Film

Up: l’importanza di non abbassare lo sguardo

Non è facile trovare lungometraggi animati che ti fanno emozionare fin da subito. Di solito succede con quelli del tuo passato che albergano in un cassetto dell’anima, che si apre a comando quando senti urca urca tirulero, tutti quanti voglion fare jazz, c’è un serpente nel mio stivale, gatto! e, cavolo, potrei andare avanti ancora per molto. Ma non lo farò, altrimenti smetterei di scrivere per andare a recuperare il lettore VHS e infilarci dentro i classici Disney che ho gelosamente custodito in cassetta, rivedendo a distanza di anni tutte quelle storie con cui sono cresciuto, anzi, che mi hanno fatto crescere. Ma prima o poi lo faccio, promesso.

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Beh, avrete capito che mi è successa una cosa simile guardando Up, e sfido chiunque ad ammettere che, passati i primi cinque minuti del film, non vi ha fatto emozionare. Dove emozionare significa darvi un secco pugno allo stomaco da lasciarvi senza fiato. Perché ormai lo sappiamo tutti, la Disney (o Disney-Pixar in questo caso) inserisce sempre elementi adulti nei suoi classici. La vita è fatta così, ed è inutile mentire ai più piccoli indorandogli una pillola che tanto prima o poi dovranno mandare giù. Anzi, forse è proprio grazie a film come Up che i bambini di oggi crescono, imparando nella maniera più semplice, dolce e struggente quanto la vita possa essere bastarda, ma anche quanto possa regalarti gioie inaspettate, quando sembra che non ci sia più nulla per cui lottare.

up carl ellie

E infatti Up parla proprio di lui, Carl Fredricksen, lo stereotipo del signore anziano che urla alle nuvole (Cit.) ma solo se visto da fuori, perché al suo interno racchiude un mondo. Up, al di là della trama stessa (che alla Disney sembra non conoscano il termine banalità, fortunatamente) è una sequenza serrata di lezioni di vita. Che forse i più giovani magari non riescono ancora a cogliere, ma che trasforma un semplice film di intrattenimento in qualcosa di più, in quella pellicola a cui pensi sempre con un sorriso sulle labbra. Ma sto divagando, torniamo a Carl.

C’è una frase, nel libro Fai bei sogni di Massimo Gramellini, che credo rappresenti perfettamente la sua vita (e anche quella di molti di noi):

In fondo la mia vita è la storia dei tentativi che ho fatto di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo.

Questo è il protagonista di Up, un signore anziano che ha dovuto rinunciare a molti sogni, perché la vita funziona così: si fanno progetti, si alzano gli occhi al cielo, ma poi ci si vede costretti a rivolgerli a terra. Noi non vorremmo, ma purtroppo non possiamo farne a meno. Ed è proprio quando pensi di poter guardare di nuovo la vastità del blu che l’universo ti ricorda una delle sue lezioni più importanti: mai aspettare, altrimenti potrebbe essere troppo tardi. E infatti Carl pensava di essersi arreso, arreso ad un mondo del quale non sentiva più di far parte, troppo veloce e frenetico per la sua età. Ma certi sogni restano sopiti finché non eruttano dall’anima, e allora ecco un arcobaleno di palloncini sradicare la casa, abbandonando tutto quello che la teneva ancorata a terra, per dedicarsi finalmente a ciò che più conta: il sogno di una vita. Serviva solo una piccola spinta.

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Secondo Up infatti non è mai troppo tardi. Puoi aver perso tanto, quasi tutto, ma alla fine dipende da te: o nuoti o vai a fondo. Ed è quello che tutti i personaggi del film devono fare ad un certo punto. Soprattutto Russell, che rappresenta la controparte di Carl in tutto e per tutto. Sono due mondi che si scontrano ma inevitabilmente costretti a cambiarsi a vicenda, giovane e vecchio, passato e futuro. Un rapporto di amorevole odio li spinge a proseguire assieme, verso una meta tanto fisica quanto metaforica, cercando di raggiungere quella promessa che ha attanagliato Carl per troppi anni. Il ragazzino è proprio quella sua volontà di avventura che il tempo aveva soffocato, ma che una volta accesa nemmeno le ingiustizie della vita possono davvero spegnere.

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Inutile scavare troppo a fondo nella trama. Certo, sorregge il film e gli permette di scorrere con i soliti colpi geniali alla Disney-Pixar: la trasformazione della casa di Carl; tutti i cani (scoiattolo!); Kevin; le gag (bellissima quella di Russel che striscia contro il vetro, molto alla Griffin), ma non è la parte più importante, soprattutto agli occhi di chi il suo pezzo di vita l’ha già vissuta. Fa da perfetta cornice ai vari messaggi che Up ci consegna, sempre più adulti man mano che la pellicola prosegue. Perché il film, come ho già detto, non smette mai di insegnare, instillando nei più piccoli proprio quei messaggi che tante persone imparano purtroppo solo da adulte (un po’ come Carl).

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Infatti non bisogna mai credere troppo in un mito, mettendolo sopra un piedistallo per venerarlo nella sua teca di grandezza e perfezione. Perché se dovesse cadere e rompersi le schegge ci potrebbero arrivare dritte dentro il cuore, ferendoci come mai avevamo provato. Le persone possono deludere (e molto spesso lo fanno), tanto più se le abbiamo idealizzate senza nemmeno conoscerle davvero. Ciò non significa che bisogna smettere di credere, però rendersi conto che sono pochi quelli che meritano stima e rispetto, meno di quanti ci saremmo aspettati.

E poi che gli oggetti, alla fine della favola, sono soltanto oggetti. Si può lottare per preservarli, tentando di mantenerli inalterati nel corso del tempo, annullando il naturale scorrere delle cose come non volendo accettare che il mondo sta andando avanti e noi no, ancorati ad un’idea nostalgica che ci tiene incatenati ad una foto o un pezzo di legno. Ma dobbiamo imparare a lasciar andare, a capire che sono altre le “cose” che contano davvero. Quel “beh… è soltanto una casa” pronunciato da Carl, con serena accettazione, rappresenta proprio il senso di Up, cioè quel percorso vitale che si può fare anche da vecchi, ma che ti fa comprendere meglio te stesso e il mondo che ti circonda.

Ok, mi sono dilungato troppo con i miei sproloqui, ne avrete già le scatole piene. Una cosa però voglio aggiungere: Up è un film che deve essere visto. Una pellicola che si apre e si chiude con struggente dolcezza, che non può non occupare un posto tra gli scaffali della nostra anima. Se non l’avete ancora visto, promettetemi che lo farete.

Croce sul cuore.

Edoardo Ferrarese

Folgorato sul Viale del Tramonto da Charles Foster Kane. Bene, ora che vi ho fatto vedere quanto ne so di cinema e vi starò già sulle balle, passiamo alle cagate: classe 1992, fagocito libri da quando sono nato. Con i film il feeling è più recente, ma non posso farne a meno, un po' come con la birra. Scrivere è l'unica cosa che so e amo fare. (Beh, poteva andare peggio. Poteva piovere).
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