
Mona Lisa Smile: 50 sfumature di… Donne
Katherine Watson, insegnante di storia dell’arte, si trasferisce al campus di Wellesley, prestigioso college femminile per rampolle dell’alta società.
Idealista e armata delle migliori intenzioni, è costretta a fare i conti con una realtà conformista, bigotta e repressiva, dove le stesse ragazze ricevono un’istruzione improntata a renderle future mogli e madri di famiglia impeccabili, un traguardo nel pieno rispetto delle convenzioni sociali.
Dopo le resistenze iniziali, Katherine cerca di spingere le sue allieve a non sacrificare le proprie aspirazioni e a non abbandonare gli studi pur di avere un marito: Puoi fare entrambe le cose: sposarti ma anche diventare avvocato.
I metodi di insegnamento “poco ortodossi”, “troppo liberali” della professoressa Watson non sono ben visti dalla direzione del college, ma Katherine non è disposta a tradire il suo credo per avere riconfermato l’incarico, per cui decide di andarsene, lasciando in eredità alle sue allieve un messaggio di speranza e libertà impossibile da cancellare.
Ispirato a una storia vera, Mona Lisa Smile è un film che, secondo il mio autorevole (!) parere, va assolutamente rispolverato e non perché, com’è risaputo, ho una passione profonda e viscerale per i “pipponi – pro – diritti – delle – donne” (e giuro che sono fidanzata, non brucio i reggiseni in cortile e mi depilo gambe e ascelle, tranquilli…), ma perché si tratta di una pellicola equilibrata, ben strutturata e verosimile per tematiche trattate e ambientazioni storiche.
Uno spaccato culturale e sociale del vissuto dell’America anni ’50, quei benedetti anni di Grease, della brillantina, del boom degli elettrodomestici e della Pop Art, ma anche quei maledetti anni della Guerra Fredda, delle discriminazioni razziali, della propaganda politica infarcita di perbenismo e ipocrisia: una realtà in cui non tutto è come sembra, pronta ad esplodere, e che sta per dare il prepotente avvio alla fulgida fiamma del Femminismo, la logica e spontanea conseguenza delle prepotenze e degli abusi subiti per troppi anni.
Oltre alla tematica e all’eccellente interpretazione di Julia Roberts, brillante protagonista, il film è supportato da un ottimo cast di (all’epoca, il film è del 2003) giovani attrici, un parterre tutto al femminile: dalla scapestrata e indipendente Maggie Gyllenhaal (talentuosa sorella di quel bonazzo di Jake) a Kirsten Dunst (magistrale nel suo contraddittorio personaggio, una ragazza tradita, sola, rabbiosa, che troverà comunque la forza di rifarsi una vita lontana da un matrimonio infelice), senza tralasciare la brava Julia Stiles, che occupa un ruolo minore.
La ricostruzione è accurata, sia dal punto di vista storico-scenografico (parte delle riprese si sono svolte proprio nell’antico college di Wellesley) sia nei costumi, e rende bene l’atmosfera che probabilmente aleggiava nell’America dei fantastici (si fa per dire…) Fifties, anche se la parte più “spaventosa”, quella che fa accapponare anche la punta dei capelli a noi disincantate donzelle del nuovo millennio, è quella che scorre nelle scene finali, la sfilata delle terrificanti pubblicità americane dell’epoca (sì, sono reali, parola di scout): donne votate alla pulizia della casa, inginocchiate ai piedi del marito, docili, gentili e sottomesse… ma soprattutto… DONNE?!