
Pi Greco: processo di conquista (liberatoria) della follia matematica
L’OPERA PRIMA. Un universo immenso che oscilla tra enorme cagata e assurda genialità. Un ostacolo, una sfida che qualsiasi cineasta degno di questo appellativo ha dovuto affrontare per sbattere in faccia il suo modo di vedere e affrontare una realtà, una storia, un’idea al mondo. La maggior parte delle volte l’esito è il più quotato: un totale bagno di sangue, un’accozzaglia di idee non meglio definibile che precipita verso il fallimento. In altri casi il risultato finale è differente: l’alba di un genio. Ecco, in questi altri casi rientra l’opera prima di Darren Aronofsky: Pi Greco – Il teorema del delirio, altrimenti detto π. Una fastidiosa sensazione urticante provoca l’aggiunta del sottotitoletto “Il teorema del delirio”, coerente sì al tema trattato, ma alquanto limitante. Traduttori infami, limitatevi a svolgere il compito dettato dal valore etimologico del vostro impiego. Se Aronofsky ha deciso di chiamare Pi Greco il suo film, perché dovete voialtri intervenire con inutili sottotitoli, pericolosi portatori di spoiler?
Veniamo al film.

BIANCO E NERO. Bianco e nero? E che cazzo non siamo nel ’98? Sì, beh, ai tempi Aronofsky era povero e parecchio autoriale, quindi ha saggiamente deciso di connubiare (neologismi fraseologici, esatto) le due cose affidandosi a riprese parecchio grezze e sporche, dettate, ovviamente, non solo dal bianco e nero, ma anche e soprattutto dalle immagini sgranate e dalle distanze ravvicinate. Aggiungendo l’uso massiccio di telecamere a spalla, riproduce un contesto ansiogeno e opprimente, ideale per la “trama” di Pi Greco. Dico “trama” perché non è che ci sia chissà quale intreccio narrativo, è molto più congeniale parlare di “sviluppo tematico della pellicola”, ma non importa, non facciamo gli schifiltosi.

Proviamo quindi a riassumere questo “sviluppo tematico della pellicola”: Maximillian Cohen (uno straordinario e inquietantissimo Sean Gullette) è un geniale matematico che esegue studi sul pi greco per cercare di prevedere l’andamento delle quotazioni in borsa. Egli è sicuro di una cosa: tutto in natura segue degli schemi. Noi siamo sicuri di un’altra cosa: quest’uomo è, come direbbero a Bologna, completamente fuori dai coppi, che tradotto dal gergo significa pazzo, completamente folle. Ciò ci viene suggerito da due cose: il suo sguardo a tratti vago e a tratti assassino; l’appunto del film (pronunciato da Max stesso) che ci mette a conoscenza del fatto che il nostro matematico soffre di emicranie così forti che in confronto sbattere il mignolino del piede contro uno spigolo vi farebbe pronunciare lodi al Signore, agli angeli e a Padre Pio. Motivo? Tenetevi forte. A sei anni, il piccolo Max decise di essere attratto dalla luce, per ovviare a ciò egli guardò per un periodo di tempo decisamente troppo prolungato il sole. Capite? Un bambino di sei anni che guarda il sole, CON OCCHI FISSI, SENZA DISTOGLIERE LO SGUARDO, FACE TO FACE TO THE SUN. Che cosa carina.
Bene, da qui in poi non esiste più trama (e siamo a circa 5 minuti di film). Proseguendo tutto ciò che vediamo sono proiezioni, ragionamenti, proiezioni di ragionamenti, visioni, ossessioni o conseguenze delle conclusioni matematiche di Max. COMPLETAMENTE FOLLE, CAZZO!
Non andate a pensare di vedere un film senza nessi logici, senza consequenzialità o senza struttura. No, anzi, la struttura del film è assolutamente lineare, ma tutto ruota attorno alle ricerche di Max alla scoperta del pi greco. Potrebbero farci una serie tv: “Max alla scoperta del pi greco”, regia di Paolo Ruffini. Orribile. E decontestualizzato.
Insomma tutto ruota attorno a quello, ergo anche la vita del nostro eroe (si fa per dire). Quest’ultima cosa però non è affatto buona, perché si sa che il limite tra passione e ossessione è assai sottile… o se non lo sapevate ve lo dico io adesso. È facile prevedere che (piccolo spoilerino) l’affannosa ricerca di Max lo porterà all’alienazione e all’alterazione. Certo che con quella faccia è difficile che le persone ti vogliano attorno. Un po’ meno facile sarebbe prevedere quanto sia figo Aronofsky nel far delirare completamente il film. Sublime cazzo, follemente sublime, in alcune sequenze mi ha messo addosso un’ansia che neanche gli occhi luccicanti di Pennywise.

Che poi io penso che Aronofsky sia gay. Lui e il suo solidale collaboratore musicale Clint Mansell hanno una tale intesa che a mio parere può essere generata solo da una precedente intesa sessuale. Sto scherzando Darren e Clint, sono sicuro che la vostra mascolinità si manifesta egregiamente a contatto coi corpi del sesso opposto, ma tu Darren con quel baffetto qualche dubbio me lo lasci.
So che questo paragrafo poteva riassumersi tranquillamente in “inoltre le musiche di Clint Mansell sono favolose“. Non sono verboso, sono un’artista (minuto 2:43).

Ordunque siori e siore avete tre motivi per visionare questo Pi Greco:
- conoscete già Darren Aronofsky (autore tra gli altri de L’albero della vita, Il cigno nero e di Madre!) e vi fa provare orgasmi neanche lontanamente paragonabili a quelli che provate col vostro/a partner.
- non conoscete Darren Aronofsky e volete vedere la sua opera prima.
- conoscete Darren Aronofsky ma non capite un cazzo di cinema e pensate che sia un regista sopravvalutato e pretenzioso, quindi siete obbligati a cambiare idea.
Sono pronto a una pioggia di meteoriti roventi sulla mia persona. Altro che emicranie da fissamento intensivo di sole.