Serie TV

Odissea: O Rai, di quell’uomo di multiforme ingegno, dimmi…

Avevo circa otto anni quando mio padre, da sempre appassionato di mitologia greco-romana, decise di iniziarmi a dei ed eroi e lo fece nel modo più efficace per solleticare la mia curiosità: comprarmi una serie di libri meravigliosamente illustrati, tra cui appunto l’Odissea, che aprirono davanti ai miei occhi un mondo fantastico che Walt Disney levati.

Complice Kevin SorboHerculesSuperquark, tutto sembrava venire in aiuto del genitore nella sua missione, ma più che ad Ercole, la mia preferenza andava ad Ulisse, forse perché se la tira di meno e la fa a tutti, mentre l’altro fa lo splendido ma esegue come un lacchè le 12 fatiche per poi non ottenere una mazza ferrata.

Dopo un anno di training, papà concluse – con il sostegno di mia madre – che fossi matura a sufficienza per affrontare la prova del fuoco, la gara regina per ogni bambino impressionabile che si rispetti: stare davanti alla tv per tutti i 411 minuti dello sceneggiato Rai, Odissea, diretto da Franco Rossi nel 1968.

Dopo, il diluvio.

Ulisse/Bekim Fehmiu, re di Itaca, partito per la guerra di Troia, manca da casa ormai da vent’anni e di lui non si hanno più notizie.

Ad attenderlo la moglie Penelope/Irene Papas e il figlio Telemaco/Renaud Verley, mentre a palazzo si sono insediati alcuni principi delle isole vicine, i Proci, che, con la scusa di corteggiare la regina, fanno razzia dei beni di Ulisse.

Telemaco, convinto che il padre sia vivo, decide di partire in sua ricerca; quello che non sa è che Ulisse è prigioniero della ninfa Calipso, che solo dopo l’intervento divino si convince a lasciarlo libero, perché è scritto che egli torni a Itaca.

Dopo l’ennesimo naufragio, l’eroe approda all’isola dei Feaci, ai quali narra le sue incredibili avventure, dalla distruzione di Troia alla perdita dei compagni, in un viaggio lungo dieci anni, nel tentativo di convincere re Alcinoo ad aiutarlo a tornare a casa.

Siamo nel 1968, la tv è ancora in bianco e nero ma lo sceneggiato viene girato a colori, con l’idea di portarlo anche sul grande schermo (con durata notevolmente ridotta) ed è un successo fenomenale, ripetutosi nel 1977, quando viene trasmesso nuovamente, stavolta a colori.

È il periodo d’oro della fiction targata Rai, grandi registi propongono riduzioni accuratissime di classici, I promessi sposi, David Copperfield I fratelli Karamazov, per citarne solo alcuni, veri e propri trampolini di lancio per personalità come Giancarlo Giannini, Giorgio Albertazzi, Paola Pitagora e Loretta Goggi.

È una Rai che, partendo da Non è mai troppo tardi, programma condotto dal maestro Manzi, intende sì intrattenere ma anche istruire: la cultura entra agevolmente nelle case degli italiani, seguire questi sceneggiati diventa quasi un dovere istituzionale e la tv è un veicolo fondamentale, quasi più di oggi.

I miei genitori, divisi da circa 1.300 km di distanza, una a Nord e l’altro a Sud, sono concordi: guardare tutti gli episodi di Odissea, così come altre produzioni, era un momento di gioia, di raccoglimento familiare e di formazione.

Quest’immagine mi è sempre piaciuta moltissimo: l’idea di una famiglia, in un periodo in cui i divertimenti sono molto meno numerosi di adesso, che si riunisce, grandi e piccini, per continuare quella storia iniziata nell’episodio precedente.

Se ci aggiungiamo che ogni episodio è introdotto dalla lettura di alcuni versi di Omero da parte di Giuseppe Ungaretti e che questa chicca non esiste nella versione in DVD, allora sì, piangere diventa lecito.

Di tutti gli episodi, quello che più rimane impresso, anche per il livello tecnologico, notevolissimo, è l’incontro con Polifemo, diretto dal maestro dell’horror Mario Bava: parlando fuori dai denti, ancora oggi non mi sento tranquilla nel guardarlo da sola.

Cazzo se fa paura.

A fronteggiare degnamente il Ciclope c’è il Laerziade che sarà sempre e solo Bekim, l’attore slavo più noto dell’epoca (purtroppo morto suicida qualche anno fa), dall’espressione sorniona, con la sua recitazione misurata ed efficace. Beh sì, ha anche un bel fisico.

Degna sposa di cotanto marito è Irene Papas (Zorba il greco, Cristo si è fermato a Eboli), bella e altera nel suo incedere: una vera regina. Una donna tormentata, la cui angoscia si legge negli occhi scuri sapientemente bistrati.

Renaud Verley (La caduta degli dei), oltre ad essere una festa per gli occhi, piace perché il suo Telemaco è ingenuo e temerario come Omero lo concepisce: in generale, tutto il cast riflette fedelmente l’idea dell’autore, i Proci sono cattivissimi, Circe/Juliette Mayniel è una vera strega e Nausicaa (Barbara Bach, oggi nota per essere moglie di Ringo Starr) è eterea come da copione.

Ciò che è veramente apprezzabile, oltre alla cura filologica dei dialoghi, dei costumi e delle ambientazioni, è come rimanga intatto lo spirito del viaggio e dell’avventura, forieri di pericoli e insidie ma al tempo stesso forza motrice del protagonista, che – ora faccio la fiera – è archetipo dell’uomo moderno, spinto da sete di conoscenza.

Lasciando da parte i pipponi intellettuali, Odissea è una storia universale, godibilissima attraverso questa gemma della Rai, di quando ancora valeva la pena pagare il canone.

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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