Film

On the Road – Che cosa ci rimane dell’epopea di Jack Kerouac?

Kerouac, i beat, il ritmo ossessivo del jazz, la strada, la trasgressione: semplicemente On the Road 

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Passaggi di materia

Com’era quella vecchia storia dell’energia che non si perde, ma si trasforma? Onestamente non ricordo, visto che di fisica ci ho sempre capito tanto quanto la tazzina di (amarissimo) caffè che sto sorbendo a fatica. Quello che so è che, al contrario, nei passaggi di stato, dal solido del romanzo al liquido (???) della pellicola, di elementi se ne perdono parecchi, intendo dire che la materia si trasforma e certe cose che davi per assodate devono essere faticosamente reimmesse in circolo, perché altrimenti vanno perdute come lacrime nella pioggia. Questo On the Road (2012) di Walter Salles ci riesce in parte, ma se vogliamo raccontare la storia di questo film dobbiamo partire dal fatto che il grosso delle parole di Kerouac rimangono ben ancorate al loro supporto di cellulosa.


On the Road

C’è davvero bisogno che io vi racconti la trama di On the Road? Ma al liceo che facevate? Dissertavate de Le prose della volgar lingua di Pietro Bembo invece di sbirciare Kerouac? O forse semplicemente scopavate? Beh in tal caso mi spiace per voi, perché leggere Kerouac è uno di quei momenti che Flavio Oreglio avrebbe definito “catartici” (continua a convincertene Federico, continua, ti prego…).

America, anni Quaranta, la guerra è finita da poco e il padre di Sal Paradise è appena morto. Il giovane scrittore vive a New York e frequenta un gruppo di ragazzi tra cui Carlo Marx e Chad King, il quale gli presenta un vecchio amico di Denver, Dean Moriarty. On the Road è la storia dei viaggi e dell’amicizia tra Sal, Dean e Carlo, pazzi scatenati, poeti beat, creatori di scandalo per professione, intellettuali, viaggiatori.

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I fattori K

Primo fattore K: Kerouac. Il film si presenta come una fedele trasposizione, senza troppe licenze, di un libro irto di insidie per quanto riguarda la trasposizione in pellicola, prima tra tutte la difficilissima resa dei caratteri dei personaggi. La bellezza degli uomini raccontati da Kerouac è la loro natura ambivalente: il loro spaventoso realismo in contrasto con parole, gesti e reazioni nient’affatto umane. Le creature di Kerouac sono delle specie di supereroi del romanzo americano, delle sorte di Tom Joad (Furore, John Steinbeck) coi superpoteri, tanto per dirla in modo caciarone. Mettere questa follia e questa spinta vitalistica (“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”, “Dove andiamo?” “Non lo so, ma dobbiamo andare”) in un film di due ore e puffa che potesse intrattenere anche chi di Kerouac non sa nemmeno la pronuncia non era facile. E infatti non è riuscito in pieno.

Secondo fattore K: Kristen Stewart. Il casting di Salles è stato sostazialmente perfetto: Sam Riley è un grandissimo Sal Paradise, il bel faccione di Garrett Hedlund nei panni di Dean Moriarty assicura copiosa umidità per la parte femminile della platea, Tom Sturridge È Carlo Marx/Allen Ginsberg, mi rifiuto di immaginarlo diversamente, i ruoli secondari affidati ad attori del calibro di Viggo Mortensen, Kirsten Dunst, Steve Buscemi e Amy Adams sono grandiosi. Qual è il problema? Eh sì Kristen, inutile che ti defili, no, no, non nasconderti dietro le spalle monumentali di Garrett, parlo proprio con te, vieni avanti.

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Kristen Stewart è Marylou. Ora, per quei tre allergici al contatto coi libri, Marylou nel romanzo era la moglie (per così dire) di Dean e sostanzialmente rappresentava l’incarnazione del sesso: la liceale disinibita, sporcacciona e un po’ ninfomane che tutti noi maschietti abbiamo sognato durante gli anni passati tra versioni di greco e compiti di fisica. Incontenibile, affascinante, seducente, una pazza scatenata. Quella che la Stewart mette in scena invece è l’ipostatizzazione di una deficiente. La sua dipendenza dal sesso viene resa in modo vuoto e superficiale, senza contare che la Stewart – a parer mio – è sensuale come una gruccia appendiabiti. Ma non di quelle sinuose e flessuose, magari di plastica nera eh, no, intendo le grucce per i vestitoni floreali della nonna, quelle di legno, dritte e massicce.

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Le considerazioni dubbie

Quello che emerge alla fine della visione è un film con una splendida patina: Salles lavora benissimo sul lato tecnico, soprattutto la fotografia è qualcosa di eccelso, gli ambienti e l’America anni Quaranta sono trasposti in modo eccezionale. No, quello che manca è il contenuto, il messaggio, o perlomeno la sensazione che tutto questo magmatico insieme di immagini abbia uno scopo e un senso che non siano suggeriti dall’intreccio, ma dai personaggi. I personaggi di Salles, al contrario di quelli di Kerouac, non sono molto comunicativi e molto spesso gli vengono fatte fare cose non spiegabili, che fanno scattare la molla dello straniamento allo spettatore.

Questo era il parere oggettivo. Cosa ne penso io?

Io non ce la faccio a essere troppo critico, amo talmente il romanzo, la storia, i personaggi, l’ambiente, che non ce la faccio a non amare questo film e a guardarmelo almeno una volta ogni tot mesi. Anche perché ci sono alcune sequenze a mio modo di vedere splendide, a partire da quella di apertura; la voce fuoricampo di Sam Riley/Paolo Macedonio è praticamente perfetta, le citazioni sono meravigliose e molto spesso scatta quel meccanismo fantastico del “me l’ero immaginato proprio così”, che in una trasposizione non guasta mai.

Un film da valutare come, dunque? Arrivato alla fine della recensione mi rendo conto di non saperlo con certezza. Da guardare certamente, forse eccessivamente dilatato, che avrebbe meritato una sceneggiatura migliore. Smetterò di guardarlo a causa dei suoi difetti? Andiamo, ormai mi conoscete, sono un po’ anche io un pazzo della vita…

A quel tempo danzavano per le strade come pazzi e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno “Oooooh!

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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