Film

Neorealismo anni Novanta: Ovosodo

“Vivevo in un mondo che non ammetteva sfumature: un congiuntivo in più, un dubbio esistenziale di troppo, ed eri bollato per sempre come finocchio”

I contrasti sono belli. Gli ossimori sono folli e originali, comici e interessanti. Quindi una fiaba ambientata nella periferia di Livorno non potrà che risultare una poesia spassosissima. Un romanzo di formazione tra “certi personaggi assolutamente irragionevoli, come Furio Brondi, che staccava la testa delle lucertole con un morso”, narrato con toni epici per giunta in toscano, non potrà che essere rocambolesco e assurdo.

“Poi c’era Silvano Ciriello, detto Wyoming, per una sua particolare abilità” (segue potente rutto del signor Wyoming, che pronuncia appunto WYYYYYYOOOOOOMIIIING)

Per la regia di Paolo Virzì (autore del più recente La pazza gioia), Ovosodo è questo e molto altro. Questo pluripremiato film del 1997 ci parla di temi semplici e importanti con intelligenza e tanta, tanta simpatia.

Nessuno esce vivo dalla Provincia

Ovosodo è anche un film sugli umili, sui non-proprio-poveri-ma-quasi. Piero Mansani nasce e cresce nella periferia livornese, una giungla in cui trovare una dimensione dignitosa non sembra tanto facile. La mamma di Piero è morta, il padre è un delinquente con la battuta pronta che entra ed esce di galera, mentre il fratello di Piero è affetto da un grave ritardo mentale. Un quadro di partenza non proprio roseo. Emanciparsi sembra quasi un’impresa impossibile senza un aiuto, che Piero riesce a trovare alle scuole medie nella professoressa Giovanna (Nicoletta Braschi, che in questo film dimostra di essere una valida attrice anche senza il marito). Giovanna è un’insegnante e un’amica per Piero, che divora libri su libri su suggerimento della professoressa e viene spinto da lei a frequentare il liceo classico.

Ovosodo: amici codardi e amori sfigati

Qui conosce Tommaso, personaggio chiave che svolterà la vita di Piero. Tommaso sembra uno scapestrato, ribelle, anticonformista, idealista appassionato. Trascina Piero nella sua vita di eccessi e follie, ma alla fine si rivela essere un figlio di papà che più figlio di papà non si può. E poi certo, le ragazze, in Ovosodo giocano un ruolo fondamentale. L’amore impossibile per Lisa (Regina Orioli), bella tenebrosa con la puzza sotto al naso, che annoiata gioca con Piero; lui, ingenuo per non dire tonto, ovviamente abbocca e rimane scottato. E gli studi, la carriera? Nulla di che, anzi direi proprio male male.

Piero in fondo non delude mai lo spettatore, rimane sempre intellettualmente onesto, brillante, nel suo piccolo una voce fuori dal coro. È tutto ciò che lo circonda a tradire e deludere il pubblico. Il pubblico, cioè noi, non Piero, che, vuoi per l’ingenuità che lo contraddistingue, vuoi per la sua bontà, incassa una delusione dopo l’altra in tutti i campi della sua vita, ma tira a campare abbastanza serenamente (seguono spoiler).

E la morale di Ovosodo è cruda ma necessaria: gli ultimi saranno ultimi. Piero alla fine non si emancipa più di tanto, trova un lavoro in fabbrica, si sposa con il “ripiego” Susy Susini (Claudia Pandolfi), chiama la figlia “Giovanna” come la professoressa, mette su famiglia e gli sta bene così. È felice? Forse no, ma è sereno. E in fondo il novanta per cento degli “umili” come Piero sarebbe disposta a mettere sotto al grande e morbido tappeto della serenità tante ambizioni aleatorie e sogni polverosi. Chi sono io per biasimare?

Tutte le mattine, prima di portare Giovanna al nido, e poi andare a lavorare in ospedale, Susy mi accompagna al lavoro in macchina. E tutte le mattine, che piova o ci sia il sole, lei mi dice la stessa identica cosa: “sei sempre più bello”. E io vado a lavorare contento. Chi lo sa, forse sono rincorbellito del tutto, o forse sono felice… a parte quella specie di ovo sodo dentro, che non va né in su né in giù, ma che ormai mi fa compagnia come un vecchio amico…

L’anti-American dream

Piero non è Chris Gardner de La ricerca della felicità, che con la sua intelligenza e bontà diventa un milionario. Forse gli manca un po’ di determinazione, un po’ di coraggio, un po’ di culo (quello ci vuole sempre, oh). Però sinceramente lo preferisco. E non perché i perdenti mi stiano sempre più simpatici (vabbé, ok, forse anche per quello, sarà che mi ci rifletto), ma perché è verosimile, perché è un ritratto onesto, perché non prende in giro, ma ti prende per mano. Non è ipocrita: è il dramma tragicomico di una condizione sociale comunissima.

Quindi carissimi amici del MacGuffin ve lo consiglio caldamente. Rimarrete estasiati dalla freschezza di questo film di rara ironia. Dai che il cinema italiano non fa così schifo. Volemose bbbene e alla prossima recensione.

Lucia Tiberini

Classe 1992. Dopo un'infanzia nella provincia di Perugia, dove trovo notti stellate e sagre del cinghiale, mi trasferisco a Bologna, dove trovo esami, vino e bonghi. Amo il mio ukulele (ma solo esteticamente: non so suonarlo), Dylan dog, gli arrosticini e non disdegno il cinema.
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