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Giù i pensieri, su i lapilli (o i terremoti, o gli tsunami): la catastrofe è servita

Ah, l’estate. Quel bel periodo in cui le giornate si allungano, le città si svuotano, le zanzare si moltiplicano e il cinema va in vacanza. Ma non solo le sale, che se si vuole assistere a qualcosa di decente bisogna sperare nei recuperi dei cinema all’aperto; pure il palinsesto televisivo, che durante il resto dell’anno è soltanto mediocre, dal solstizio alla riapertura delle scuole riesce a raggiungere un livello discretamente indegno.

È in questa cornice di afa e desolazione che deve aver preso vita un filone cinematografico a torto sottovalutato: il genere catastrofico, o disaster movie che dir si voglia. Nota bene: non si tratta di horror, né di cose da supereroi. Lì quantomeno c’è un minimo di trama, per quanto scarna, da seguire: disintegrare la creatura demoniaca che infesta la casa, uccidere lo psicopatico che ti insegue nei boschi, annientare il malvagio tycoon di turno che mira a distruggere il pianeta. Al contrario, il film catastrofico non ha una trama, o meglio, ha una trama uguale a sé stessa sia che sia stato girato in America, Giappone o Uganda, e pertanto compresa una volta vale per tutti; tipicamente, un esperimento / virus / cambiamento climatico ha dato vita a una creatura spaventosa e/o a devastanti fenomeni atmosferici; spesso le due cose sono combinate.

Non vi siete ancora persi nella fittissima e complessa sceneggiatura? Perfetto, allora proseguiamo: il fenomeno sulla carta ha portata mondiale, ma non si capisce perché il teatro dell’azione è sempre e solo una metropoli, e chissene del resto del pianeta. Sul podio troviamo New York, Los Angeles e Tokio, ma il film catastrofico non disdegna piccoli camei alla vecchia Europa: una Tour Eiffel che si sfracella sugli Champs Elysées, un Big Ben che casca in testa alla regina, un Colosseo che è rimasto in piedi per secoli ma che nulla può contro una grandinata, tanto per citare i classici. Naturalmente, governo e scienziati sono all’opera per salvare il mondo, ma non ci si raccapezzano: se facciamo partire un missile la Russia si incazza e fa esplodere tutto, se proviamo questo rischiamo di sommergere un continente e mezzo, e via di questo passo.

Per fortuna che ci sono loro: il gruppo di adolescenti bellocci, brillanti ma un po’ ribelli, con le idee confuse, ma determinati a fare la cosa giusta, quale che sia. Di solito fanno parte di un gruppetto di cinque così composto: il nero, che in barba a ogni principio di uguaglianza e rispetto di solito muore dopo un quarto d’ora di film; il generico asiatico, che sempre in barba a ogni stereotipo è quello sveglio; l’amicone, quello con la battuta pronta, utilissimo per stemperare le tensioni e che verso la fine ha un lampo di genio inaspettato, salva tutti e assurge agli onori della gloria; e il lui&lei, entità indivisibile composta da due biondi, abbronzati e palestrati. Nei film con pretese di introspezione, uno dei due o entrambi ha un passato torbido alle spalle, fatto di padri alcolizzati o morti in un tragico incidente. Ah, naturalmente uno di questi, al novanta per cento la “lei”, ha un cane da pubblicità della carta igienica, un labrador bellissimo che rischierà la morte per il bene comune ma che ovviamente si salverà, ché mica possiamo bruciarci il target delle famigliole.

Ci siete ancora? Bene: tipicamente il film inizia con una tempesta nell’Oceano Pacifico e una nave che si inabissa. Poco importa se poi si parlerà di vulcani che eruttano, lucertoloni che si mangiano grattacieli o virus che fanno spuntare un terzo occhio in fronte alla gente; all’inizio ci deve essere quella stramaledetta tempesta. Cambio di scena, si va al Pentagono – luogo che ovviamente cambia a seconda del paese di riferimento, ma l’ambiente è sempre quello, si vede che le istituzioni di tutto il mondo si sono affidate allo stesso gruppo di architetti: uomini in giacca e cravatta e donne in improbabili tailleur si passano le mani tra i capelli, sono disperati, non sanno che fare. Ulteriore cambio di scena: finiamo alla scuola dei ragazzi in questione, è in corso una lezione noiosissima, lui&lei si lanciano sguardi languidi, quando ecco che a un tratto salta la luce / le porte si spalancano / la prof muore, tutti muoiono, ma non loro. Che si ritrovano a scorrazzare per una metropoli in preda al panico, mentre si salvano hanno un lampo di genio, decidono di raggiungere il Pentagono di cui sopra e di spiegare a tutti quanti come salvare il pianeta, naturalmente nessuno ci crede, finché uno stagista illuminato non permette loro di entrare nei server della NASA, smanettare un po’ – perché i nostri sono anche hacker provetti – e come per magia riportare tutto quanto alla normalità. Il sole torna a splendere, nel cielo compaiono arcobaleni, inquadratura del Pacifico baciato dalla luna, l’asiatico e il simpaticone diventano scienziati di spicco e intitolano una sala all’amico nero morto, lui&lei si baciano, titoli di coda.

Perché vederli? Sarebbe bello raccontarsi che è perché chi ama il trash è più intelligente, perché anche queste cose hanno una loro poesia e via dicendo; ma la verità è che se è agosto, state ancora lavorando e il caldo vi rende più misantropi del solito, l’unica cosa che avete voglia di fare alla sera è spegnere il cervello e incantarvi con qualche tornado / pioggia di lapilli / mostro marino.

E ora scusate, comincia Sharknado.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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