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Outlander, o dell’importanza del cast

Ci sono dei prodotti (televisivi, ma anche cinematografici) che si beccano un 3 come voto perché sono mediocri. Non troppo brutti, non troppo belli, “carini”, è come il 6 politico del compagno di classe che pur non essendo un asino, semplicemente si barcamena nella medietà. Esistono casi, come la serie Outlander, che sono tutto meno che mediocri, ma il voto “intermedio” deriva da un soppesare gli estremi.

Ci sono elementi straordinari in questa serie, come altri che invece disturbano fortemente.

Vero è che il canale che l’ha prodotto, la Starz, ci ha abituati a una sorta di “giocattoloni trashoni ma di qualità” (SpartacusBlack Sails), ma con Outlander si va di uno spicchio oltre, proprio dove il trash da sublime si fa eccessivo. Dei miei amici forse mi hanno offerto, col loro punto di vista, la chiave di lettura: tutti gli eccessi di questo telefilm derivano in realtà dall’aderenza al materiale di partenza, la serie di libri. E quindi, una volta considerato questo, si possono valutare negativamente fino a un certo punto.

Perché un conto è se lo sceneggiatore tira fuori merda dal suo sacco (come accade a volte a quelli de Il Trono di Spade), un conto è se il testo di partenza ti zavorra e non puoi farci molto.

Sì, perché Outlander si iscrive nel filone degli adattamenti televisivi di saghe letterarie che Il Trono di Spade ha generato, ed è forse uno dei “figli” più riusciti (sicuramente più di quel pattume di Shannara).

Il capostipite è un romanzo che uscì nel lontano 1991 di Diana Gabaldon e tradotto in Italia col titolo La straniera, primo di una serie tuttora non conclusa. Narra la storia dell’inglese Claire Beauchamp, arruolata come infermiera durante la Seconda Guerra Mondiale, la quale dopo la fine del conflitto si gode finalmente una meritata luna di miele col marito, il professor Frank Randall. I due si recano a Inverness, Scozia, dove Frank approfitta per condurre ricerche sui suoi antenati.

Claire un giorno fa turismo e si reca da sola a Craigh Na Dun, una sorta di Stonehenge scozzese. Una delle pietre sembra chiamarla; e quando la tocca viene catapultata indietro di duecento anni, nello stesso luogo, negli anni che precedono dunque la battaglia di Culloden (di cui noi italiani al 99% non sappiamo niente tendenzialmente ma fate finta che sì).

 

***ATTENZIONE*** Potrebbero esserci piccoli spoiler da questo momento

Da qui in poi si sviluppano i suoi strenui tentativi per riuscire a tornare a casa, prima, e il processo quasi inevitabile che la porterà a legarsi invece a questa epoca e questa terra, incarnato soprattutto da una persona: Jamie Fraser. Figaccione dai capelli rossi di cui prima diventa amica e poi è costretta a sposare (guarda te le sfighe della vita a volte…) e di cui infine, suo malgrado, si innamora perdutamente. È lui a chiamarla affettuosamente sassenach, parola gaelica che significa appunto outlander (“immigrata di mer…”, volevo dire, “straniera”).

La nostra bigama Claire innanzitutto si discosta dalla maggioranza delle protagoniste femminili dei romance per essere molto sfaccettata e in gamba. In genere, è difficile capire quali siano le attrattive delle Bella Swan della situazione per essere considerate così “speciali” da chi le circonda. Con Claire no, anzi: ai nostri occhi, appare da subito una donna eccezionale, unica.

E lì devo dire che il casting del telefilm ha fatto un lavoro geniale: Caitriona Balfe non avrà forse gli occhi color whiskey della Claire del romanzo, ma oltre a essere una bellezza molto particolare e raffinata, ha un carisma che fa provincia e calamita fin dalle prime scene la nostra attenzione e solidarietà.

Sam Heughan, che interpreta Jamie, dev’essere stato prodotto in laboratorio. Immaginatevi uno scozzese figo: 190 di altezza, schiena muscolosa e ampia, virile anche col kilt addosso e, soprattutto, una chioma rosso fuoco. Bene, avrete disegnato quest’uomo nella vostra testa. Se inizialmente Sam scompare un poco dal punto di vista recitativo vicino a Caitriona, soprattutto nella seconda stagione le sue capacità interpretative migliorano di puntata in puntata.

In ogni caso, Claire e Jamie rappresentano una delle coppie più belle e “romantiche” nel senso originario del termine degli ultimi anni. Il rapporto con la Scozia, con il territorio aspro e meraviglioso, è imprescindibile nel racconto del loro amore. La cosa bella è che, soprattutto, la loro interazione nasce come sincera amicizia e viene impostata in un modo del tutto originale rispetto a quanto siamo abituati a vedere.

Menzione anche al secondo interprete maschile: Tobias Menzies, un vero prezzemolino considerato che da qualche anno a questa parte lo stiamo vedendo in tv in parecchi ruoli minori (Black MirrorDoctor WhoThe Honourable WomanThe Night ManagerIl Trono di Spade dove è nientemeno che lo “sposino” delle Nozze Rosse, quel minchione di Edmure Tully). In Outlander interpreta un doppio ruolo: Frank, il primo marito di Claire, un pezzo di pane d’uomo, e il suo antenato Black Jack Randall, bastardo di prima categoria. L’attore riesce nell’impresa di rendere quest’ultimo un personaggio sfaccettato, e non è un’impresa da poco. Immaginate le cose più bieche che può fare un essere umano: Jack Randall le fa. Menzies per fortuna ha anni di teatro shakespeariano alle spalle e si vedono tutti.

Veniamo adesso ai pro e ai contro: pro è senz’altro la storia d’amore tra Claire e Jamie, una relazione moderna (è strano dirlo) e che nella sua sospensione dell’incredulità funziona. Divertente, pure se un po’ didascalica, l’inversione delle dinamiche a cui ci ha abituato il romance: lui è vergine quando si conoscono, mentre lei oltre ad avere una certa esperienza sessuale è anche molto consapevole del suo corpo e del suo piacere, soprattutto per essere una donna del 1945. Altra inversione di tendenza narrativa: il “cattivo” fa di tutto per dividerli perché prova un personale interesse sessuale… non per lei.

Veniamo infine alle note dolenti. La Gabaldon (caratteristica in comune con più autrici di quanto vorrei credere) ha una fissazione morbosa verso le scene di stupro o di tentato stupro. Andrebbe anche bene mostrare una dinamica simile, poiché ahimè fa parte del realismo della guerra, della vita: ma quando emerge il compiacimento, quando diventa vera e propria “fantasia da stupro”, ecco lì che suona stonata e pericolosa.

In particolare ciò ha portato al finale della prima stagione, contestatissimo. A mio avviso, il problema di quel finale non è tanto ciò che avviene in sé, quanto che il telefilm si trasforma improvvisamente in una sorta di torture-porn. La scena dura troppo, è troppo compiaciuta, e per questo risulta inopportuna, fastidiosa.

Bellissimo, invece, il finale della stagione due, tanto potente da poter quasi funzionare come chiusura di serie vera e propria – che, però, è stata rinnovata per altre due stagioni, e davvero mi incuriosisce molto come la storia possa procedere da questo punto.

Il mio responso, infine, è che Outlander vada assolutamente visto e che si regga nella maggior parte, ancor più sul lato produttivo (costumi, scenografie) sulla bravura degli interpreti. Sulla straordinaria protagonista, che merita da sola il prezzo del biglietto.

Dell’abbonamento tv.

 

P.s. se siete fan di Outlander, allora fate assolutamente un salto dai nostri amici di Outlander Italy e di Outlander Italia!

Francesca Bulian

Storica dell'arte, insegnante, fangirl, cinefila. Ama i blockbusteroni ma guarda di nascosto i film d'autore (o era il contrario?). Abbonata al festival di Venezia. "Artalia8" su YouTube, in genere adora parlare di tutto ciò che di bello e sopportabile gli esseri umani sono capaci di produrre.
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