
Mondocane, i giovani, l’Italia e il futuro della società
Mondocane è una di quelle opere che ti fanno uscire dalla sala col dolce in bocca. È quell’opera che non ti aspetti, ma di cui, sotto sotto, forse, avevi bisogno.
COME AL SOLITO, GLI SPOILER INQUINANO.
La storia raccontata dal primo lungometraggio di Alessandro Celli è ambientata in una Taranto futuristica, ma in un futuro abbastanza vicino a noi da poter rivendicare delle prese di posizione politiche.
I protagonisti sono Pietro e Christian, due orfani di 13 anni che da sempre sono abituati a vivere con ciò che la giornata offre loro. La Vecchia Taranto è stata evacuata a causa della contaminazione dovuta all’acciaieria che getta incessantemente fumo sul territorio. Specularmente è stata edificata una Nuova Taranto, all’avanguardia e piena di comfort, riducendo la vecchia città a una sorta di enorme ghetto in cui la legge non esiste.
Qui il controllo è nelle mani delle gang, tra le quali si erge, su tutte, quella delle Formiche, comandata da Testacalda, interpretato da un ottimo Alessandro Borghi, carismatico e imbruttito come sempre.

Già dalle prime battute si intuisce che Mondocane sarà un film che dialoga direttamente con le grandi pellicole che hanno popolato il cinema italiano degli ultimi 15 anni circa. Le consonanze maggiori si rilevano con film come Lo chiamavano Jeeg Robot e La terra dell’abbastanza.
Col primo Mondocane condivide l’ambientazione prossimo-futuristica e la suddivisione del territorio tra gang rivali che si scontrano e comandano. In particolare, in comune c’è l’elemento ambientale. In Lo chiamavano Jeeg Robot, infatti, il protagonista e l’antagonista acquisiscono i loro superpoteri quando entrano a contatto con delle scorie radioattive gettate sul fondo dei corsi d’acqua. La metafora ambientalista è ripresa nel film di Celli inserendo come causa scatenante del nuovo ordine dell’intera struttura sociale le emissioni dell’acciaieria, che, seppur non esplicitamente, è evidentemente l’ILVA di Taranto.
Con La terra dell’abbastanza invece Mondocane condivide la voglia di rivalsa dei suoi due giovani protagonisti. In entrambi i film infatti abbiamo una coppia di ragazzi costretti a vivere ai margini della società. Per loro l’unica prospettiva per il futuro è entrare a far parte delle gang che controllano il territorio.
Questo è un tema ricorrente in buona parte del cinema italiano odierno, elemento cardine di film come Suburra e soprattutto Gomorra. Nella pellicola tratta dal bestseller di Saviano l’attenzione è concentrata sull’impossibilità, per gli abitanti del quartiere di Scampia – tema ampiamente ricorrente in praticamente tutte le opere del giornalista -, di scorgere un futuro lontano dalla malavita. Lo stesso avviene in Mondocane. Questo clima di corruzione dilagante è il grande tema del cinema italiano contemporaneo.
In questo scenario Celli trova lo spazio per costruire una storia romantica.
La peculiarità di Mondocane sta nello scegliere come protagonisti due ragazzi molto giovani, di 13 anni. Per loro, che hanno sempre vissuto di pesca e stenti, il futuro non esiste. L’unica opzione rappresentata dall’ingresso nella gang di Testacalda è in realtà un’illusione che porta, per forza di cose, a una disfatta peggiore della situazione di partenza.
Per questo motivo Celli ci racconta due personaggi complementari, la cui costruzione psicologica è sin da subito evidente. C’è un dialogo tra i due ragazzi in cui quest’aspetto emerge in tutta la sua rilevanza. Pietro, detto Mondocane, mette a segno un colpo per impressionare la gang delle Formiche bruciando un negozio d’animali assieme a Christian. Per questo motivo viene notato dallo scagnozzo numero 1 di Testacalda e gli viene proposto di entrare nella gang. Pietro dice che accetterebbe l’offerta solo nel caso in cui anche Christian, detto Pisciasotto, fosse entrato nelle Formiche. Testacalda rifiuta.
Al suo ritorno Pietro racconta l’accaduto a Christian, spiegandogli che ha rifiutato l’offerta per non abbandonarlo. Successivamente chiede all’amico se anche lui avrebbe fatto lo stesso al suo posto. Christian risponde affermativamente, ma lascia intendere il contrario. Il resto del film confermerà questa prima impressione.
Sin dai primi minuti quindi Mondocane ci imposta i due protagonisti come due facce della stessa medaglia. Pietro, il buono, o meglio il non corrotto; e Christian, il cattivo, il corrotto.

La storia di Mondocane diventa romantica perché Pietro per tutto il film combatte e scappa da una tragedia annunciata che passo dopo passo sgretola davanti a suoi occhi l’unica realtà certa che ha sempre avuto: l’amicizia di Christian.
Senza fare eccessivi spoiler, sappiate soltanto che il finale in questo senso è commovente e manifesta la volontà di Celli di dare uno sguardo positivo e di speranza verso un futuro senza futuro per le nuove generazioni.
Al tema del futuro si collega quello del destino, veicolato, come la gran parte delle altre intuizioni filosofiche del film, da Testacalda. Quando Borghi deve interpretare un monologo dà il suo massimo. È capace di essere convincente e incisivo, sempre mantenendo quello sguardo minaccioso ma saggio allo stesso tempo che ti porta dalla sua parte anche quando le sue posizioni etiche sono esecrabili.
Però il punto è anche questo. Testacalda è un personaggio psicologicamente complesso. Non è un leader a caso di una gang criminale. Non è solo un personaggio carismatico: è un dilemma etico che cammina.
Egli non crede nel destino, perché non vuole farsi determinare da niente e da nessuno. Solo lui ha l’ultima parola sulla sua persona. La vita gli presenta le situazioni, ma da lì in poi è lui che si mette in moto e morde la realtà per assumervi un ruolo da protagonista. Quest’osservazione è anche curiosamente meta, in quanto il personaggio di Testacalda non è protagonista a livello narrativo, ma ruba letteralmente la scena a Pietro e Christian col suo carisma e con la sua portata psicologica.
Ma non solo. Testacalda è a sua volta un personaggio romantico. È uno che non si è mai dato per vinto, non ha mai smesso di crederci e muore perseguendo i propri ideali. Per certi versi è un antieroe già sconfitto. La sua figura, tra le Formiche, si erge a una sorta di padre-fratello capace di tenere insieme tante vite diverse e dar loro uno scopo. E qui per certi versi Celli ci sta suggerendo di sospendere il giudizio morale. Perché in una realtà simile essere Testacalda è auspicabile, perché cambiare e trovare una via di fuga – per altro verso una non meglio specificata Africa, dal tono molto provocatorio – significa sacrificare tutto per un’esistenza migliore. E questo è l’invito a compiere un atto di coraggio che Celli ci rivolge.
Tutto il resto segue di conseguenza. I personaggi di Mondocane, come nelle migliori storie, sono espressione del mondo che popolano. Il personaggio di Ludovica Nasti, ad esempio, con le sue continue fughe dall’orfanotrofio, incarna perfettamente lo spirito di ribellione. Lei è la voglia di rivalsa ed è il personaggio che spinge Pietro a compiere quel necessario atto di coraggio.
Il personaggio di Barbara Ronchi, anch’essa orfana in gioventù e ora poliziotta accanita nei confronti delle gang criminali, è invece l’espressione di chi non ce l’ha fatta. Lei rappresenta la sconfitta delle generazioni precedenti che hanno creduto in un futuro migliore sbattendo contro la realtà. In Mondocane non c’è spazio per i personaggi come lei, dalla parte giusta a livello morale, ma eternamente sconfitti dalla corruzione.
Lo scenario distopico che Mondocane presenta è avvilente. Celli ci suggerisce di guardare lontano con lo sguardo, senza mai smettere di sognare ma mantenendo uno sguardo lucido sulla realtà – esemplare il comportamento di Pietro in tal senso, che cerca fino all’ultimo di salvare Christian, ma alla fine capisce che deve lasciarlo al destino che tanto voleva evitare. I problemi, con tutta la crudezza dell’attualità, tuttavia, restano dove li abbiamo lasciati.