Pirati dei Caraibi, 14 anni dopo
Se siete brave persone, e quindi accaniti lettori di The MacGuffin, non vi sarà sfuggito il mio allarmante feticismo per la saga di Pirati dei Caraibi. Vi mando a fare un ripassino per non ripetere quello che penso dei precedenti 3+1 episodi, che qui mica stiamo a pettinare le bambole vudù.
Vi avviso anche che la recensione conterrà spoiler, ma che saranno prudentemente nascosti. Se avete già visto il film cliccate sul “+” quando ne vedete uno! Se non l’avete visto, nel titolo accanto al “+” vi indico molto carinamente il grado di spoilerosità dello spoiler, così valutate voi se sbirciare o meno. Prego.
Sconsiglio la lettura di quanto segue a chi non prenda molto, molto seriamente la faccenda della pirateria.
La continuità con la trilogia
Diciamo che un po’ tutti vogliamo ricordare Pirati dei Caraibi 4 come uno spin-off. Una fan-fiction mediocre ma ad alto budget. Un qualcosa che NON C’ENTRA con la storia che abbiamo amato. E in questo La vendetta di Salazar ci soddisfa pienamente, riallacciandosi a distanza di una ventina d’anni alla trilogia (e accantonando qualsiasi deriva trash di preti con la tartaruga, sirene, Penelopicruz en travesti). Riprendiamo da dove eravamo rimasti: con Will condannato al comando dell’Olandese Volante e Henry, il figliolo suo e di Elizabeth, che cresce e vorrebbe tanto liberare il babbo dalla maledizione per riportarlo a casa.
Per farlo ha bisogno di un potente manufatto: il tridente di Poseidone, capace di spezzare qualsiasi maledizione dell’oceano. Di supercazzola in supercazzola, Henry si decide a chiedere l’aiuto di Jack Sparrow. Che però ovviamente ha altri problemi: Salazar, capitano fantasma, gli ha giurato tremenda vendetta. Non vi sto ad ammorbare con i dettagli, su, il film l’avete visto o lo vedrete tra poco. Mi sembra però rilevante sottolineare come il quarto capitolo sia del tutto insignificante per la linea narrativa del quinto.
I nuovi personaggi
Henry, fin dal trailer, si identifica al primo colpo come rampollo Turner: ha lo stesso sguardo basito di Orlando Bloom. Anche le motivazioni del personaggio sono in continuità totale con quelle di Will, al punto da venire quasi “date per scontate”. Spiace dirlo ma ormai il lavoro di caratterizzazione dei coprotagonisti gli sceneggiatori di Pirati dei Caraibi lo fanno col pilota automatico. Un peccato, per una saga che – almeno all’inizio – si è contraddistinta per la cura nel dettaglio della scrittura.
Andiamo leggermente meglio su Carina, la protagonista femminile: astronoma per passione accusata di stregoneria in un mondo maschilista – come ci ricordano le battute sessiste costanti che le rivolge la ciurma. Il tema della discriminazione di genere però viene raccontato senza pippe e senza pretese, con leggerezza. Molto spesso quando la Disney ci propina un personaggio femminile emancipato ci troviamo davanti a una specie di Ken Shiro in gonnella, capace di mandare a tappeto con astuzia e improbabili mosse di kung-fu qualunque kraken. Carina non è una guerriera della domenica: è semplicemente una ragazza sveglia, che ha passato la vita a studiare la “mappa del cielo” per svelare l’enigma lasciatole in eredità dal padre misterioso.
Ultimo, ma decisamente non meno importante, il nuovo villain Salazar (che qualcuno deve ancora spiegarmi il senso dell’omonimia col dittatore portoghese). Ebbene sì: il momento di pagare il mutuo è arrivato anche per l’ottimo Javier Bardem, in fila con una lunga schiera di valorosi per batter cassa a mamma Disney. Tutto bello, tutto giusto, e caruccetti i capelli che fluttuano, ma ogni tanto lo sguardo di Salazar tradisce la voglia di essere da un’altra parte, diciamocelo. In questo cattivo sembra non crederci nessuno: né gli sceneggiatori né l’interprete. Con Barbossa e con il magnifico Davy Jones eravamo decisamente su un altro livello qualitativo (notare che ho elegantemente omesso Barbanera).
L’evoluzione dei vecchi personaggi
E qui iniziano i guai. Mi concentrerò sui due personaggi principali, Jack e la sua splendida nemesi: il Capitan Barbossa. Due facce della stessa medaglia che si potrebbero quasi raccontare “al negativo” – tracciando un percorso coerente che prosegue in ogni episodio della saga.
Jack, per l’intera saga, ci viene raccontato come un personaggio che all’apparenza può sembrare un buffone, un buono a nulla. Ma capace di sfoderare grandi risorse e sempre con in tasca un “piano B”. Com’è come non è la sfanga ogni volta. Però… però è sempre Barbossa quello che riesce DAVVERO a ribaltare le proprie fortune, e che ritroviamo ad ogni episodio più idolo. Da Capitano della Perla Nera e corsaro del Re, da corsaro a comandante della più grande e importante flotta pirata dei Caraibi. Barbossa è quello che ti regala una gioia ogni volta.
Invece Jack… in questo Pirati dei Caraibi 5 il personaggio di Jack secondo me ha davvero una svolta interessante. Nel 4 si era trasformato in una macchietta di sé stesso, in un cartone Looney Tunes. La mia sensazione è che qui Jack si riappropri della sua tridimensionalità. Nel modo peggiore possibile.
Tutto considerato, se avete letto anche i due spoiler, questo quinto capitolo della saga piratesca più famosa del mondo a me sembra tanto…
L’epilogo di un’avventura
Sfiorando peraltro abissi d’inutilità con il cameo di Paul McCartney (che manco me lo fanno duellare con Keith Richards. Vi pare una cosa normale?), secondo me Pirati dei Caraibi ci saluta per sempre.
Qui lo dico e qui lo spero, qui lo nego e qui lo temo, ma… La vendetta di Salazar potrebbe essere l’ultimo Pirati. Ha tutto il sapore di una chiusura, per quanto riguarda l’evoluzione dei personaggi e lo sviluppo della trama.
Come me la vivrei, se la mia supposizione fosse esatta? Diciamo che stavo meglio prima. Diciamo che sarei stata meglio se si fossero fermati al terzo episodio, tirando le somme. Diciamo che sono comunque contenta di aver visto altre due avventure, anche se hanno praticamente demolito ogni mio adolescenziale entusiasmo: dopo aver visto La vendetta di Salazar ho voglia di andare a lavorare in banca e comprare folletti Vorwerk con tutti gli accessori, altro che avventure per mare. Lunga vita alle assemblee di condominio. E così via. Avete capito il mood. Sono emotivamente distrutta.
Se vi va di formare un piccolo gruppo di auto-aiuto, sentiamoci sulla pagina del MacGuffin, sventolando timidamente un Jolly Roger sbiadito.
P.s. trovate l’articolo anche sulla pagina dei nostri amici di Giornale7. Fateci un salto!