
Old, o della difficoltà di Shyamalan nel fare quello che sa fare meglio
Non sono mai stato un fan di Shyamalan. Nonostante il successo interplanetario riscosso da un film come Il sesto senso, quest’ultimo ha invece lasciato il sottoscritto piuttosto indifferente. Lo ammetto, ho un problema: non amo il colpo di scena. O meglio: non amo i film costruiti sul colpo di scena. Per intenderci, se togliete da Il sesto senso la rivelazione finale, cosa resta? Tuttavia ho amato la trilogia composta da Unbreakable, Split e Glass, nonostante l’ultimo mi abbia decisamente deluso. Non dimentichiamoci comunque che Shyamalan è anche l’artefice di After Earth, che a mio parere è una delle più grandi merde cinematografiche mai partorite. Old è un po’ diverso.
A primo impatto quasi non sembra un film di Shyamalan, ma a un’analisi più accurata si rivela essere profondamente suo, con qualche elemento di novità e di differenza rispetto ai precedenti. Quindi, tuffiamoci. Battuta infelice che solo chi ha visto il film può intendere.
ANYWAY, OCCHIO – MA OCCHIO – ALLO SPOILER

Allora, parto col dire che Old non mi è piaciuto. Però non è quel film che fa così cagare che scriverci un recensione negativa sopra è come sparare alla croce rossa. Quel momento arriverà con Fast and Furious, tranquilli. Non vedo l’ora di vedere John Cena che spacca tutto. Scusate, mi ricompongo.
Anzi, scrivere questa recensione non sarà facile.
Shyamalan non è per niente un coglione. Come è già stato detto in tutte le salse, il regista è un fedele allievo di Hitchcock, e lo si può vedere in vari elementi. I suoi film si costruiscono sulla tensione e sulla sua capacità registica di gestirla attraverso spiazzamenti, ritardi e slittamenti. Una cosa in cui – almeno a me – pare che Shyamalan si allontani dal maestro è la questione della suspense.
La teoria di Hitchcock sulla suspense la conoscono anche gli antivaccinisti le pietre. Riassumendo al nocciolo secondo il maestro del brivido la suspense ha il primato sulla sorpresa (e quindi sul colpo di scena), e la prima si ottiene mettendo lo spettatore in una condizione di maggior conoscenza rispetto ai personaggi.
Questa cosa in un film come Il sesto senso non avviene, anzi. La conoscenza del bambino è maggiore rispetto alla nostra e noi apprendiamo il “segreto” del film assieme al suo protagonista, quel cane maledetto di Bruce Willis. La suspense è così annullata, a favore di una priorità che viene perciò attribuita alla tensione e, infine, alla sorpresa. E a fare questo Shyamalan è bravissimo, anche in Old.
Poi non è nemmeno giusto ridurre tutto il cinema di Shyamalan al colpo di scena. Per dire, anche Unbreakable ha il suo colpo di scena finale, ma rimane un film che fa della rarefazione narrativa il suo elemento cardine.
In questo discorso, ahimè, Shyamalan è un po’ complice, avendo disseminato soprattutto i suoi primi film di colpi di scena. Ed è stata infatti evidente a un certo punto la volontà del regista di allontanarsi da quel meccanismo narrativo. Ciò non toglie che il suo cinema resta ancorato a un sistema di “rivelazione” attraverso cui le sue trame si sciolgono. E Old non fa eccezione in questo – ora scendiamo più nel dettaglio, promesso.
Le premesse di Old non ve le sto a raccontare: se avete visto il trailer sapete già tutto. E questo è già un autogol abbastanza grosso sia a livello di marketing che a livello di resa cinematografica.
Guardare il trailer del film è quasi come aver già visto il film. Anch’io sono entrato in sala illudendomi che ci fosse qualcosa in più da spiegare – e per carità, qualcosa c’è -, ma sostanzialmente le carte erano già state tutte quante messe sul tavolo.

E quindi c’è ‘sta spiaggia su cui il tempo scorre in maniera strana, molto più veloce rispetto al normale. Già qui ci sono delle cose da dire.
Ho apprezzato molto – credo sia il principale punto di forza del film, quello che più di tutti contribuisce a rendere la tensione palpabile – il fatto che, da manuale shyamalanesco di regia, lo spettatore si trovi perso a chiedersi come cazzo sia possibile quello che sta accadendo assieme ai personaggi. Ho letteralmente passato tutto il film a fare suggestioni, ipotesi sul perché la gente invecchiasse così precocemente. E alla fine si sono rivelate tutte sbagliate. Il che ci sta, figo.
Ma. Questo effetto è ottenuto attraverso dei trucchettini che qua e là rompono il patto narrativo di nascosto. Ad esempio. La mia ipotesi principale era che il processo di invecchiamento precoce si attivasse in quelle persone che toccavano l’acqua del mare. Appunto quest’ipotesi si è rivelata essere falsa, ma è anche vero che tutte le persone che noi per prime vediamo invecchiare sono quelle che hanno toccato l’acqua, le altre no. E fin qui va anche bene.
L’altro trucchetto – o se volete chiamarlo spiazzamento – consiste nella presentazione visiva dei personaggi. Perché per quasi tutto il film le persone che VISIVAMENTE invecchiano sembrano essere i ragazzi. La verità però è che tutti quanti stavano invecchiando a velocità supersonica e quindi c’è stata una grande negligenza nella gestione del trucco. Cioè mettetegliela qualche ruga sulla faccia di scena in scena, era anche semplice tutto sommato.

Dato che la spiaggia su cui si trovano i personaggi è il nucleo narrativo di tutto Old, sinceramente avrei gradito una spiegazione giusto un pochino più dettagliata sul perché il tempo su ‘sta spiaggia passa in modo così radicalmente diverso. Va bene che un film non è un saggio scientifico, però l’unica spiegazione che mi è stata data è che ci sono dei minerali che fanno cose e quindi alterano le condizioni spazio-temporali. E allora lei è imbecille nel senso che imbelle.
No, sul serio. Allora vale tutto. Allora io faccio un film in cui a una certa i personaggi perdono una gamba perché nella città in cui il film è ambientato la direzione e la forza del vento va a impattare in un modo particolare sulle ginocchia delle persone svitandogli le rotule. Non ha senso, no?
Cioè così mi riduci l’intero elemento della spiaggia a un semplice pretesto narrativo. E no, non è un MacGuffin. Ogni volta che uso questa parola mi sembra di dare un tono meta a tutto l’articolo. Poi mi ricordo che sono un coglione. Un MacGuffin è sì un pretesto narrativo che serve a mettere in moto la trama, ma poi si rivela essere un elemento del tutto ininfluente per la risoluzione della trama stessa.
Vi faccio l’esempio più canonico: la valigetta di Psyco. Il viaggio di Marion inizia grazie a ‘sta benedetta valigetta piena di soldi ma poi la trama prende tutta un’altra direzione e la valigetta viene dimenticata. Una cosa del tutto simile, come sapete, accade in Pulp fiction. In Old la trama ruota attorno alla spiaggia, tant’è che l’attività principale che i personaggi svolgono è cercare di capire cosa cazzo sta succedendo. Quindi dai, spiegamelo perdio.

Un altro grosso problema di Old è la recitazione degli attori, o forse sarebbe meglio dire la direzione attoriale. Più che altro perché il cast era di gran prestigio e tutti gli attori in questo film recitano palesemente al di sotto delle loro possibilità. Ci sta che un attore abbia una prestazione sottotono, ma l’intero cast?
Cioè c’è Vicky Krieps, che ne Il filo nascosto ha fatto qualcosa di straordinario; c’è Gael Garcìa Bernal, assurdo in Y tu mamà también e altrettanto in Amores perros, e che comunque ha collaborato con Almodovar, Gondry, Cuaròn, Iñárritu; poi c’è Alex Wolff, sorprendente in Hereditary e attore talentuoso lanciato verso un successo mondiale; c’è Rufus Sewell, che non sarà Marlon Brando, ma è un buon attore in film come Il destino di un cavaliere e il recente The father; ancora c’è Thomasin McKenzie, ottima in Jojo Rabbit.
Qui recitano praticamente tutti male, con forse le sole eccezioni di Wolff e McKenzie. In particolare Sewell sembra un incapace fallito. C’è una scena in cui deve mettersi una mano in testa per esprimere sgomento e lo fa come lo farei io per colpirmi la fronte quando faccio qualcosa di idiota. Mi sembra troppo evidente che Shyamalan non sia stato in grado di dirigere bene i suoi attori, che sì sembrano spaesati, ma nella vita vera, non nel film.
Il che è strano, perché Shyamalan di solito sfrutta bene il suo cast. James McAvoy in Split e un po’ meno in Glass è mostruoso; e poi dai, ha fatto anche recitare bene Bruce Willis. Ce ne vuole, voglio dire.
Alla cattiva recitazione va aggiunta una cattiva sceneggiatura. Cioè, non è la sceneggiatura in sé, sono proprio i dialoghi e il contenuto di questi. Ci sono volte in cui i personaggi parlano in modo del tutto irrealistico, sparando frasi sconclusionate e facendo discorsi che sembrano messi lì solo per mandare avanti la trama o fare lo spiegone.
Il top del top in questo senso si raggiunge quando il personaggio del rapper, dal nulla, senza che nessuno gli abbia chiesto niente, si mette a raccontare la sua vita e i suoi problemi alla ragazza. Va bene, chi cazzo sei però?
Che poi quel personaggio a che cosa serve? All’inizio ci stava di brutto perché se ne stava lì, inquietante, e c’era il dubbio che potesse aver commesso un omicidio. Tolto il dubbio esaurisce il suo ruolo narrativo e serve solo come capro espiatorio per Sewell che lo accoltella senza pietà. BAH.
Che poi scusate eh. Quando Sewell viene accoltellato con il coltello arrugginito giustamente il tempo passa super veloce e quindi lui va in cancrena totalmente in circa 30 secondi. Ok, ci sta, seppur con un effetto speciale trascurabile. Ma allora perché quando devono rimuovere il tumore alla Krieps TENENDOLE APERTA L’INCISIONE CON LE MANI SPORCHE DI SABBIA lei non si prende un’infezione e muore? Perché nonostante la incidano nella zona del ventre SENZA NESSUNA ANESTESIA lei rimane addormentata e si sveglia giusto qualche secondo dopo che l’operazione è andata a buon fine? E perdio come fa a esistere un tumore grosso come un’anguria?
Prima di parlare del finale fatemi dire due cose positive su questo Old.
Bisogna togliersi il cappello di fronte alla volontà di Shyamalan di (in parte) reinventarsi ed uscire dalla comfort zone. Ancora di più è da apprezzare il suo costante tentativo di non scadere mai in una regia piatta, canonica, conformata.
A livello stilistico ci sono tante scelte interessanti, una grande varietà di tecniche di ripresa, di inquadrature, di gestione dello spazio, dell’immagine, del suono. E questo è di gran lunga lodevole. Una scelta fortemente efficace su tutte è la continua perturbazione operata dalle inquadrature dall’alto, in perpendicolare sulla testa dei personaggi, che inizialmente sembrano ingiustificate, ma poi si rivelano essere il punto di vista di chi sta osservando i personaggi da sopra la scogliera.
Da apprezzare è anche forse l’unica vera sequenza horror del film, quella in cui la modella, disperata per l’imbruttimento fisico subito, insegue i ragazzi che le rivolgono sguardi non voluti accartocciandosi pian piano fino a trasformarsi in un vero e proprio mostro. Da brividi, davvero.
Che comunque Shyamalan non devi per forza ruotare con la macchina da presa nei momenti di tensione. Non vi dico il mal di testa.

Un altro punto in cui il regista indiano riprende e segue Hitchcock è la presenza dei cameo. Non ho visto tutti i film di Shyamalan, ma sono sicuro che in quasi tutti ci sia un cameo del regista. Cosa che, appunto, faceva anche Hitchcock, sistematicamente.
In Old Shyamalan fa un doppio cameo, prima come conducente del pulmino, poi come IL TIZIO CHE OSSERVAVA I PERSONAGGI DA SOPRA LA SCOGLIERA. Questa “rivelazione”, oltre a essere un’evidente strizzata d’occhio a un certo intento metacinematografico mai realmente soddisfatto, fa partire il finale del film, che non è un canonico “finale alla Shyamalan”.
In Old sostanzialmente il colpo di scena non c’è, resta la rivelazione sul perché i personaggi si trovassero lì. Diciamo che c’è una sorta di colpo di scena sussurrato.
Ora, il finale mi è parso totalmente fuori tono e lontano dalle corde del film, il che ha messo in evidenza un altro grosso problema, ovvero la gestione del ritmo e dei tempi. ‘Sto finale è troppo veloce, troppo sbrigativo e sconclusionato. Sembrava la mamma quando non ha voglia di spiegare al figlioletto rompiballe qualcosa di troppo complesso e quindi gli risponde “perché è così”. Specularmente l’inizio è troppo lungo e non necessario, si poteva sicuramente accelerare sull’arrivo dei personaggi alla spiaggia.
Fatto sta che il finale è stato a dir poco deludente. Dopo tutti i trip e le suggestioni che mi ero fatto durante il film – che, badate bene, è un merito della pellicola – la spiegazione che mi viene data è che c’è una specie di setta scientifica che sacrifica vite umane nel nome della scienza. BOH.
Ma poi davvero la polizia o comunque gli addetti alle indagini si trovano due tizi che all’anagrafe hanno 6 anni ma che ne dimostrano 50 e credono subito, senza nessun dubbio alla spiegazione secondo cui hanno passato le ultime 24 ore su una spiaggia su cui il tempo passa molto più velocemente del normale?
Tra l’altro il fatto che i personaggi non possano lasciare la spiaggia è un chiaro ammiccamento a Buñuel, ma con molta meno profondità di quella che si poteva inserire.
Capisco la volontà di aprire un discorso di tipo morale. Effettivamente la domanda che il film pone nel finale sostanzialmente è “sacrificheresti poche vite umane per salvarne migliaia?”. Che, certo, è una questione e una domanda complessissima e che però rivela quello che è il mio problema principale col cinema di Shyamalan e che ho cercato di evidenziare per tutto l’articolo. Per arrivare a questo punto il regista spesso usa dei trucchetti, delle scorciatoie per raggiungere due obiettivi: far sentire intelligente lo spettatore che il trucco lo aveva capito (alla Nolan, scusate) e consegnare un messaggio al film, messaggio che però non è stato minimamente sviluppato nel corso della pellicola.
È come il finale de Il sesto senso: alla fine era un morto, era un fantasma. Qui invece abbiamo: alla fine erano degli scienziati pazzi.
E poi per carità capisco anche il discorso sull’apprezzare le piccole cose della vita, l’unico modo per godersela. Ma, di nuovo, è sviluppato male. Poi ancora c’è un discorso sul covid, perché tutta questa “questione di tempo” è evidentemente un rimando alla situazione pandemica in cui siamo e siamo stati. Ancora, per l’ultima volta, troppo raffazzonato, troppo abbozzato.
Nel prefinale ci resta lo spoglio di una famiglia che nel corso del film ha saputo ricostituirsi e riscoprirsi come fonte d’amore. Il problema è che noi spettatori non empatizziamo con loro. Shyamalan non ci ha fatto affezionare a nessuno dei personaggi messi in gioco, men che meno con i protagonisti. E quindi quando loro piangono, noi restiamo indifferenti.
A me dispiace. E calcolate che in Old ci sono altre cose che non vanno. Come ad esempio la scena del parto e il fatto stesso che la ragazza resti incinta – che poi per quale motivo quei due avrebbero dovuto scopare se mentalmente sono ancora dei bambini di 6 anni? – che manda a puttane tutto l’equilibrio temporale, rendendo evidente che il tempo non passa uniformemente per tutti i personaggi.
Mi dispiace perché Old ha alla base un’idea davvero interessante e tutta una serie di intuizioni di qualità. Il problema è che è tutto sviluppato male e ne è uscito un pastrocchio. E mi dispiace perché Shyamalan può fare meglio di così.
E quindi non mi pare giusto accontentarsi di un’opera mediocre, a maggior ragione in un periodo in cui il cinema ha un palese bisogno di rinascere. E lo può fare solo con opere di qualità.