
Nel fantastico mondo di Oz: viva quel film che ci faceva venire gli incubi
Le avventure nel mondo di Oz sono pressoché infinite, tant’è che fino a poco tempo fa ero convinta che molte delle trasposizioni televisive, cinematografiche e anche teatrali (consigli per gli acquisti, oltre Wicked che è obbligatorio: Tin Man con Zooey Deschanel!), fossero pura fanfiction. Invece, sorpresa: L. Frank Baum si era sbizzarrito e aveva scritto una quindicina di libri, molti dei quali veri e propri spin-off di determinati personaggi. Due fra questi libri, Il meraviglioso mondo di Oz e Ozma, Regina di Oz, furono la base per uno dei film su Dorothy Gale & co. che più di tutti scioccò le blockbuster nights delle famigliole sul divano: Nel fantastico mondo di Oz.
Fate una prova: cercate su Google Nel fantastico mondo di Oz (in inglese: Return to Oz) e divertitevi a contare quante recensioni negative ci sono, tutte corredate da diciture come “traumi infantili”, “incubi assicurati”, “infanzia rovinata”, e, ovviamente, “non adatto ai bambini”. Sono tentata di mettere link a cose ben peggiori, tipo un’accurata analisi da parte degli Illuminati (capite!? GLI ILLUMINATI!) su come questo film sia un esempio da manuale di MKUltra, lavaggio del cervello, riprogrammazione dell’individuo e altre meraviglie complottare del genere (confessione: ci ho messo tantissimo a scrivere questa recensione perché non ne potevo più dal ridere).
Ok, non nego che di scene un tantino creepy ce ne siano quattro o cinque, che l’atmosfera sia agli antipodi di quella arcobalenosa del musical con Judy Garland, che il ridente mondo di Oz sembri il Sacco di Roma e che i cattivi siano dei cattivi veri. “Non siamo più nel Kansas”, sul serio. Però… però niente invece, perché anche queste cose rendono Nel fantastico mondo di Oz un’avventura come poche altre. Con buona pace di occultofili e genitori apprensivi (se volete proprio sapere come la penso su questi ultimi, leggete qua).
C’è anche un altro motivo se Nel fantastico mondo di Oz era catalogato come “film da non guardare la sera sennò ti vengono gli incubi”: trattasi di film Disney, ma per la regia di un tale Walter Murch, all’epoca (1985) uno stimato montatore audio e video – o, come ci piace più oggi, videomaker. Il signor Murch si beccò due Oscar per Il paziente inglese e lavorò con gente tipo George Lucas, Francis Ford Coppola e tutta l’allegra brigata degli anni ’70-’80; Murch, poi, era fra quelli a cui piaceva ispirarsi un po’ (tanto) a Winsconsin Death Trip, un libro di culto negli anni ’70, dal quale, grazie ai racconti delle terribili condizioni di vita nel milieu della contea di Jackson, era facile ricavare un corredo di elementi alla American Horror Story: Asylum niente male.
Ed ecco, infatti, la prima cosa che fa gelare il sangue – ripeto, ai genitori, non ai bambini: c’è una specie di cornice/storia nel mondo reale che non è nei libri di Baum, in cui Dorothy soffre di insonnia e di incubi. Sogna il mondo di Oz, reale a tutti gli effetti per lei che l’ha visitato, ma una preoccupante allucinazione per zio Henry e zia Em, che decidono di portarla da uno specialista per farla visitare e, possibilmente, guarirla.
(da questo momento potrebbero sfuggirmi dei gigamegaSPOILER, quindi se non avete visto Nel fantastico mondo di Oz, GUARDATELO. E poi leggete.)
La cura miracolosa del dottor Worley, questo il nome del medico, è l’elettroshock.
La scena in cui Dorothy siede con la zia Em sul divano del dottore, e quest’ultimo spiega loro cosa accadrà, è qualcosa che, bene o male, da bambini abbiamo vissuto un po’ tutti. Non credo che nessuno abbia mai ricevuto scariche elettriche al cervello, ma quanti di noi hanno ancora le tonsille al loro posto? Bene, io ce le ho, ma ancora ricordo il terrore quando l’ennesimo otorino disse a me “da domani starai meglio” e subito dopo ai miei genitori “vorrei operare immediatamente”. E poi, solo un bambino in lotta col mondo dei grandi può apprezzare appieno il senso di liberazione che si prova quando Dorothy riesce a scappare e a ritrovarsi di nuovo a Oz.
Tra l’altro: sarà un caso che lì i cattivi (il Re degli Gnomi e la Principessa Mombi) abbiano la faccia del dottor Worley e della sua terrificante infermiera, Miss Wilson? Questa qui, poi, è una premessa narrativa del tutto simile ad Alice nel Paese delle Meraviglie, Coraline e la porta magica, Jumanji, Sogno di una notte di mezza estate, …potrei andare avanti per ore e arrivare fino ad Hänsel e Gretel e oltre, cari amanti del gomblotto, c’è poco da tramare e da lamentarsi.
A quanto pare, gli incubi dei bambini esposti alla visione de Nel fantastico mondo di Oz sarebbero alimentati principalmente dalla presenza di cattivi veramente cattivi e veramente inquietanti.
Il Re degli Gnomi è una formazione rocciosa gigantesca, che acquista sembianze umane a ogni errore che Dorothy commette nel tentativo di liberare i suoi amici dall’incantesimo che li ha trasformati in soprammobili, ma che viene avvelenato dall’uovo della gallina Billina – e si scoprirà finalmente perché tutti urlano spaventati che “il Re degli Gnomi non vuole galline a Oz!”.
La Principessa Mombi, che nei libri di Baum è una vecchia strega, è qui una bellissima donna che possiede una collezione di teste intercambiabili, ognuna accuratamente chiusa nella propria teca – e, ovviamente, vuole anche quella di Dorothy: un mix micidiale fra la Regina di Biancaneve, Barbablù, la matrigna di Cenerentola e chi più orrorifici ne ha più ne metta. Pensiamoci bene, però: c’è qualcuno che da piccolo (ma non solo, mi azzarderei a dire) ha mai fantasticato di essere qualcun altro? Ecco, come pensavo.
Ma i personaggi che più di ogni altri spaventavano, raccapricciavano, terrorizzavano e ti facevano saltare tre metri sulla sedia alla loro prima apparizione, erano loro, i tirapiedi della Principessa Mombi: i Rotanti. Roba che da quel momento in poi scappavi a gambe levate se incontravi qualcuno con un carrello della spesa. In nessun altro caso una gif vale più di mille parole:
E non crediate che gli amici di Dorothy siano gli adorabili Spaventapasseri, Taglialegna di Latta e Leone Codardo a cui siamo abituati. No, Nel fantastico mondo di Oz Dorothy trova dei nuovi compagni, improbabili e tanto tanto malinconici: Jack Testa di Zucca (ti fischiano le orecchie, Tim Burton?), che le chiede il permesso di chiamarla “mamma”, dato che della sua non ha più notizie; Tik Tok, che può muoversi, pensare e parlare – “fa tutto, fuorché vivere”; e Gump, una testa di alce verde con corpo di divano e ali di piante, attivata grazie alla Polvere della Vita sottratta alla Principessa Mombi.
A confermare che Nel fantastico mondo di Oz era adatto ai bambini, eccome se lo era, ecco la mia personale motivazione: a me, da bambina, piaceva troppo. Chissà perché, poi. Non saprei dire se c’è un motivo preciso. Sicuramente mi dava una scarica di adrenalina deliziosa, come quando ti lanci a tutta birra da uno scivolo acquatico o sali su un ottovolante – esperienze provate un’unica volta in vita mia, evidentemente in un momento di dimenticanza del fatto che soffro di vertigini anche a fare step (sì, ce le ho tutte io). Poi, come Dorothy, ero una bambina curiosa, e tutto per me era un’avventura: le esplorazioni in giardino, le scorribande in bicicletta, cercare vecchi giocattoli della mamma in soffitta – ecco, la soffitta, quella sì che era paurosa… in più, c’erano tantissimi parallelismi visivi tra i luoghi del film e la casa-museo dei miei nonni, appassionati di antiquariato come nessun altro; la stessa poltrona di velluto verde in salotto, la mia sistemazione preferita per una visione ottimale della videocassetta, sembrava la sorella altezzosa e vestita a festa del vecchio sofà del film.
Ecco, dentro Nel fantastico mondo di Oz c’è tutto ciò che un bambino può desiderare: l’avventura, il gioco, la creatività, la lealtà dei propri amici, la vittoria, c’è ovviamente Davide contro Golia, e sì, c’è anche l’emozione pura di quel brividino lungo la schiena quando un Rotante sbuca fuori dal nulla o quando Dorothy viene inseguita da una Principessa Mombi senza testa.
Poi attenti, eh, che queste cose non ve le dice una cresciuta a pane e L’esorcista. Ve le dice una che piangeva come un neonato quando guardava Il re leone – e no, non quando moriva Mufasa, scena in cui rimanevo alquanto impassibile: quando le iene provavano a cucinare Zazu. Dovete fidarvi. Buona visione e sogni d’oro.