Film

Paper Moon, ovvero quando tua figlia ti fa le scarpe

Ci sono giorni in cui tocca riconoscere che la vita di adulta non è granché divertente, perciò si torna con il pensiero ai tempi spensierati dell’infanzia, in cui bastava un film e una coperta per essere felice (rimedi che, devo dire, funzionano tutt’ora).

Paper Moon è uno di quei piccoli film divertenti, ironici e commoventi che fanno star bene: caduto nel dimenticatoio, nonostante Tatum O’Neal sia tutt’ora la più giovane vincitrice dell’Oscar alla Miglior Attrice non Protagonista e sia diretto da un regista del calibro di Peter Bodganovich (Ma papà ti manda sola?, Dietro la maschera), io credo meriti una rivalutazione; peraltro alla sua uscita fu un successo di pubblico e critica.

Grazie mamma per avermelo imposto a 10 anni, la tua affettuosa prepotenza mi ha reso un gran servigio.

Moses Pray/Ryan O’Neal, è un truffatore che vive vendendo Bibbie a vedove fresche, selezionandole sul giornale e costringendole a comprare il libro sacro che i mariti avevano ordinato, così dice Moses, prima della dipartita.

Dopo il funerale di un’amica, gli viene affidata la di lei figlia di 9 anni, Addie Loggins/Tatum O’Neal, che non ha mai conosciuto il padre.

La bimba è molto scaltra e intelligente: nonostante non facciano altro che discutere, Moses le riconosce che queste qualità possono essere utili per i suoi “affari”, così, fingendosi padre e figlia, i due attraversano in auto il Kansas della Grande Depressione, imbrogliando vedove e combinando guai più o meno grandi.

Nel 1973 Ryan O’Neal, fresco del successo di Love Story («Amare significa non dover mai dire mi dispiace», frase fatta apposta per far sciogliere noi illuse), è belloccio, promettente e dovrebbe essere la star di Paper Moon: affiancargli la sua bionda primogenita Tatum sembra l’idea giusta per consolidarne lo status di divo.

Peccato che la ragazzina dall’acconciatura a paggetto gli rubi totalmente la scena, con la sua espressione imbronciata: uno scricciolo di 9 anni che fa il film, anzi, è lei il film. L’Academy le assegna il premio come Non Protagonista perché una bambina non può vincere quello alla Miglior Attrice, nonostante compaia in quasi tutte le scene.

La carriera della giovanissima attrice purtroppo non decolla, tra problemi di droga e relazioni burrascose, tra cui il matrimonio con l’ex tennista John McEnroe: quella del padre invece continua a tutt’oggi, senza picchi particolari ma lo ricordiamo in Barry Lyndon di Kubrick e in un ruolo ricorrente in Bones.

paper moon

È una commedia salace, intelligente: oltre alle scaramucce tra finto padre e finta figlia, nel lungo viaggio in macchina si parla di politica, della condizione di vita degli americani tra New Deal e Proibizionismo.

Mentre Addie è un’ammiratrice di Franklin Delano Roosevelt, Moses è un disincantato, uno che ha rinunciato al sogno americano in favore di un vivacchiare a suon di piccole truffe. Si accenna anche alla condizione degli afroamericani, quando la coppia incontra un’attricetta di facili costumi e la sua domestica di colore.

L’America non si sta riprendendo, nonostante la radio di Addie trasmetta messaggi incoraggianti del Presidente: dall’auto di Moses vediamo le disparità abissali tra la classe media e quella contadina, tra le vedove ingioiellate e quelle circondati da bimbi affamati e cenciosi.

La grande forza, oltre a Tatum (si è capito che l’adoro?), di Paper Moon sono i dialoghi, serrati, stringenti e brillanti. Altro punto interessante, la colonna sonora, il cui motivo ricorrente è appunto una canzonetta degli anni ’30, It’s Only a Paper Moon, a cui Bogdanovich si ispira per il titolo della pellicola.

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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