Film

Misery non deve morire: Kathy Bates rilegge King per un Oscar da brividi

Nel corso degli anni, Stephen King è spesso finito sul grande schermo. E sfido: le sue storie sembrano fatte apposta per il cinema. Brividi, orrore, menti perverse e mostri e mostriciattoli di ogni sorta: come una specie di Piccoli Brividi per adulti, che pure è stato solo questione di tempo prima che qualcuno li mettesse su celluloide, King ha sfornato materiale per foderare le sale del mondo intero. E come in ogni produzione su larga scala, le trasposizioni hanno spesso avuto rese altalenanti; ma tra quelle degne di tutto rispetto, meglio, da vedere, possibilmente in una sera in cui nevica e siete barricati in casa, c’è Misery non deve morire.

Misery non deve morire, filmone del 1990 girato da Rob Reiner, è un two-men-show, per non dire uno one-woman-show: a parte la comparsata di una divertitissima Lauren Bacall e Richard Farnsworth e Frances Sternhagen nel ruolo di adorabili spalle, il film si basa tutto su James Caan e soprattutto su Kathy Bates, che per questo ruolo si portò a casa l’Oscar. James Caan è uno scrittore che ha raggiunto il successo con la saga di Misery, delle specie di romanzi Harmony per casalinghe particolarmente disperate, e che ha deciso di accantonare i libretti da edicola per dedicarsi alla vera letteratura. Per concludere il suo ultimo romanzo, come da tradizione decide di recarsi nella Sierra Nevada, ma rimane bloccato in un incidente quasi mortale da una tempesta di neve.

Per fortuna, se così si può dire, viene soccorso da una robusta infermiera nonché sua grande ammiratrice, o meglio, ammiratrice di Misery; la quale, una volta letto il manoscritto del suo mito e scoperta la fine che farà la sua eroina, si scoprirà disposta a tutto pur di cambiare il corso della storia.

Misery non deve morire è un piccolo gioiello di tensione, un thriller perfettamente congegnato in modo da catapultare lo spettatore nei panni dello scrittore invalido, e quindi diventare sempre più angosciato ogni minuto che passa. E la perfezione di questo orologio di paura si deve quasi del tutto a Kathy Bates, semplicemente perfetta nel ruolo: l’aspetto gonfio e dimesso da donna di mezza età della provincia americana, il volto inespressivo che si trasforma al bisogno in una maschera di adorazione o di astio, i piccoli quanto enormi momenti di malcelata pazzia – la scena in cui grufola con la sua scrofa da sola vale il film. Quasi uno Shining – a cui strizza l’occhio in più di un’occasione –, però al femminile.

Unita alla bravura della protagonista c’è una delle migliori storie di Stephen King, che a differenza di altre non ha bisogno di ricorrere al soprannaturale per terrorizzare: basta la mente umana, un po’ di neve e un po’ troppa solitudine.

E dunque: aspettate una notte particolarmente buia e tempestosa, chiudetevi dentro a doppia mandata, infilatevi sotto le coperte, e godetevi la visione di Misery non deve morire: se esistesse un manuale su come girare un genere, alla voce “thriller” trovereste questo.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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