
Mudbound: fiori nel fango
Il fango di Mudbound colora la pelle, bianca o nera che sia.
La prima cosa che viene da dire, mentre si guarda Mudbound, è “ma davvero facevamo di queste cose?“. Davvero li trattavamo così, li ingiuriavamo, li torturavamo? E davvero lo facciamo ancora? È la domanda istintiva (e forse banale, data l’ovvia risposta) che ci si pone di fronte all’ultimo film di Netflix, Mudbound, che racconta la storia di una famiglia bianca e una nera, e delle angherie che la seconda finirà per subire.
Quando Laura (Carey Mulligan) sposa Henry (Jason Clarke) non si aspetta di certo di finire a vivere in una melmosa fattoria sul delta del Mississippi, per esaudire il desiderio del marito di lavorare la terra di famiglia. Ma Henry ha stabilito così, e così bisogna fare, trasferendo figliolette e padre anziano (e odioso) con loro. È il periodo della Seconda Guerra Mondiale, e il giovane e affascinante fratello di Henry, Jamie (Garrett Hedlund), è chiamato alle armi. Tornerà, vivo ma traumatizzato, contemporaneamente a Ronsel Jackson (Jason Mitchell), figlio della famiglia di neri che lavora per Henry sulla sua terra.
I due reduci si capisco, hanno vissuto le stesse esperienze, e stringono un’insospettabile amicizia fatta di ricordi comuni e simili dolori. La Guerra ha regalato l’illusione di un mondo nuovo fatto di nuove libertà, ma giù nel Mississippi bianchi e neri devono stare ben divisi, anche se quei neri hanno servito la patria e combattuto rischiando la pelle. È facile immaginare, quindi, come il rapporto interrazziale tra i due diventi in fretta motivo di rancore nel paese, soprattutto da parte del padre di Henry, legando le due famiglie con un doppio filo fatto di fango, quello su cui vivono, e odio, quello che devono sopportare.
Mudbound significa, letteralmente, legame di fango. È il fango che Laura racconta di avere addosso costantemente: sulla pelle, sui vestiti, sui capelli. È il fango che odia e sul quale è costretta a vivere da brava madre e moglie, che è obbligata a sopportare. Ma è anche il fango che i Jackson invece lavorano alacremente, come via di fuga da una tradizione di schiavitù: la terra che zappano, rivoltano, seminano, sulla quale sudano, sanguinano e muoiono, quella terra è loro, non di chi la possiede sulla carta. Il fango li unisce, volenti o nolenti, e li sporcherà dentro e fuori fino alla fine.
E il fango di Mudbound macchia un po’ anche noi, lasciandoci sulla pelle le tracce di un dramma storico e sentimentale, forte e potente. Merito della regia e della sceneggiatura di Dee Rees, regista afroamericana, del materiale originale di partenza, il libro di Hillary Jordan, e delle ottime interpretazioni di tutti i protagonisti. Personaggi caratterizzati da volti duri e segnati dalla vita, e da monologhi che ricordano le parole asciutte di William Faulkner e della sua saga familiare di As I Lay Dying. Non solo i personaggi principali brillano (in mezzo al fango), anche i co-protagonisti regalano grandi prove. Come quella di Mary J. Blige nella parte della madre granitica di Ronsel, o di Jonathan Banks, il terribile padre di Jamie e Henry.
Sicuramente un film da vedere, e da ricordare.