Film

Ora non ricordo il nome – Una vita da caratterista

Non esistono piccole parti, esistono piccoli attoriÈ con questa citazione di Stanislavskij che si apre Ora non ricordo il nome, il docufilm di Michele Coppini scritto assieme a Massimiliano Manna e prodotto dall’associazione culturale fiorentina Officine Papavero in collaborazione con Cribari Film. Una citazione che racchiude al meglio il significato dell’opera di Coppini (che, dopo essere stata distribuita in sala, uscirà in Home Video il 23 maggio, distribuito dalla CG Entertainment).

Ora non ricordo il nome è infatti un sentitissimo omaggio alla figura del caratterista italiano, una tipologia di attore che ha contribuito a rendere grande il nostro cinema, ma che ora, purtroppo, sta rischiando di scomparire. Ed è proprio nell’accantonamento dei caratteristi di mestiere in favore di personaggi macchiettistici e privi di spessore che risiede una delle principali cause della deriva della commedia italiana (a parte poche eccezioni).

Ma partiamo dal principio: chi è un caratterista? Il caratterista è quell’attore che non interpreta un personaggio, ma, appunto, un carattere. Che attenzione, non va confuso con lo stereotipo, indice di banalità e di piattezza. Perché il caratterista è colui che porta al cinema il barista che ti prepara il caffè ogni mattina, l’edicolante che ti consegna il giornale e col quale fai due battute, il tizio che incontri al bar e con cui litighi di furti arbitrali e fuorigiochi chilometrici. È il vecchio compagno di scuola che incontri dopo tanto tempo, e che si è fatto talmente brutto che stenti a riconoscerlo.

Il caratterista è chiunque tu possa incrociare per la strada, e allo stesso tempo chiunque possa far parte della tua vita.

Ed è proprio per questo che il suo compito è tanto fondamentale quanto sottovalutato. Perché cala l’intero film in quella stessa realtà nella quale vuole collocarsi. Lo rende credibile, proprio perché noi lo vediamo popolato delle stesse persone (o quasi) con cui abbiamo a che fare ogni giorno. I caratteristi sono coloro che reggono la struttura sulla quale viene costruita la storia dei protagonisti che, in quanto tali, si prendono la maggior parte della gloria e della fama.

Ma un certo tipo di cinema, ed in particolare il cinema italiano degli anni ’70 e ’80, non sarebbe potuto esistere senza l’apporto dei caratteristi. Il regista Michele Coppini ce lo illustra perfettamente nel suo film quando paragona il caratterista alla cornice di un quadro: anche il più bel quadro del mondo ha bisogno di una cornice all’altezza, altrimenti l’intera opera perde di valore.

Vi capita mai, ad esempio, di guardare un film e pensare una roba del tipo “sì ok, grande attore questo qua, ma la gente nella vita vera non parla così“? Ecco, il caratterista serve proprio a portare un po’ di vita vera all’interno della finzione, in modo da facilitare l’immedesimazione dello spettatore. Ed è proprio questo suo ruolo di ponte fra la realtà e il cinema che contribuisce a sviluppare una delle doti naturali più brillanti di ogni grande caratterista: l’arte dell’improvvisazione, capace di trasformare un semplice dialogo in un momento unico e indimenticabile.

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Michele Coppini struttura il suo film alternando una parte di finzione comica recitata al fianco del comico toscano Stefano Martinelli (e che per certi versi ricorda Clerks di Kevin Smith, volgarità a parte) a una serie di interviste ad alcuni dei più celebri caratteristi del nostro cinema: Stefano Ambrogi, Paola Tiziana Cruciani, Isa Gallinelli, Camillo Milli, Luciano Casaredi, Franco Pistoni, Sandro Ghiani, Pietro Fornaciari e Sergio Forconi. Fra gli intervistati compare anche il giornalista e critico Marco Giusti.

In un continuo alternarsi di comicità e nostalgia, sullo schermo passano, uno dopo l’altro, i racconti di quelli che potremmo definire “i mediani del cinema“, prendendo spunto dalla celebre canzone di Luciano Ligabue. C’è chi è fiero e orgoglioso di essere indicato come “caratterista”, chi invece si rivela infastidito da un’etichetta che rischia di svilirne il ruolo di attore, chi sognava in gioventù ruoli da protagonista, ma che poi ha trovato ugualmente piaceri e soddisfazioni, c’è chi vede ancora un futuro per la figura del caratterista, e chi invece è convinto che un certo tipo di cinema sia ormai definitivamente tramontato.

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Il film è interessante inoltre per il gran numero di aneddoti sul mondo del cinema che sa offrire. Abbondano su tutti quelli dedicati ai film di Carlo Verdone, uno dei registi italiani che più di tutti hanno amato e continuano ad amare la figura del caratterista. D’altronde basta un rapido sguardo alla filmografia di Verdone, da Un sacco bello a L’abbiamo fatta grossa passando per il mitico, indimenticabile Compagni di scuola, per accorgersi di quanto le opere del regista romano siano debitrici nei confronti dei caratteristi.

Ora non ricordo il nome è un’opera che va apprezzata e diffusa proprio per la sua volontà di puntare finalmente la luce su questo tipo di attori, amatissimi da gran parte degli italiani, ma di cui quasi nessuno, paradossalmente, ricorda il nome.

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Roberto Lazzarini

25 anni, cresciuto fin dalla tenera età a film, fumetti, libri, musica rock e merendine. In gioventù poi ho lasciato le merendine perchè mi ero stufato di essere grasso, ma il resto è rimasto, diventando parte di quello che sono. Sono alla perenne ricerca del mio film preferito, nella consapevolezza che appena lo avrò trovato, il viaggio ricomincerà. Ed è proprio questo il bello.
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