Nightflyers di George R. R. Martin (sì, proprio l’autore del Trono di Spade) è una novella fantascientifica di neanche 150 pagine. Corta, sintetica, diretta, sembra fatta apposta per essere adattata in un lungometraggio di un’ora e mezza: praticamente non c’è bisogno né di aggiungere né di tagliare alcunché, basta convertirla in sceneggiatura e il gioco è fatto.
In effetti ci hanno già provato nel lontano 1987, ma basta il trailer per capire che il trash scorre potente in quel film. Nessuno avrebbe protestato se avessero deciso di realizzare un remake. E invece qualcuno deve aver pensato: “Visto che Game of Thrones va forte in tv perché non facciamo lo stesso con quest’altra opera di Martin?”. Così si è optato per una serie. Il risultato? Non dei migliori.
Prodotta da SyFy ma distribuita a livello internazionale da Netflix, Nightflyers segue a grandi linee la trama dell’omonima novella: convinto dell’esistenza di una razza aliena denominata Volcryn, l’astrofisico Karl D’Branin (Eoin Macken) organizza una spedizione diretta nello spazio profondo per intercettare la loro nave e stabilire un contatto.
A tal scopo lui e la sua squadra – la geneticamente potenziata Melantha Jhirl (Jodie Turner-Smith), la psicologa Agatha Matheson (Gretchen Mol), lo xenobiologo Rowan (Angus Sampson), l’hacker Lommie Thorne (Maya Eshet) e il telepate Thale (Sam Strike) – salgono a bordo del Nightflyer, un’astronave avanzata comandata da Roy Eris (David Ajala), figura misteriosa che comunica solo attraverso ologrammi. Durante il viaggio si verificano però eventi strani e inquietanti, che mettono in pericolo non solo la missione, ma anche la vita stessa dei membri dell’equipaggio.
Si tratta di una premessa intrigante, da cui si sarebbe potuto trarre una bella space opera dalle venature horror, sulla falsa riga di Alien e Punto di non ritorno. Sfortunatamente la decisione di trasformarla in una serie si è rivelata deleteria.
Nightflyers cerca di stirare l’intreccio della novella nell’arco di 10 episodi da 40 minuti ciascuno. Lo fa naturalmente allungando il brodo il più possibile. E quindi giù con sottotrame inventate per l’occasione: dalla sonda cronenberghiana al passato di Lommie, dalla setta delle pazze cannibali ed estrattrici di sperma (non sto scherzando!) alle spore killer e così via. Tutta roba inutile, che non aggiunge nulla di rilevante alla storia principale e serve solo a riempire le puntate.
Va da sé che a rimetterci è il ritmo. Nightflyers è una serie tediosa, che a fatica riesce ad intrattenere lo spettatore, men che meno a coinvolgerlo. Come se non bastasse, ammazza sul nascere quello che poteva (e doveva) essere il principale motivo di interesse, svelando già negli ultimi minuti del terzo episodio il mistero che si cela dietro gli oscuri fenomeni della nave. Una scoperta che nel racconto di Martin avveniva giustamente solo verso la fine della storia.
A questo punto ci si aspetterebbe che almeno l’elemento orrorifico funzioni. Purtroppo tanto è tesa e ansiogena la novella quanto fiacca è la serie. Nightflyers non è in grado di suscitare uno spavento o un brivido che sia uno, al massimo ciò che provoca è sbadigli. Per compensare prova a giocarsi la carta dello splatter e del “proibito” (tipo accanirsi su animali, donne incinte e neonati), ma niente di quanto proposto è davvero sconvolgente.
Altrettanto deboli sono i personaggi. Ad eccezion fatta di D’Branin (l’unico ad avere un briciolo di personalità), tutti gli altri sono semplicemente piatti, caratterizzati in maniera stereotipata e privi di veri archi narrativi. Alcuni addirittura si trovano spesso a compiere azioni forzatissime o ridicole. Tanta è la sciatteria con cui sono costruiti che, tra il sesto e il settimo episodio, Nightflyers preferisce compiere un improvviso salto temporale di otto mesi piuttosto che impegnarsi a mostrare nel dettaglio l’evoluzione dei rapporti tra i soggetti coinvolti.
Ora non vorrei tirare in ballo la SCTB, ma ad aggravare la situazione ci pensa il fatto che i protagonisti non hanno quasi nulla in comune con le rispettive controparti cartacee. Prendiamo Melantha ad esempio. A livello puramente estetico sarebbe anche perfetta: bella, statuaria e lievemente androgina, la Turner-Smith ha il physique du role giusto per dar corpo a una donna dal dna migliorato. Peccato che, mentre la Melantha della novella è tosta, sicura di sé e anche un po’ sbruffona (non fa che ricordare agli altri di essere un “modello perfezionato”), quella della serie passa la maggior parte del tempo a piangersi addosso fin oltre il sopportabile.
Lo stesso D’Branin, da luminare di mezza età calmo e ragionevole, sempre incline a confidarsi con Eris (per cui nutre profondo rispetto), diventa un belloccio impulsivo, tormentato dal ricordo della figlia defunta e perennemente incazzato con tutti, in primis proprio con il capitano del Nightflyer. Quest’ultimo, da parte sua, perde tutto il fascino e la saggezza della versione di Martin, divenendo al contempo protagonista di una serie di plot twist, relativi alla sua identità, uno più ridicolo dell’altro.
Potrei parlare ancora di quanto siano povere e anonime le scenografie o di come gli effetti speciali siano quasi a livello Asylum, ma sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. La verità pura e semplice è che Nightflyers è l’equivalente seriale di una pellicola di serie Z, un prodotto mediocre al cui confronto persino The Cloverfield Paradox pare un capolavoro.
E giusto per non farsi mancare niente, aggiunge al danno la beffa: l’ultimo episodio termina con un cliffhanger destinato a rimanere irrisolto poiché la seconda stagione è stata cancellata. Una faccenda irritante non tanto perché muoia dalla voglia di sapere come continua la storia (di cui non potrebbe fregarmi alcunché) quanto per la sensazione di aver perso tempo prezioso per una serie che non ha nemmeno un finale.