
Mute – Il meraviglioso, folle e perverso mondo di Duncan Jones
L’attesa è finita. Mute è uscito, finalmente!
Datemi pure del fanboy, ma io questo film lo attendevo manco fosse la seconda venuta di Cristo! Ho ancora un po’ di tremarella mentre scrivo e non so se è perché sono super gasato, oppure ho in corpo una dose eccessiva di caffeina. Faccio un respiro profondo… prendo una dose di camomilla… Partiamo, ora vi racconto di Mute, il nuovo film di Duncan Jones.
“I’m back, bitc**s!”
Eh sì Duncan, ora sei tornato per davvero. Per i pochi che non lo sapessero, il talentuosissimo regista britannico si è fatto conoscere al grande pubblico grazie allo splendido Moon, proseguendo la carriera con l’ottimo Source Code; le prime aspre critiche arrivano dal mondo dei videogame e non solo, per il discusso Warcraft. Un tonfo pericoloso, tanto che molti lo davano già per fritto. “Un regista sopravvalutato”. Chiacchiere da bar.

Mute non sarà un capolavoro (perché dev’essere il tempo a deciderlo, non i fanboy come me), ma è pura fantascienza. La fantascienza che ha reso grande il piccolo Zowie Bowie (nds, da un grande artista non può che nascerne un altro).
Il Muto, il Baffuto e pornografia berlinese
Ma di che parla questo film? È la storia, o meglio, le storie, di Leo e Cactus, legate da un destino beffardo: il primo è un barista muto alla ricerca della fidanzata scomparsa, il secondo un disertore americano della guerra in Afghanistan, latitante in questa Berlino del futuro. Il barista tutto muscoli è un sorprendente Alexander Skarsgard, introverso e non solo di bella presenza; un ruolo non facile, ma privato della parola, mostra comunque un discreto carisma su schermo.
Il nervoso, irruento e aggressivo Cactus è invece… Paul Rudd?! Sì, l’amorevole Paul Rudd, uomo da commedia per tutte le famiglie è un medico/macellaio/alcolizzato con un paio di baffi da pornostar anni 80 e un solo obbiettivo, ottenere i documenti per tornare in America.
A loro due, si aggiunge il personaggio (secondo me) più interessante, Donald, ovvero Justin Theroux. Il compagno di Cactus è un disturbato e disturbante chirurgo di guerra, eccessivo come la Berlino di Mute, dove tutti bevono e vanno a putt… ehm, prostitute, dove a comandare sono le piccole organizzazioni criminali e dove in questa città si annidano le più strane perversioni sessuali.
Già, Berlino. Una città futuristica che perde parte della propria identità per uno sguardo più ampio, cosmopolita. Non può non ricordarmi la Los Angeles dei due Blade Runner (specialmente quando è fotografata sotto la pioggia battente), o l’ambientazione e l’impatto visivo del Ghost in the Shell con la Johansson, ma tutta la messa in scena di Mute è davvero suggestiva e brilla di luce propria. CGI mai invadente, fotografia che calza a pennello e grande attenzione al dettaglio. Perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Benvenuti nel suo mondo
Cosa c’è però, in questo film, che mi stuzzica e affascina particolarmente? È la sua delicatezza, mescolata al noir, a rendere Mute un’ottima combinazione di emozioni. Il ritmo non è di quelli indimenticabili, ma non pesa assolutamente, come le due ore belle piene di durata. Il film ha buoni momenti comici, scene disturbanti e inquietanti e, come chicca, una piccola sequenza in POV che vi taglierà il fiato.
Il dramma non è mai invadente o mai proverà a strapparvi la lacrima facile; discorso che vale anche per Moon e Source Code, questo profondo sentimento spingerà i protagonisti a lottare per amore o per salvare la propria famiglia. Emozionare e trasportare lo spettatore è più facile se poi alla colonna sonora hai un genio, UN GENIO, come Clint Mansell, che dopo Moon torna a collaborare con Duncan e non delude le aspettative. Ma, in fondo… come mai potrebbe?!
Oh già, dimenticavo, The Bad Guys. Per la prima volta, Jones mostra la follia e le debolezze dei suoi due cattivi, fin’ora, per eccellenza. Disturbati e fragili, macchiette al punto giusto, sta a voi decidere se provare pietà o condannarli, facendogli vedere L’esorciccio sui ceci per giorni o fargli anche di peggio.

La sorprese inaspettate e inattese
Ora però, i tasti dolenti. O meglio, uno solo, ma da matita rossa. La narrazione: si poteva, si doveva, fare qualcosa in più; non mi sento di condannare quello che, per me, è l’unico grande difetto del film (a differenza dei critici americani che lo stanno massacrando). Come già vi ho detto, Mute alterna le storie interconnesse di Leo e Cactus, ma era davvero quello che la gente si aspettava?
Le avventure di Leo hanno troppo poco screen time, rispetto a Cactus, quello che, a posteriori, deve essere considerato a tutti gli effetti un secondo protagonista. Non nascondo che mi sono divertito comunque, ma il film avrebbe sicuramente retto sulle spalle di uno Skarsgard, come detto, parecchio sorprendente. Era la mia preoccupazione maggiore prima di vedere il film, ora il mio rimpianto!
Al di là di questo neo, Mute è un progetto molto intimo, sentito e voluto. Un possibile capitolo di un nuovo universo cinematografico, promosso senza lode ma, per me (che non ci capisco niente, sia chiaro), uno dei migliori prodotti originali Netflix. Perché il più semplice dei gesti, può nascondere in sé una grande storia.
