Serie TV

“Montalbano sono”: cronaca di un successo annunciato

Il lunedì è la tipica serata da divano, pigiama, cibo da asporto e tisana. E qualcosa da vedere, naturalmente. Quest’ultimo punto è il più problematico: lo streaming più o meno legale e Netflix negli ultimi tempi hanno provveduto alla nostra sopravvivenza cerebrale, ma c’è stata un’epoca, cari nipotini, in cui il tubo catodico era l’unica ancora di salvezza, cosa che la dice lunga sull’opinabilità del famoso detto “si stava meglio quando si stava peggio”. Se si pensa a mamma Rai, infatti, i pensieri corrono a Don Matteo, Un medico in famiglia e altri abomini. C’è tuttavia una luminosa eccezione, che di recente è ritornata sui nostri schermi a gamba tesa con ben due nuovi episodi: Montalbano sono, e fatemi passare.

Il commissario siculo nato dalla penna di Andrea Camilleri fa la sua prima comparsa in chiaro nel lontano 1999, ed è subito boom: Montalbano spopola non solo in patria, ma in ben venti paesi diversi, peraltro in un periodo in cui la diffusione delle serie tv non era scontata come oggi. L’ascesa è rapidissima, tanto da portare gli autori a replicare e replicare e replicare, per un totale di undici stagioni e trenta episodi. Nel 2016, le avventure del nostro figurano tra i dieci programmi più visti nella molto poco mediterranea Inghilterra. Ma qual è il segreto del successo di questo poliziotto burbero, a prima vista non tanto diverso dai colleghi delle più varie latitudini?

Beh, proprio la latitudine è un punto fondamentale: siamo abituati ad assistere allo scontro tra bene e male nei bassifondi di Los Angeles, nelle nebbie del nord Europa, al limite nelle periferie milanesi; ma una cittadina siciliana in riva al mare, l’immaginaria Vigata, con più pesci che anime, sembra più un ottimo posto per svernare che non un teatro di tragedie. Montalbano deve gran parte della sua fortuna allo sfondo insolito e decisamente piacevole: perché scovare i criminali è sacrosanto, ma pure una buona mangiata di pesce sulla spiaggia o sulla terrazza di casa – una villa tanto bella quanto abusiva, a voler essere pignoli – ha il suo perché.

A questo si lega l’altra grande bellezza della Sicilia: le donne. Il commissario non è bello, o almeno non nel senso classico del termine, eppure è circondato da una quantità impressionante di sventole – una su tutte, l’improbabile Belén Rodriguez. More dagli occhi intensi e dal passato tormentato, svedesi che non si capisce bene cosa ci facciano a Vigata ma che intanto ci sono, gonne svolazzanti e scollature che lasciano poco spazio all’immaginazione. Inutile dire che la quasi totalità di questa sfilata di bellone procaci si innamora di Montalbano, tenta di sedurlo o quantomeno gli offre il pranzo, ottima iniziativa se si considera il palato gourmet del commissario. L’unica che si differenzia dal gruppo è Livia, storica fidanzata genovese. Tra relazioni a distanza, incontri fugaci, bisticci da coppia che però si risolvono rapidamente sotto alle lenzuola, Livia incarna l’ideale perfetto e segreto di compagna secondo il maschio italico: bella, sveglia, un po’ rompiscatole ma fortunatamente lontana. Non per nulla è l’unico personaggio ad aver cambiato ben tre volti: prima Katharina Böhm, poi Lina Perned, infine Sonia Bergamasco: sempre più bionde, sempre più magre, sempre più algide, sempre meno utili ai fini della storia.

Già, perché Montalbano è circondato da amici e colleghi fidati – loro sì che non li tradirebbe mai –, più una compagnia di merende che un gruppo di poliziotti: Cesare Bocci è Mimì Augello, vice commissario incasinatissimo ed inguaribile farfallone, Peppino Mazzotta il ligio Giuseppe Fazio, Davide Lo Verde il focoso Galluzzo, Marcello Perracchio il medico legale Pasquano, più interessato ai cannoli che ai cadaveri. E poi c’è lui, l’inarrivabile Catarella (Angelo Russo): l’appuntato imbranatissimo e adorabile, che involontariamente riesce spesso a dare un aiuto decisivo nei casi più spinosi.

Montalbano piace in Italia e all’estero perché racconta i luoghi con tutte le loro contraddizioni: e allora ecco che tra spiagge ed uliveti compare la reggia di Don Sinagra, un secchissimo e spietato Ciccino Sineri, mafioso di vecchia data che ha un rapporto di odiosa stima con il commissario. Il quale, conscio di essere in Sicilia e non in Svizzera, sa bene che ogni tanto tocca sporcarsi le mani e scegliere il male minore.

E finalmente arriviamo a lui, il perno di tutto: Montalbano, al secolo Luca Zingaretti. Che effettivamente non è un adone, ma sfido a trovare una donna che non sia disposta a dare qualche anno di vita pur di farsi una nuotata con lui. Pelata, pancetta, accento siculo e amore per la tavola, al punto da non proferire parola durante i pasti: basterebbe questo a far cadere tutti ai suoi piedi. In più, sotto la scorza taciturna si cela un cuore d’oro e una cultura sterminata: una perla rara in un mondo dove la caciara è diventata la parola d’ordine. Montalbano è anche questo: silenzi, che siano per contemplare il mare, per risolvere un caso o per riflettere sulla vita. Il tutto condito da una sana dose di ironia, com’è nei romanzi di Camilleri e come il regista Alberto Sironi, sempre lo stesso in questi diciotto anni, è riuscito a rendere alla perfezione.

Se nel 2012 la Rai ha provato a rilanciare il personaggio con Il giovane Montalbano (attualmente siamo a quota due stagioni per dodici episodi), gli originali rimangono inarrivabili: e per fortuna se ne sono accorti anche in Viale Mazzini, tanto che quest’anno hanno deciso di regalarci ben due nuovi episodi – per poi naturalmente proseguire a nastro con tutta l’archeologia del filone, ché mica possiamo girarne troppi in un colpo solo. Il primo, Il covo di vipere, è andato in onda lunedì 27 febbraio, e Rai Uno ha sbancato che manco con Sanremo: drammi familiari, eredità contese, uomini troppo innamorati delle donne e donne troppo gelose o troppo arriviste sono stati gli ingredienti fondamentali. I classici della serie, insomma, con una novità: un bravissimo e ancora più allucinato del solito Alessandro Haber nel ruolo di Camastra, barbone illuminato con un passato sofferto ed illustre.

Questo nuovo episodio è riuscito ad incollare milioni di spettatori alla televisione, cosa impensabile per una qualsiasi altra fiction made in Italy: ora non resta che aspettare la seconda, e purtroppo ultima, new entry, Come voleva la prassi, prevista proprio per questa sera: io la tisana l’ho presa allo zenzero, e voi?

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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