
Film
New York Stories, o di quanto è bello essere topi di città
Premessa: se siete amanti della campagna, della rilassata (alias agghiacciante) vita di provincia, del verde e della natura, questo film non fa per voi. Stiamo parlando infatti di un’ode alla metropoli, New York per la precisione.
New York Stories è un film del 1989 che vede alla regia tre diversi colossi: Martin Scorsese per il primo episodio, Francis Ford Coppola per il secondo, e il newyorkesissimo Woody Allen per l’ultimo. Tre modi diversi per stile e contenuti di raccontarla, ma soprattutto tre dichiarazioni d’amore per LA città.
Partiamo dal primo, che è anche il più riuscito: in Lezioni di Vita Scorsese mette in scena un Nick Nolte artistoide, borioso e squinternato, e la sua complicata relazione con l’assistente-modella – che alla fine lo lascerà, perché stare con un Bukowski è divertente solo per il primo quarto d’ora. Queste lezioni sono perlopiù girate in interni, e che interni: uno studio di un pittore che fa subito Greenwich Village, gallerie targate Chelsea e appartamenti che fanno capire su cosa si è basato Tom Wolfe per scrivere Radical Chic. La trama è piuttosto ininfluente, come per gli altri due episodi del resto, e quello che conta sono le inquadrature: sembra di stare a due passi da Pollock nei suoi migliori momenti creativi, e di essere assorbiti dalla sua stessa creatività.

Non si può dire lo stesso per La vita senza Zoe, ed è un peccato perché da Coppola ci si poteva aspettare molto di più: una bambina figlia di genitori ricchissimi e divorziatissimi (abbastanza simpatico il padre-musicista Giancarlo Giannini) si adopera, insieme ad aiutanti improbabili, per ricrearsi la sua insopportabile famigliola da Mulino Bianco. Il tutto è condito da luci fiabesche e scenari esotici che rendono il corto ancora più simile a un’insulsa storiella per pargoli; in sostanza, più Park Avenue e meno Estremo Oriente sarebbero stati apprezzati, dato il tema complessivo dell’opera.

Ancora diverso l’Edipo relitto di Woody Allen, praticamente un autoritratto del newyorkese più nevrotico sulla piazza: avvocato naturalmente ebreo è oppresso dalla madre Mae Questel, questa a una certa muore ma continua a perseguitarlo dall’alto dei cieli e a voler interferire con la sua vita privata, che nello specifico equivale a Mia Farrow. Meno efficace del primo episodio, ma comunque spassosissimo, oltre che il più devoto nei confronti della Grande Mela – stiamo parlando del più cittadino dei registi americani, del resto.

Tutti e tre i capitoli sono pervasi da un sapore nostalgico, non solo perché il tutto è stato girato in un decennio d’oro per l’America in generale e New York in particolare, ma perché è così che i tre registi vedono la loro città: impossibile ma indiscutibilmente affascinante come un amante che aspira nemmeno lui sa bene a cosa, affermata come un musicista di fama mondiale ma capace di stupire e di stupirsi come una bambina, invadente e al contempo adorabile come una mamma anzianotta.
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