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Ode alla Coppa Tognazzi, tra cucina in via di estinzione e cinema come non ne fanno più

Vengo da una città che in realtà è poco più di un paese, e alla quale di recente hanno pure tolto il vanto del campanile in mattoni più alto d’Europa – pare che qualche posto sperduto in Friuli ci batta di qualche metro. È un paesotto piantato nel mezzo della Pianura Padana, che ha la non comune caratteristica di condividere la stessa conformazione climatica delle steppe mongole: ghiacciato in inverno, torrido d’estate. Ma sarà che noi italiani siamo dei nostalgici sentimentali, sarà che la mamma è sempre la mamma, sarà che certi luoghi acquistano un fascino particolare solo quando non ci stai più, fatto sta che, pur essendomi irrimediabilmente lasciata sedurre e adottare dal gran Milàn, un pezzettino di cuore è rimasto irrimediabilmente ancorato alla Bassa. Trapiantata in una città che ha fatto del brunch vegano la sua bandiera e che organizza cineforum del tipo “L’influenza pasoliniana nella Corea del Nord”, ogni tanto sento il bisogno di mangiare cose light come i fagiolini con le cotenne e di farmi la maratona dell’intero ciclo di Amici miei.

Ecco, in questo Cremona – per chi ancora non lo avesse capito, è proprio lei il paesello in questione – ha espresso una sintesi a dir poco perfetta: ha infatti dato i natali a Ugo Tognazzi, nato per inciso nel mio stesso giorno, ma con sessantotto anni di anticipo. Sul lato cinematografico è superfluo cantarne le lodi; forse però non tutti sanno che, oltre ad essere un fenomenale attore, regista e sceneggiatore, da buon cremonese era anche un amante dei fornelli. Nel 1974 uscì con la sua firma L’abbuffone, fantasmagorico ricettario post boom economico che farebbe impallidire il pranzo di Natale di qualsiasi nonna. Tanto per dire, compaiono cose come le linguine al salmone e prosciutto crudo, polpette fatte con manzo e prosciutto e marsala, paste dai colori e sapori improbabili. Panna a fiumi, che dico, a cascate, liquori di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza, macinati fatti con tutti gli animali del globo terracqueo, verdure inesistenti o alla peggio usate solo come base per un soffritto: L’abbuffone è il miglior antidepressivo sulla faccia della terra, e poco importa se il prezzo da pagare è un po’ di cellulite – d’altronde, ogni farmaco ha le sue controindicazioni.

Un libro mitologico per tutti i cremonesi, per gli amanti del buon cinema e della buona tavola, ma che pochi possono dire di aver davvero sperimentato: provateci voi a cucinare cose con quei tempi di cottura, o anche solo a trovare certi ingredienti quando il supermercato più vicino a casa si vanta di essere gluten-free. Complice una discreta dose di pigrizia, mi ero rassegnata a considerare le ricette di Tognazzi come una specie di leggenda campagnola, quand’ecco che un bel giorno, durante un giro in bici tra campi appena concimati, trattori sudaticci e zanzare grosse come elicotteri – suggestioni raffinatissime che solo la Bassa può regalare -, sono incappata in un ristorante di un paesino ancora più paesino di Cremona. Dove per inciso si mangia benissimo, e che di recente ha conosciuto la gloria grazie alle telecamere di un noto programma di cucina. Mossa dalla curiosità, da un grandissimo buco nello stomaco e da gambe che reclamavano un po’ di riposo, mi sono messa a sfogliare il menu, ed ecco che l’ho trovata: la Coppa Tognazzi.

Per i profani, la Coppa Tognazzi è una versione migliorata del classico tiramisù: più grassa, più ricca, più golosa, più alcolica. In sintesi: la crema al mascarpone rimane, eccome se rimane, la spolverata di cacao anche, mentre i savoiardi e il caffè vengono sostituiti rispettivamente con gli amaretti e, tenetevi forte, l’Alchermes. Ora, io pensavo che l’Alchermes si fosse estinto negli Anni Sessanta, o al limite comparisse in qualche casa d’altri tempi in quegli agghiaccianti mobiletti per liquori a forma di mappamondo. E invece è vivo e lotta insieme a noi, perlomeno a certe latitudini. Il suo sapore è una specie di zucchero liquido con una gradazione che potremmo definire illegale, il suo colore un inno alla gioia: un fucsia aranciato che fa subito pensare a un tramonto alle Maldive. Adesso immaginatevi, dopo un pasto preparato dal nostro Ugo, quindi con litri di panna, quintali di uova, e intere fattorie cucinate nei modi più impensabili, di concludere con una coppa dal colore della felicità, che ad ogni cucchiaiata diventa sempre più alcolica – se fate il bis rischiate di uscirne sbronzi.

Ecco, la Coppa Tognazzi è la perfetta sintesi di una certa poetica di nicchia: il canto del cigno di una cucina che si è ormai trasformata in specie protetta, l’equivalente al cucchiaio di quelle commedie amare, politicamente scorrette e esilaranti che adesso per girarle bisogna chiedere l’autorizzazione a ventisette associazioni diverse. Pare che il suo inventore organizzasse periodicamente cene con i suoi amici – Monicelli e Noiret, tra gli altri – e chiedesse loro una valutazione finale: io non c’ero, non ho visto le lochèscion né il servizio, ma secondo me il menu era sul dieci fisso.

E ora scusate, ma ho un apericena che mi aspetta. Però stasera mi faccio perdonare e mi guardo La grande abbuffata.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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