
Muere, Monstruo, Muere: il mantra che avvelena
31 Ottobre – Il Q & A con Simon Rumley (regista di Once Upon A Time In London) è appena finito. Ormai sono le 23 e c’è ancora un film da vedere: un giallo argentino, che ci è stato fortemente consigliato. Molti di noi sono stanchi, ma comunque veniamo invitati a tentare di resistere. In fondo, come viene anche ribadito nella presentazione, questo film è davvero adatto alla notte che stiamo passando: la notte di Ognissanti.
Si può fare. Per chi resta, il Nightmare presenta Muere, Monstruo, Muere (anche abbreviato MMM).
Sigla del Nightmare. Nero. Un gregge di pecore. Una donna pastore avanza verso di noi, ha un’espressione vacua e stanca e un taglio sulla gola. Dal collo comincia a fiottar sangue: il taglio si sta aprendo a poco a poco. La testa della donna si sta staccando e sta andando all’indietro rispetto al tronco. “La trattiene” – ci diciamo con Lorenzo di Der Zweifel. Puntuale, la mano della donna va sul retro del capo e lo rimette in asse. Nero. Il film inizia.
Basterebbe già un inizio così, che getta le basi per lo spettacolo che introduce, per fare colpo su qualsiasi genere di spettatore, nel bene o nel male…
Seguiamo le indagini dell’ufficiale Cruz (Victor Lopez, in una bellissima e sofferente interpretazione) alle prese con un’infernale serie di omicidi: delle donne vengono violentate e brutalmente decapitate. Il nostro intuisce presto che qualcosa non quadra: le vittime presentano delle strane tracce che fanno pensare ad un colpevole che difficilmente potrebbe essere umano.
Lo sviluppo dell’indagine porterà a farci numerose domande sull’effettivo colpevole dei delitti. Qual è la sua identità? Che tipo di ascendente ha sui protagonisti il suo operato? Che rapporto li lega? Perché tutti continuano a sentire questo mantra, questo continuo e assillante Muere Monstruo Muere?
Possiamo dire che il film, tenga molto a mantenersi enigmatico per il suo spettatore.
Ogni cosa mantiene sopra di sè un leggero, ma opaco, velo di mistero, persino i personaggi. Non solo il nostro detective ha una sola espressione granitica, simile quasi ad una maschera neutra, ma anche il resto del cast si mantiene su di un’espressività uniforme, che richiede attenzione per venire decifrata. Questo perché pur essendo intricato nella sua interpretazione, Muere, Monstruo, Muere ci dà comunque la possibilità di comprenderlo, dandoci indizi preziosi nel corso.
Azzardandoci nelle pericolosissime acque dello spoiler, potremmo suggerire, per chi avesse qualche perplessità vedendo quelle sequenze finali, di considerare una lettura di H. P. Lovecraft (autore conosciuto soprattutto per il ciclo di Chtulhu). Diciamo, infatti, che è vitale comprendere il legame fortissimo che può riguardare un meraviglioso paesaggio, frutto di miliardi di anni di trasformazioni, i suoi abitanti e un essere dalle strane sembianze (quasi vicine a quelle di una divinità primordiale, data la sua forma sessuale).
Questo è molto importante tenerlo presente, altrimenti non ci spiegheremmo quello che Cruz farà nel corso dell’indagine. Il suo è bizzarro come metodo, ma, di certo, porterà i suoi risultati (analogamente a come avveniva con l’agente Dale Cooper nella zona di Twin Peaks).
Il legame con Twin Peaks (soprattutto con la terza stagione), in fondo, non credo sia totalmente campato in aria. Muere, monstruo, muere ha i tratti di un giallo fantastico molto quadrato nelle riprese. Raramente barocco, con una regia molto attenta alla creazione di lunghe inquadrature fisse di grande bellezza, quasi pittorica. Il paesaggio è immerso in una costante oscurità e in una costante nebbia che lo rendono più surreale ed indefinito. L’atmosfera in cui ci immergiamo è soffusa, ma costantemente intrisa da una fortissima tensione.
È forse questo il pregio maggiore del film: il modo in cui tratta tensione e angoscia.
In questo film quasi non esiste il jumpscare. Sembrerebbe impossibile ad oggi concepire senza un film dalle tinte horror, ma è chiaro sin da subito che in questo Muere, monstruo, muere Alejandro Fadel tenga conto di quel che noi possiamo o no aspettarci solo per trovare il modo di disattenderlo (come i migliori maestri hanno sempre fatto).
Il terrore, ad esempio, viene espresso in modo davvero interessante dai personaggi, che, di fronte a un certo tipo di eventi, rimane molto sottile, ma non per questo sottotono o spento. Le loro reazioni sono strane e non ci lasciano perplessi o infastiditi, perché è chiaro che quello che stiamo seguando è un contesto molto particolare.
Non puntando allo sgomento dei protagonisti e sperando, tuttalpiù, di ottenere il nostro, il film procede attraverso linguaggi e scelte diverse da quelle di un film dell’orrore tradizionale.
Perché forse non è nemmeno paura quel che vuole darci questo film, ma profondissima inquietudine e paranoia. E il regista riesce ad ottenere da noi tutto questo, riservandosi un ottimo posto tra i concorrenti del Nightmare di Ravenna.