Film

Pixels, quando i videogiochi annoiano

Alzi la mano chi, videogiocatore nostalgico o meno, non sia rimasto perlomeno incuriosito da questo titolo distribuito in Italia dalla Sony. Ebbene sì, Pixels è la pellicola che tutti i puristi e gli integralisti dei giochi arcade aspettavano frementi, e che in parte ha soddisfatto le loro esigenze: portare sul grande schermo gli eroi che hanno accompagnato i loro pomeriggi fanciulleschi, quali Donkey Kong, Super Mario, Q*bert e tanti altri ancora.

E allora mi chiederete: perché gli hai dato 2 stelle su 5? Sei stronzo? Un po’ ma non è questo il punto su cui focalizzarsi.

Partiamo da un presupposto molto semplice. Pixels è un film di puro e semplice intrattenimento, senza alcuna pretesa culturale e perfettamente autoconsapevole di ciò. Il problema è che, già a primo acchito, è facile diagnosticargli un disturbo della personalità multipla.

Pac-Man multato per sosta vietata in Pixels
Pac-Man multato per sosta vietata in Pixels

Mi spiego subito: da un lato troviamo la prima “anima”, la prima “personalità” del film, quella rappresentata dal regista, Chris Columbus. Per chi non lo conoscesse, il buon Chris è diventato noto al pubblico per aver girato, tra i tanti, i primi due capitoli della saga di Harry Potter, Mamma ho perso l’aereo e, su tutti, L’uomo bicentenario; non proprio un novellino insomma (anche se, di recente, gli sono state contestate varie pellicole, vedi i due Percy Jackson). Non sorprenderà dunque il mio sgomento nell’apprendere che la regia di questa semi-mostruosità fosse stata affidata proprio a lui.
Dentro di me ho pensato: è come se Joe Bastianich mollasse il suo pluripremiato ristorante di New York per tirar su un carretto di arrosticini nella Val di Sangro .

Comunque, tralasciando le cazzate, l’impronta di Columbus si nota eccome: la sua intenzione di tirar su un film autoironico e scorrevole alla visione è più che lodevole, e in parte anche ben riuscita.

Il fatto è che questi encomiabili presupposti cozzano inesorabilmente contro la seconda “personalità” del film: il cast. Primo su tutti il protagonista, ADAM SANDLER, sempre rigorosamente vestito con le sue abominevoli camicie rosa quadrettate, a cui si aggiungono, per rincarare la dose, buona parte dei suoi compagni di merende (a quanto pare laute, dato che sono tutti sovrappeso) e Peter Dinklage, aka Tyrion Lannister di Game of Thrones, la cui presenza mi ha spiazzato a tal punto da non essere ancora riuscito a formulare un giudizio vero e proprio.

Da sottolineare anche il cameo di Serena Williams, che sembra esser stata piazzata lì solo per fare una battuta sul tennis e sulla sua stessa prestanza fisica (Dio benedica l’originalità! Nel sequel scritturiamo Raz Degan per fare una battuta sulla corretta dizione?).

È inutile precisare il fatto che sia proprio la seconda “anima” del film a prevalere nettamente sulla prima. Le battute di Sandler sono scontate e fuori luogo, e in molti frangenti l’attore newyorkese risulta più imbambolato e inespressivo di Q*bert, che manco ha le sopracciglia, per dire.

Qbert sconfortato dalla notizia che Adam Sandler farà altri film
Q*bert sconfortato dalla notizia che Adam Sandler farà altri film dopo Pixels

La verità è che anche qui, come già detto in altre recensioni, stiamo parlando di grandi occasioni mancate. E, in particolare, nuovamente, di idee potenzialmente brillanti rovinate da interpreti francamente non all’altezza.

Ricordiamo, poi, che l’idea da cui trae spunto il film non è originale: molti sostengono che sia stata scopiazzata da un episodio di Futurama di Matt Groening, ma in realtà l’ispirazione proviene dall’omonimo cortometraggio di Patrick Jean del 2010, facilmente reperibile su YouTube.
Il filo conduttore è comunque lo stesso: dei ragazzini sparano nello spazio una capsula contenente i loro videogiochi preferiti; gli alieni la ricevono, ma la interpretano come un messaggio bellicoso (cosa che tra l’altro accade un po’ troppo spesso, devono avere dei ministri degli esteri davvero permalosi e guerrafondai lassù su Saturno).
In tutta risposta, dunque, gli extraterrestri inviano sulla terra delle truppe con le sembianze dei personaggi degli stessi videogiochi: toccherà ad un gruppo di nerd incalliti (tra cui anche il presidente degli Stati Uniti, interpretato da Kevin James) sfoderare tutta la loro esperienza nel settore e scongiurare la minaccia spaziale.

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                                           Kevin James durante il buffet post-produzione di Pixels

Chiaramente, il film vuole esaltare la figura dell’uomo di mezz’età senza troppe ambizioni e fortune che in breve scavalca le gerarchie sociali diventando inaspettatamente un eroe amato da tutti. E dopotutto questo messaggio buonista e stereotipato si sposa bene con quelle che sono le intenzioni della pellicola e, in generale, di alcuni grandi blockbuster di oggi, con scene esteticamente appetibili per tutti (vedi le due battaglie contro Pac-man e Donkey Kong che, seppure un po’ rocambolesche e disordinate, risultano divertenti e coinvolgenti) e strizzate d’occhio doverose a mostri sacri del passato, quali Ghostbusters ed Evolution.

Tirando le somme, dunque, Pixels e le sue due anime confliggenti lasciano decisamente il tempo che trovano. Forse, per la prima volta, i patiti dei videogiochi troveranno sollievo nel leggere la scritta “game over” che compare immediatamente prima dei titoli di coda.

Signor Nilsson

Classe 2015, è il membro più giovane del MacGuffin team, e decisamente il più sboccato. Il suo bisogno di inserirsi continuamente nelle conversazioni altrui lo porta a consigliarvi ogni giorno un film, del tutto non richiesto. È un pappagallo solo fino alle ore 23:00. Dalle 23:01 alle 6:00 lo trovate nudo in videochat per pagarsi le dipendenze.
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