Film

Parenti serpenti: manuale di sopravvivenza – ma non troppo – alle feste

Ladies and gentlemen, ci siamo: il momento più temuto dell’anno si sta inevitabilmente avvicinando. Purtroppo non è stato possibile recuperare fidanzate preconfezionate, pezzi di carta spacciabili per lauree o vestiti costosi che lascino intendere lavori stratosferici; dovrete godervi il giorno di Natale in ogni suo singolo minuto, in ogni sua domanda imbarazzante, in ogni suo parente ficcanaso. Però potete sempre guardare al lato divertente della faccenda, e consolarvi pensando che il vostro pranzo non potrà essere peggiore di quello messo in scena da Mario Monicelli in Parenti serpenti.

Nonostante un regista dal genio indiscusso, all’epoca della sua uscita, nel 1992, Parenti serpenti non ottenne il successo sperato; fu solo in seguito che, attraverso quei giri improbabili tra cineforum e aficionados, divenne un cult. E questo film ha tutte le ragioni per essere considerato tale: in un paio d’ore scarse Monicelli riesce a prendere tutti gli stereotipi dell’Italietta di provincia, frullarli, aggiungere cattiveria, cinismo e ironia q.b. e tirarne fuori un ritratto esilarante e spietato della natura umana.

Siamo a Sulmona, ridente ma non troppo cittadina in Abruzzo, e come ogni anno tutta la famiglia si riunisce nella casa paterna: i nonni Saverio (Paolo Panelli) e Trieste (Pia Velsi) sono pronti ad accogliere e rimpinzare Lina (Marina Confalone) e Michele (Tommaso Bianco), Milena (Monica Scattini) e Filippo (Renato Cecchetto), Alessandro (Eugenio Masciari) e Gina (Cinzia Leone), e non ultimo il figlio ancora celibe Alfredo (Alessandro Haber). Oltre naturalmente ai, per così dire, adorabili nipotini Monica (Eleonora Alberti) e Mauro (Riccardo Scontrini), quest’ultimo voce narrante dell’intera vicenda in uno di quei temi che le maestre puntualmente ci propinavano al rientro dalle vacanze.

E il piccolo Mauro di cose da raccontare ne ha parecchie: a partire dalle rivalità fra le donne di casa, passando per zii solo apparentemente single, cuginette con “un culo che fa provincia”, frase da pronunciare rigorosamente con accento emiliano, fino ad approdare a nonni ormai anzianotti e desiderosi di traslocare a casa di uno dei figli tanto devoti. Idea che scatenerà i piani più fantasiosi nelle menti di tutti.

Parenti serpenti però non è tanto il racconto dell’evoluzione di questi intrighi, quanto piuttosto uno spaccato della penisola fin de siècle: spalline prorompenti, capelli cotonati e occhiali da Prima Repubblica la fanno da padrone, e a un quarto di secolo di distanza non possono non scatenare un effetto nostalgia.

Accanto a questo, i dialoghi: frizzanti, perfidi, incalzanti, quasi teatrali ma mai affettati. In poche parole, le tipiche conversazioni che si sentono in ogni casa tra la vigilia e capodanno. Tutto il film è costellato di piccole perle: un esempio? Il momento dello scambio dei regali, quando Gina, un’impareggiabile e fiammeggiante Cinzia Leoni, porge alla cognata un “oggetto fine per gente di classe” e questa, impassibile, replica con un memorabile “hai esaudito un sogno”.

Parenti serpenti è tutto così: dissacrante, esilarante, ma anche amaro, e con Mario Monicelli dietro la macchina da presa non potrebbe essere altrimenti. Una fotografia senza filtri di quello che siamo, che forse non ci piacerà, ma che in fondo ci sta bene. Un po’ come il capitone per la sera del 24 dicembre: è viscido, pesante e dal gusto ordinario, ma nonostante tutto lo si cucina – lo si deve cucinare – ogni anno.

Ci sarebbero tantissimi altri episodi da riportare, ma così facendo la visione di Parenti serpenti si guasterebbe: molto meglio ritagliarsi uno spazio tra i tortellini e il panettone, lasciare la zia di quarto grado a indagare sulla vita sentimentale di qualcun altro e godersi il film in santa pace. Vedrete: le feste passeranno in un lampo.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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