
Perché Non è un paese per vecchi è l’opera contemporanea definitiva
ESISTENZIALISMO, VIOLENZA, CINEMA D’AUTORE AL SUO MEGLIO. NON È UN PAESE PER VECCHI È UN’OPERA TOTALE, UN REGALO AI POSTERI FIRMATO COEN BROS.
Viviamo in un mondo pericoloso. Oggi, non esiste che violenza; tutti noi siamo alla disperata ricerca di un briciolo di bontà, di umanità, che possa ricordarci che non tutto è perduto. Che, in fondo, possa valere ancora la pena combattere per questo mondo. Un mondo in mano ai folli. Sono stato abbastanza deprimente? Sono sembrato un articolo di apertura di Studio Aperto?
Nella mia esasperata (ma non così distante) visione della realtà, ho provato a raccontarvi il retrogusto che un film come Non è un paese per vecchi lascia, una volta finito. Tratto da uno dei romanzi più belli che mi sia mai capitato di leggere, firmato Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi è diretto e adattato su schermo dai Fratelli Coen. Loro non dovrebbero necessitare di presentazioni; se così non fosse… digitate Alt+F4. Noi non abbiamo più niente da spartire.

Una trasposizione fedele, quasi pedissequa, come se il libro fosse stato scritto apposta per i due fratelli registi. Mi importa davvero il giusto del premio Oscar vinto come Miglior Film nel 2008; oggi proverò a raccontarvi cosa voglia dire, per me, questo film. Sarà un approfondimento, una chiacchierata, un discorso sulle massime filosofiche di quella che io ritengo essere l’opera definitiva dei nostri tempi. Ah, seguiranno big spoilers, vi ho avvertiti.
UN PASSO AVANTI A TUTTI
Non è un paese per vecchi si apre con un monologo leggendario dello sceriffo Bell, il quale non sembra più riconoscere il mondo in cui vive, perché pregno di una malvagità ingiustificata. Ed Bell è un uomo d’altri tempi, di una generazione che a metà degli anni ’70 sembra essere giunta al crepuscolo; il che, se ci pensate, fa anche ridere e suona un po’ ironico, perché l’America, in quel periodo, è appena uscita dalla guerra del Vietnam. Bell parla di un pedofilo, di un omicida condannato a morte; parla di un uomo senza rimorso.
Bastano poco più di 2 minuti e poche parole per capire che, qui, siamo di fronte a qualcosa di gigantesco: la violenza, la brutalità, ma soprattutto il male, in un secolo di guerre e conflitti, sono da subito associati all’essere umano, anche in quella piccola realtà del Texas, guarda caso, al confine con il Messico. Non diciamolo troppo forte, altrimenti arriva Trump.
In soldoni, la storia ruota attorno allo sceriffo, un cacciatore di nome Llewelyn Moss e il killer Anton Chigurh, le cui vicende sono legate a una valigetta rigonfia di dollari; dai tre “protagonisti” fino a tutti i ruoli secondari, ecco che ogni personaggio di Non è un paese per vecchi incarna lo spirito coeniano, fino al midollo: uomini e donne trattati come sempliciotti, al limite della stupidità nel loro essere presuntuosi e convinti che, il destino, non possa riservargli alcuna sorpresa. Poveri illusi… Mai sfidare la sorte.
Dialoghi aridi, silenzi interminabili, una tensione spasmodica… Mamma mia, tanta roba. Un film avanti anni luce, nelle tematiche e nello sperimentare (per due ore, uno spettacolo senza colonna sonora), pur avendo spento, a febbraio, 10 candeline.
IL NEMICO PER ECCELLENZA, IL MALE ASSOLUTO
Lo sappiamo tutti dai, questo film è diventato iconico per il personaggio di Anton Chigurh; quello che, a detta di molti, è l’antagonista migliore degli ultimi 20 anni. Maaa, ne siamo poi così sicuri? Non parlo della magnificenza del personaggio, quanto della sua etichetta: “Antagonista”. Lo è davvero? E se fosse solo un pazzo, un folle omicida, in un mondo dove i buoni sono… “in via d’estinzione”? Tutti e tre, il vecchio, il giovane e il sadico, sono alla disperata ricerca di qualcosa; chi desideroso di fortuna e soldi, chi di risposte e chi, forse, è un semplice agente del caos. Ho citato Joker, sì, lo so.
Non è un paese per vecchi è IL western del XXI° secolo, dove il vero protagonista è il male. Un’entità oscura, che si fa uomo in mezzo a tutta quella carne da macello, bestiame, che i fratelli Coen si divertono a uccidere a suon di pallettoni e macchine mortali ad aria compressa. Ogni fottuta scena in cui abbiamo sparatorie, inseguimenti o il più (apparentemente) semplice dialogo è immortalata da Dio; mai un’inquadratura fuori posto, una messa in scena splendida, arricchita da una delle fotografie più esaltanti che possiate vedere in tutta la vostra miserabile vita. Lunga vita al re, Roger Deakins.
ENIGMI, SOGNI E LA NOSTRA GUERRA
Ogni volta che lo rivedo questo Paese, rimango senza parole; resto con il fiato sospeso per le scene in Hotel e al Motel. Mi sorprendo, costantemente, per la freddezza con cui Anton uccide Carson Wells e, con altrettanta freddezza, il film si libera di Llewelyn Moss, sparandogli off screen, per mano di una banda di narcos. Non è un paese per vecchi è anche il racconto dei fallimenti dell’uomo, di personaggi che non riescono nei loro intenti: Anton non riesce a trovare la sua preda, arriva tardi al motel, quando ormai lui è morto. Llewelyn stesso non riesce a fuggire e tornare dalla sua giovane moglie. E lo sceriffo? Bell è il personaggio che più mi affascina, che insegue per tutto il film gli altri due senza mai trovarli, avvicinandosi sempre per un soffio.
Ed è proprio sul finale (e che finale) che lo sceriffo eleva tutto ad opera d’arte, riflettendo sull’esistenza e, mantenendo lo spirito del libro, narra i sogni alla moglie:
Parla del padre, del rapporto tra le generazioni; nel primo sogno la cosa preziosa a cui fa riferimento potrebbe essere un consiglio, datogli da piccolo, che però il Bell di oggi ha smarrito. Nel secondo, la neve, il freddo e il buio del passo montuoso sono la tristezza, il dolore e il male che nella vita di ogni uomo, a un certo punto, si è costretti ad affrontare; ed è proprio il padre che porta la fiaccola, la luce (la speranza), alla fine di quel percorso tortuoso. Un gesto che simboleggia l’invito ad andare avanti, a non fermarsi… Perché forse vale ancora la pena di lottare per questo mondo. Per noi, per loro. Per chi, per noi tutti, è stato una guida e, per primo, ha già visto la malvagità dell’uomo.
Il mondo di Non è un paese per vecchi è nichilista, tetro, vuoto, quasi assurdo… eppure, così simile al nostro, perché è il nostro. Ma in questa bottiglia è nascosto un messaggio di speranza; un film epocale, un racconto generazionale e, io, non riuscirò mai a rendere giustizia a cotanta beltà. Amore totale per Joel ed Ethan Coen.