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Millennium, quando Fincher incontra Stieg Larsson

Fincher, ancora una volta, ha saputo creare un thriller che è anche un’opera artistica, sotto il segno del male.

Quello che mi appresto a recensire oggi è di gran lunga uno dei miei film preferiti. Si tratta di Millennium – Uomini che odiano le donne (conosciuto anche come The Girl With The Dragon Tattoo, il titolo originale), uscito nel 2011 e diretto da David Fincher. E’ il secondo adattamento cinematografico del romanzo di Stieg Larsson Uomini che odiano le donne, primo capitolo della trilogia Millennium, già portata sul grande schermo a partire dal 2009 con tre film svedesi.
Alcuni di voi, come la sottoscritta, probabilmente avranno letto anche i libri, e inveiranno “Sì però il libro era meglio, hanno saltato delle scene e blablabla”
Ragazzi, i libri sono (quasi) sempre meglio delle trasposizioni cinematografiche, mettiamocelo in testa. Ciò non toglie che questo film di Fincher sia stato strutturato e realizzato in maniera impeccabile.
Beh, che ve lo dico a fare, è Fincher.

Ma quindi, di cosa parla questo film?

Stoccolma. Mikael Blomkvist è un giornalista e direttore di “Millennium”, rivista che si occupa di scandali e truffe del mondo politico ed imprenditoriale.
A causa del suo lavoro, Blomkvist viene condannato per diffamazione ai danni di un potente uomo d’affari. La sua scrupolosità zelante e il suo recente problema giudiziario gli attirano le simpatie di Henrik Vanger, influente industriale svedese che da quarant’anni cerca la verità sulla scomparsa della giovane nipote Harriet. Vanger è sicuro che la ragazza sia stata uccisa da un membro della sua numerosa e tormentata famiglia.
Lasciata Stoccolma alla volta del presunto luogo del delitto, una gelida cittadina battuta dal vento, Mikael ricorre alla collaborazione di Lisbeth Salander, un’acuta investigatrice privata e valida hacker con un passato alquanto difficile. Dal carattere vendicativo e bellicoso, Lisbeth viene attratta dalla riservatezza e dall’integrità morale di Mikael e, chissà…
Nel frattempo, nuove scoperte portano a galla dettagli scabrosi sulla famiglia della vittima, e qualcuno prova a ostacolare l’indagine e a minacciare la vita dei due protagonisti.

Un gioiello nel gioiello, i titoli di testa

Dopo una brevissima scena che ci introduce la vicenda, inizia un opening inusuale e visivamente molto intenso, diretto da Tim Miller (il regista di Deadpool, tanto per essere chiari). Sulle note di una cover dark di Immigrant Song, composta da Trent Reznor (avete presente i Nine Inch Nails?) e cantata da di Karen O (degli Yeah Yeah Yeahs), scorrono i titoli di testa, accompagnati da un’abbondanza di riferimenti al romanzo e ai protagonisti: vediamo i tatuaggi di Lisbeth, tra cui spiccano il dragone, che ricopre la schiena della ragazza, e la fenice, simbolo di resilienza. Ci sono i fiori che, come vedrete, avranno un ruolo centrale nella scomparsa di Harriet, e che rappresentano il ciclo biologico della vita. I corpi dei protagonisti annegano nell‘oscurità. Verso la fine dell’opening osserviamo delle scene piuttosto cruente, che anticipano il tema cardine del film e della saga letteraria: la violenza, specialmente quella rivolta verso le donne.
Potete gustarvi questa interessante sequenza qui

Il cast, una scelta fortunatissima

Fincher ha fatto centro con un cast azzeccato. Il personaggio più autentico è sicuramente Lisbeth Salander (interpretato dalla allora semi-sconosciuta Rooney Mara) sia per l’interpretazione che per l’aspetto: il look androgino e diafano di Mara si adatta perfettamente al personaggio. La Lisbeth dei libri, quella ambigua e ribelle, è lì, davanti a te. Ti piace, ti affascina, vorresti osservarla meglio per capirla, ma allo stesso tempo ti spaventa.
Un po’ meno eccellente ma comunque bravissimo Daniel Craig, che interpreta il giornalista Blomkvist. Forse non riesce a staccarsi del tutto dal suo ruolo di agente Bond, che ormai ha aderito all’attore come una seconda pelle, e in questo ruolo lo vediamo un po’ troppo simile alla spia che tanto conosciamo, complici le scene di azione. Ma il suo Mikael Blomkvist, comunque, si sposa bene con l’atmosfera rigida del film.
Un plauso va alla convincente interpretazione di Stellan Skarsgård, ma purtroppo non posso dirvi di più. Abbiamo anche Christopher Plummer nei panni dell’imprenditore Henrik Vanger, che non ci risparmia i colpi di scena.

 

In conclusione

Come ho detto prima, le trasposizioni cinematografiche difficilmente riescono a rendere giustizia ai libri a cui sono ispirate. In questo caso però, benchè anche la pellicola di Fincher sia a suo modo diversa dal romanzo, il regista riesce a scavare in profondità, arricchendo l’universo di Stieg Larrson alla sua maniera che tanto amiamo, realizzando una vera e propria opera d’arte dal sapore amaro. Fincher, ossessionato dal bisogno di decodificare e svelare, punta la luce sullo smarrimento interiore dell’individuo nella società odierna e sull’impenetrabilità dei muri domestici. Il tutto condito con mistero, delitti e sangue.

Elena Grandi

Elena doveva descriversi, ma si è dimenticata cosa voleva dire.
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