
Non essere cattivo: un gioiello del nostro (desolato) panorama cinematografico
Sono passati circa cinque mesi da quando per la prima (e ultima) volta andai al cinema a vedere Non essere cattivo.
Ce l’ho ancora stampato nel cervello. Sono uscito dalla sala col belino (il pene, in genovese) durissimo. Davvero una FICATA.
Location del film: Ostia, metà anni ’90. Cesare e Vittorio sono amici da una vita. Ma un’altra cosa li accomuna: la droga. Pippano cocaina e mangiano pasticche di ecstasy con la stessa frequenza della mia dipendenza decennale da Golia Activ Plus. Naturalmente mangiare tutte sta pastiglie li manda in botta e dunque fanno cose da ragazzi parecchio maleducati tipo rapine, risse, coltellate, fucilate ai pedoni, botte ai napoletani migrati a Roma, uccisione di gatti. Per i primi minuti ho avuto la frequenza a trecento. Io non dico cazzate. Ero teso come uno stendino. Brividi mi permeavano il corpo come una ragazzina dopo un bacio datole dal più fico della scuola (che non sono mai stato io, purtroppo). Portatevi un cardiofrequenzimetro: adrenalina a cannone.
(Da qui in avanti spoiler!)
Bene, torniamo al film. Cesare e Vittorio dunque. Amici da sempre, cresciuti nei sobborghi ostiensi. Drogati marci. Prima scena, Lido di Ostia: Cesare becca Vittorio con un Cornetto in mano – il gelato ghiotto, sì – e glielo caccia per terra. Eh sì, Caligari qua si autocita e apre il film con una scena precisamente identica a quella con cui aveva fatto partire il suo primo lungometraggio, Amore Tossico, meravigliosa pellicola del 1983. Comunque i due non sanno cosa fare e allora si mangiano due pastiglie di D R O G A e vanno a scorazzare come maldestri con la macchina: “È NA BOMBA, CORRI VITTO’!”. In sottofondo una musica tamarrissima da gabberino-truzzo-tamarro con la maglietta di Angel Devil. Arrivano ad una discoteca. Non li fanno entrare. Si incazzano come iene. Allora vanno al bar.
A bere qualcosa , voi penserete. NO. Vanno al bar, sì, ma poco prima di entrarci hanno già, nell’ordine: preso a sediate un siciliano, suonato una banda di terroni, tirato quattrocentonovanta pugni, preso di peso una macchina e distrutto qualsiasi cosa gli sia capitata sotto gli occhi. In tutto ciò, Vittorio, con la sua fidanzata, che era lì, fuori dal bar, è davvero dolcissimo: “Vattene a casa, che sembri una puttana!”. Vittorio è davvero molto gentile, forse uno dei personaggi più gentili del mondo. Un bravo Cristo si dice nella mia città. Un ragazzo buono, di quelli che ce ne sono pochi.

Ma non c’è solo questo. Non essere cattivo non è solo droga, botte, birra, cocaina, sediate ai siciliani e ecstasy. I due protagonisti sono uomini soli, due fantasmi che dalla loro esistenza sono stati letteralmente divorati. Ma a un certo punto, a Vittorio, la vita sembra indicare la strada giusta: si trova un lavoro, una compagna, si disintossica. Cesare, figlio di una madre malata e con una nipotina colpita da Aids, non sembra invece riuscire a divincolarsi dalle sabbie mobili in cui è impantanato. La loro è una storia come tante: due ragazzi con un brutto passato alle spalle che tentano una rinascita; ma qui, la performance attoriale, è al di là di ogni aspettativa. Luca Marinelli (che ritroveremo in versione “Joker” in Lo chiamavano Jeeeg Robot) e Alessandro Borghi (rispettivamente Cesare e Vittorio) bucano lo schermo. Credo che neanche l’anima più lacerata della storia potrebbe riuscire a non farsi coinvolgere da un’interpretazione talmente realistica, straziante, inficiata di verità. Una performance encomiabile, che trasuda realtà, sublimata da una regia eccezionale. Caligari fa di secondo nome Gesù, e il suo amore sconfinato per Martin Scorsese (altresì detto Dio) lo assurge, appunto, a rivelarsi un grande della settima arte.
Cinematograficamente parlando, in Caligari (non solo qui, ma anche ne L’odore della notte, il meraviglioso noir a tinte fosche che il cineasta italiano girò nel 1998), c’è tanto tanto, tanto, tanto, tanto, tanto Scorsese: Piani sequenza atomici, carrellate godereccie, ralenti da mani nei capelli, il tutto correlato da un montaggio diabolico, freneticissimo, aggressivo. Dai cazzo, i movimenti di macchina di Martino sono “la vita”, sono essenziali. E Claudio li omaggia continuamente. E quindi come si gode di fronte a Goodfellas (Martino, 1992), si gode anche di fronte a Non essere cattivo.

In Non essere cattivo il dramma è palpabile visivamente. Un realismo di borgata crudo e viscerale. Non vi dirò come la storia si sviluppa, se, come, quando e perchè Cesare e Vittorio riusciranno o meno a stagliarsi, definitivamente, su orizzonti migliori. Ma una cosa è certa: se la vicenda narrataci da Caligari è indubbiamente drammatica, ancora più drammatica è la storia di Caligari stesso.
Il cineasta novarese è morto tre mesi prima dell’uscita del film nelle sale, prevista a ottobre 2015, all’età di 67 anni. Tre lungometraggi in trentatre anni. Grazie a Dio qualche anima pia si è prodigata per far sì che almeno questo (ultimo) grande lavoro potesse venire alla luce nonostante la prematura scomparsa del suo sfortunato ideatore.
Che dire in tutto ciò? A me viene da bestemmiare. Perchè di Caligari esistono, purtroppo, solo tre lungometraggi (uno più bello dell’altro), mentre Giulio Base continua a girare delle fiction con Massimo Dapporto che fa la suora e Nino Frassica che gioca a fare il maresciallo-menestrello. A Giulio Base lo finanziano. Il buon Claudio, un uomo che del cinema era davvero innamorato, causa i perennemente nulli finanziamenti, limita la sua filmografia a una manciata di titoli.
Mondo crudele, mondo crudele. Comunque, guardate sto film. Ci si fa anche tanto ridere (la sala è letteralmente esplosa almeno due volte).
-Visione con partner: dipende dal sesso. Una signora potrebbe spaventarsi per la forte maleducazione dei protagonisti, dei ragazzi molto rozzi. Un marito si fa le seghe a due mani.
-Visione con animale domestico: consigliata. Preferibilmente un opossum o un animale da cortile (tipo mucca).
-Visione con genitori: consigliata. Se “cinefili” ancora meglio. Così alla fine potranno raccontarvi di come abbiano notato che il film è chiaramente una sorta di Accattone (Pier Paolo Pasolini, 1961) dei giorni nostri. Il che è vero. Ma non ho voglia di menarvela, lo capirete da soli.
-Visione con la vicina/il vicino di casa: sconsiglio vivamente in caso quest’ultima/ultimo sia di eloquente bellezza e, magari, anche sprovvista/o di partner. Infatti, in tale caso, potrebbe sopraggiungere la voglia di scopare. Ma è meglio guardare il film. 🙂
Ps: il finale vi farà un po’ cagare. Ne sono certo. O magari no? 🙁