
Nella casa – Quando la scrittura diventa bisogno morboso
Nella casa: le storie sono ancora la nostra droga più pericolosa.
Come archeologi coi coccigi di T-Rex
Il potere logora chi non ce l’ha così come i film di nicchia logorano chi ha amici che glieli propina. Questa è una delle grandi regole non scritte del gioco del cinema, un po’ come la regola aurea del calcio “rigore è quando gli attaccanti della Juve si buttano in area l’arbitro fischia”. Beh, non è questo il giorno in cui scoprirete che il Vostro è uno di quei figli di Casal Pusterlengo che vi attirano come orsi col miele, inculandovi poi con uno sfondone francese che riflette sui valori del Comunismo strutturalista sulla base della filosofia heideggeriana post-relativista. Niente “ismi” quest’oggi, solo un film poco conosciuto, che però è bene rispolverare con amore, tatto e delicatezza, come archeologi con coccigi di T-Rex.
Liberamente tratto dalla piece teatrale El chico de la ultima fila, Nella casa ci racconta la storia del grigio professor Germain, insegnante di lettere ormai disilluso e abbandonato alla convinzione che i suoi studenti in quanto a scrittura siano degni unicamente di badile e sacco di rumenta. Un giorno però – ed è ciò che tutti gli scalognati insegnanti di lettere desiderano – uno studente si dimostra capace di scrivere qualcosa al di là di ogni aspettativa. Nel caso di Germain è Claude, che racconta di un weekend trascorso in casa del suo migliore amico e compagno di classe, Rapha. Come nel migliore dei romanzi d’appendice la narrazione si conclude con un pruriginoso “Continua…” che sarà la causa del disastro del professor Germain…
“Continua…”
Consegnandogli report settimanali, Claude racconta al professore del suo progressivo inserimento all’interno del nucleo famigliare degli Artole, del suo rapporto sempre più stretto col padre dell’amico e della sua infatuazione per la madre Ester, tipica donna in crisi d’identità del cinema francese, senza contare le scioccanti rivelazioni sull’amico Rapha.
Il ragazzo viene dunque spinto dall’insegnante ad indagare, a raccontare ciò che succede in casa Artole in punta di penna, a scrivere meglio, per diventare – in sostanza – ciò che lui aveva sempre sognato: uno scrittore. Il rapporto di Claude con la famiglia Artole diventa dunque sempre più morboso e il professore – pur messo in guardia dagli avvisi della moglie – a un certo punto non riesce più a sottrarsi da quella curiosità morbosa che i “Continua…” di Claude gli instillano, portando la storia verso un finale esplosivo…
Nella casa è, prima di tutto, un film scritto e diretto in modo superbo: Ozon riesce, con la sua regia pulita, quadrata e le frequenti incursioni metadiegetiche (mi hanno suonato alla porta, erano i Carabinieri, mi hanno detto: “Metadiegetico no, dai”) a ricreare un ambiente domestico con tutte le sue problematiche, le sue dinamiche e costruendo quello che alla fine diventa un thriller drammatico, capace di riflettere (e far riflettere) su quanto in realtà siamo esseri semplici, dipendenti dalle storie tanto da bambini come da adulti.
Nota di merito va agli attori, in primis Fabrice Luchini, interprete del professor Germain, capace di incarnare un uomo che ha ormai ha rinunciato ai suoi sogni e che li proietta nel giovane (ma alquanto sinistro) Claude, capace – da un certo punto in avanti – di tenerlo in scacco grazie alla sola forza delle sue parole, della storia che gli racconta e che centellina, sospesa da quei “Continua…” che alla fine del film hanno creato dipendenza anche nello spettatore.
Un film imperdibile, ricoperto forse da quella falsa copertina di “film intellettualoide” che non si merita manco per la fava, che si limita a raccontare una storia stupenda nel modo migliore.
Il senso di tutto alla fin fine è questo, no?