfogo alla sua attenzione per il dettaglio, ed è valorizzata dai bellissimi quadri con cui viene ripresa.

Davvero un lavoro eccellente.

BLUE RIDING HOOD (Italia, 2019) di Fabio Falzarano

Unico corto italiano della mattinata. Anche qui si rivisita una fiaba, ma questa volta non c’è goliardia nè alcun tipo di irriverenza.

Il film si muove attraverso i caratteri e i passi fondamentali di Cappuccetto rosso, cambiando l’ambientazione, modernizzando l’intreccio e sostituendone il protagonista: il Cappuccetto blu del titolo (sempre in giro con il cappuccio blu della felpa sulla testa) è il Lupo cattivo.

Il corto parte come un’animazione, con illustrazioni doppiate da una voce narrante (simile a quella di un audiolibro di fiabe), salvo poi rivelarsi come un film, quasi un noir, con attori in carne e ossa, ambientato in una metropoli (una foresta di cemento, cit).

Una scelta interessante, alcuni momenti sono davvero ben realizzati e l’inizio fiabesco è molto bello. Peccato che il film non sia davvero all’altezza delle sue potenzialità. Si alternano sequenze esteticamente ottime a riprese à la Zairo – Il primo giorno, la recitazione degli attori va molto spesso sopra le righe (non è sempre un male, sia chiaro, ma non è questo il caso) e soprattutto il copione e la caratterizzazione dei personaggi sono davvero poco interessanti. Peccato perché c’erano degli elementi davvero belli.

A L’AUBE (Francia, 2017) di Julien Trauman

Dopo la delusione italiana, arriva quella francese. A l’Aube non è un brutto corto dal punto di vista tecnico, anzi, dovessimo tenere conto solo di questo, non faremmo altro che sprecare elogi.

Ma un film non è solo tecnica. Una bella tecnica deve essere a servizio di qualcosa, di una storia. Lups in fabula! – Scusatemi, ma finora non si è parlato altro che di fiabe e lupi cattivi, mi è scappato.-

L’idea di partenza è molto semplice: tre ragazzi, durante una serata in spiaggia si avvicinano ad un gommone incustodito, ci salgono a bordo e, nell’euforia, si allontanano dalla riva accendendo il motore. Risvegliandosi alla deriva, e con il motore a secco, i ragazzi si troveranno davanti un lungo calvario per sopravvivere senza né cibo né acqua in attesa dei soccorsi. Da qui tutte le vicende e sviluppi che potete già benissimo immaginare.

I ragazzi se la cavano bene, nulla da dire. Juliette Bettencourt, in particolare, riesce a rendere benissimo l’umore sempre più nevrotico e paranoico del suo personaggio, man mano che i giorni passano.

Purtroppo questa semplice idea non viene sviluppata a dovere, rimane un bozzetto.

Decisamente non paragonabile all’impegno con cui è stato realizzato il corto (parliamo di sette giorni di lavorazione in mare aperto).

La delusione, personalmente, scaturisce proprio da questo: un corto magnificamente realizzato, con splendide riprese e attori in parte, che alla fine ha un cuore davvero debole, che non va a fondo nei suoi personaggi che rimangono piatti (solo la ragazza ha uno sviluppo psicologico interessante) e viene quasi totalmente divorato dall’estetica.

Chiaramente la delusione è meno cocente della precedente, ma comunque rimane tale.

DEAD MAN’S REACH (Inghilterra, 2018) di Quentin Vien

Ma è questo contributo inglese a risollevare definitivamente la mattinata.

Un uomo è appena uscito da una relazione sentimentale. Il corto ci mostra la sua immaginazione fare un viaggio che porterà il nostro a superare questo momento doloroso e a ricominciare la sua vita. Un viaggio western, profondamente surreale e bizzarro.

Il film è stato realizzato totalemente a mano da Quentin Vien durante il suo tempo libero. Vien, infatti, pur non essendo un esordiente alla regia, si occupa principalmente di supervisione luci per gli effetti speciali (parliamo di grossi blockbuster come i Guardiani della galassia, Animali Fantastici e dove trovarli e Sopravvissuto – The Martian).

Eppure, pur essendo quasi un esercizio di stile, questo corto è forse, per il sottoscritto, il vincitore di questa mattinata.

Una bella colonna sonora ricca di cover acustiche di grandi classici (da I’m so tired dei Beatles a Play the Game dei Queen) riferimenti a non finire al mondo western e non solo (vediamo anche un riferimento alla serie televisiva britannica The Booth at the End, o alla marca di caffè Dead man’s reach dell’azienda Raven’s Brew, nel titolo e in una scena del film), un’atmosfera fantastica sempre in bilico tra il sogno e il pensiero più oppressivo e una veste grafica che lascia sgomenti, soprattutto quando ci rendiamo conto che è stata realizzata attraverso una serie di disegni a matita (in modo analogo a come avveniva con il capolavoro britannico The Snowman).

Oltre, naturalmente, a farci ben sperare che le grandi aziende di VFX diano al caro Vien ancora abbastanza tempo libero per darci qualche altra bella perla d’animazione come questa.

LA NUIT JE DANSE AVEC LA MORT (Francia, 2017) di Vincent Gibaud

Dopo questo bellissimo spettacolo, la Francia torna nuovamente in sala. Ed è un altro tour de force d’animazione.

Un ragazzo, durante una festa, si ritrova a provare una droga e finisce in un turbine psichedelico che lo porterà anche a terrificanti sensazioni, trasformando il suo fantasioso trip in un viaggio allucinato dalle tinte di un incubo febbrile.

Vincent Gibaud ci regala un corto davvero interessante dal punto di vista visivo. Il character design potrebbe riportare gli appassionati al bande desinée d’autore contemporaneo, ma l’animazione non può che farci sovvenire l’immaginario onirico giapponese, con le sue suggestioni à la Mamoru Oshii (L’uovo dell’angelo, Ghost In The Shell) o addirittura à la Satoshi Kon (Paprika).

Questo film ci pone di fronte ad un vero e proprio tuffo nella psichedelia, con colori al neon e paesaggi che si sciolgono e ricompongono nei modi più assurdi in un escalation di terrore e angoscia. Fino al finale.

Tutto ad un tratto il trip sembra finito e il protagonista si ritrova, stordito e disorientato, su una spiaggia assieme agli amici. Il corto torna al suo stile quadrato iniziale, con un’atmosfera ancora più calma e silenziosa. Ma è solo un attimo di respiro prima del finale: un’incredibile sequenza d’amore che esplode in un nuovo trip stavolta intriso di un’fortissimo liquore erotico.

L’angoscia non ammorba quest’ultimo momento e il protagonista viene trasportati in un microcosmo in cui le regole fisiche di tempo e spazio sembrano definitivamente sparite. Un non-luogo in cui il protagonista stesso si deforma, come prima si deformava lo spazio, piegato e ridefinito dall’ebrezza sessuale (che ci sia qualche ispirazione a Gerald Scarfe in questo passaggio?).

ETERNITY (Ucraina, 2018) di Anna Sobolevska

A chiudere la mattinata arriva questo corto ucraino di fantascienza. Terzo con attori in carne ed ossa.

Eternity ci pone di fronte ad un futuro in cui la morte non esiste più: le aziende hanno, infatti, trovato il modo di digitalizzare l’anima degli esseri umani, aiutandoli a sopravvivere. In questa storia, la protagonista è una coppia: pur ricevendo offerte allettanti, il ragazzo non riesce a superare il suo scetticismo e il suo profondo terrore per l’eternità e per il sistema che permetterebbe agli umani di raggiungerla. Profondamente segnante per il ragazzo la morte sul lavoro del padre, impiegato come tester presso una di queste compagnie di digitalizzazione. Il ragazzo sarà presto costretto a tornare sui suoi passi.

Non andiamo oltre con la trama: incapperemmo nello spoiler. Concentriamoci sul resto. Il film mantiene un’estetica e uno sguardo sul futuro tenendosi a metà tra un film di Andrew Niccol (The Host, In Time) ed una puntata di Black Mirror. Abbiamo un futuro molto simile al nostro presente, tranne alcuni spunti tecnologici, un racconto che riflette sul rapporto tra la tecnologia e noi stessi. Forte è la riflessione esistenziale: come cambia la nostra esistenza quando viene privata della morte?

Una riflessione e uno sguardo non propriamente originali, ma sicuramente non banali o facili da gestire. La Sobolevska, infatti, li trattata con garbo e grandissimo gusto e racconta la sua storia con il giusto taglio delicato (senza lasciarsi andare ad esagerazioni). Gli attori sono davvero sul pezzo e i mondi virtuali hanno la giusta atmosfera distaccata e plasticamente innaturale.

Decisamente una bella conclusione per questa interessante mattinata! Soddisfatto esco dalla sala e mi metto a lavoro. Questo periodo a Ravenna sta davvero cominciando col piede giusto – penso. Approvo! – risponde la colazione.

Marco Moroni

Nato nel maggio del 1995 a Terni, città dell'acciaio e di san Valentino. Dovete sapere che vicino alla mia città si erge, spettrale, un complesso di capannoni abbandonati. Quando eravamo bambini ci veniva detto che quelli erano luoghi meravigliosi, in cui venivano realizzati film come "La vita è bella" o "Pinocchio". Questo fatto ci emozionava e ci faceva sognare una Hollywood vicino casa nostra. Come il castello transilvano di Dracula, tutti cercano di ignorare quei ruderi ma, ciononostante, tutti sanno benissimo cosa siano e non passa giorno senza che si continui a sognare quel Cinema che nasceva a casa nostra. Chiedendomi cosa mi faccia amare tanto la settima arte, e perché mi emozioni così tanto al solo pensiero, potrei rispondermi in molti modi, ma sono sicuro che quel sogno di tanti anni fa abbia un ruolo più che essenziale.
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