
Non sono un uomo facile: se il sesso debole diventa l’altro
“L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale ma in relazione a se stesso; non è considerata un essere autonomo“.
Questo scriveva, in tempi non sospetti, Simone de Beauvoir. In realtà, non c’è bisogno di andare a scomodare le sue pagine per vedere che, un secolo dopo, poco è cambiato; e se da un lato il dibattito sulla questione di genere si è via via acceso e arricchito, dall’altra rischia di sprofondare di continuo nel pinkwashing mediatico di Freeda & co.
La regista francese Éléonore Pourriat la maneggia con grande cura, la questione di genere, nel suo film Non sono un uomo facile. Una storia ricca di dettagli ma dalla trama molto semplice, che è più una domanda: come potrebbe un uomo vivere in un mondo dominato dalle donne?
Quale genere di ribaltamento
Damien, classico seduttore maschilista con la faccia da schiaffi, camminando per strada prende in pieno il palo con l’indicazione del cimitero di Père Lachaise, e questo, come una porta magica, lo fa risvegliare in un mondo al contrario. Quale ribaltamento ci sia stato lo si intuisce subito dal cartello, che ora indica Mère Lachaise: il mondo in cui si risveglia Damien è un mondo con le donne al potere.
Nel mondo di Non sono un uomo facile le donne pisciano in piedi, il corpo sessualizzato nelle pubblicità e per strada è esclusivamente quello dell’uomo, la birra e il whiskey sono alcolici da donna; è l’uomo che deve avere i capelli sempre in piega, mettere i push-up, ricorrere alla chirurgia estetica; dare della troia non ha senso logico, così come tutti gli insulti sessisti di cui il francese è stracolmo – e che in traduzione, per forza di economia, si perdono (a un certo punto hanno reso con stronzetta il ben più esplicito timbreuse, letteralmente “timbratrice”); i pantaloncini corti sono un capo da uomo, il rosa è un colore maschile, sulle scrivanie non si vedono offerte di cioccolatini o caramelle, ma di assorbenti interni; Steinbeck si chiama Jane e scrive Donne e topi, Bovarie è Monsieur e non Madame, persino Dio è donna.
Gli uomini, di contro, sono il sesso debole. Ed è tutto perfettamente normale – e la cosa peggiore che si possa fare con un comportamento sbagliato, è normalizzarlo.
Relazioni e ruoli precisi
Che ha da lamentarsi, allora, Damien, se in un mondo del genere gli uomini stanno nella bambagia, non si stressano con dei lavori logoranti, ricevono complimenti e regali? Non sono un uomo facile è anche il titolo del romanzo che la ricca e potente scrittrice Alexandra Lamour vuole scrivere su Damien per dimostrare che, in fin dei conti, ogni uomo non desidera altro che sposarsi e obbedire alla moglie, anche il maschilista più convinto – per forza di cose, anche maschilismo e femminismo sono concetti che si scambiano di posto.
Invece no, perché dietro questa pàtina di comfort c’è ben altro: c’è la certezza di non essere presi sul serio a un colloquio di lavoro e un mancato congedo parentale che costringe un padre a fare il casalingo (perché, come dice anche un poster in macelleria, è il padre che cresce il suo cucciolo); ci sono le presentazioni che sono sempre “Madame X e suo marito” e amanti che piangono, perché si sentivano intelligenti e invece erano solo uno fra i tanti; c’è tutta una cultura della depilazione, delle molestie, della colpa se si mangiano troppi dolci e se si corre per strada a torso nudo.
Stereotipi e pregiudizi facili
E ancora, a dimostrare che pregiudizi e stereotipi sono spesso arbitrari (come quella storia che in origine il blu era da femmina e il rosa da maschio), il ribaltamento di Non sono un uomo facile li snocciola uno per uno; ed ecco che l’uomo ha determinate caratteristiche comportamentali che, ancora, sono normali per il suo genere di appartenenza.
Come non pensare alle pressioni genitoriali sul figlio scapolo, uguali uguali alla cultura di sdrammatizzare a tutti i costi l’essere single, alimentata a suon di Bridget Jones e vignette rosa sui gattini. C’è anche un tentativo di ribaltare il taboo (sì, lo è ancora in parte) e la più grossa differenza biologica, le mestruazioni: “Chiedi a tuo padre, sono cose da maschi” è una risposta che zittisce ogni domanda scomoda (ciao, imbarazzante campagna pubblicitaria Lines).
D’altra parte, se un uomo è insofferente, sarà colpa di qualche problema ormonale – vi dice qualcosa l’etimologia del termine isterismo?
E naturalmente, nel più classico degli stereotipi, dov’è che Alexandra porta Damien quando questo ha nostalgia di gonne corte, calze a rete e tacchi a spillo? In un locale gay, dove le donne sono tutte vestite così.
Nel gioco del “facciamo che” ci si guarda da fuori, si prendono le distanze, si mette meglio a fuoco, e, se va bene, ci si vede meglio. Non sono un uomo facile non è una lezione spicciola di femminismo pop con tre o quattro concetti rimasticati; è una mostra, straniante, degli stereotipi di genere (che, pur ribaltati, rimangono). La regista non vuole fare femmine contro maschi nella lotta per la supremazia, ma anzi, vuole dimostrare che un discorso così è sbagliato di fondo.
Consiglio Non sono un uomo facile a tutti e a tutte, di tutte le età, perché non si è mai troppo in anticipo o troppo in ritardo per riflettere sul maschilismo e i suoi effetti, sperando in un mondo vero dove ci siano più film come questo e meno campagne antiviolenza con donne picchiate, dove non ci sia scontro ma sostegno reciproco, dove si smetta di dire che le femministe sono volpi (pure un po’ cesse) che non arrivano all’uva, dove del femminismo, a conti fatti, manco c’è più bisogno.