Film

Playtime: L’universalità di Monsieur Hulot

Tra la moltitudine di pellicole erette a sorreggere quel magnifico tempio in divenire che è il cinema, si annovera una colonna del 1967, così salda, esile, geometricamente perfetta: Playtime (qui il trailer: trailer Playtime) si staglia luminosa nel pantheon architettato da Jacques Tati, regista e interprete che ha dato vita allo stralunato Monsieur Hulot, l’iconico personaggio che voleva rappresentare il francese medio con l’arguzia e l’ironia della slapstick comedy e che oggi è un nonno quanto mai attuale.

A più di cinquant’anni dalla realizzazione di un progetto cinematografico economicamente dispendioso, che impiegò tre anni di riprese nella Tativille, set costruito ad hoc per ospitare le buffe gesta di Monsieur Hulot, Playtime narra senza narrare di un’inadeguatezza insita ad una società in cui la modernità incombe a dismisura fino a toccare il cielo. Questo disagio moderno traspare con ironia dalle maldestre movenze del personaggio interpretato da Tati. La vicenda incornicia la visita ad una ricostruita e futuristica Parigi da parte di Monsieur Hulot e un gruppo di turiste americane, che si sviluppa nell’arco di una giornata attraverso luoghi contraddistinti dall’ultramodernità inconciliabile con l’umana attitudine del protagonista.

In Monsieur Hulot riecheggiano le figure di Charlie Chaplin e Buster Keaton, sia per quanto riguarda lo stile recitativo che la lotta contro un’avversa società. E, proprio come loro, Tati appare oggi come ieri sempre contemporaneo, prefigura magistralmente lo spazio urbano di una metropoli fredda e caotica. In una trasformata Parigi in piena esposizione universale spiccano i colori neutri, gli edifici in vetro e acciaio di un ambiente asettico.

Ciò con cui il polivalente regista francese si erge a maestro di cinema è l’estetica con cui rende i suoi sketches fatti di comicità visiva. L’articolazione degli spazi di Playtime è mostrata tramite manovre millimetriche dei personaggi. Le azioni si dispiegano minuziosamente di fronte ad una macchina da presa attenta alla totalità dei movimenti, favorendo la profondità di campo e fornendo così una sintonia di immagine scandita da ritmi e tempi precisi. È questa cura per la messa in scena che fa di Playtime una di quelle pellicole che nonostante il peso degli anni riescono ancora a stupire l’occhio di uno spettatore abituato a blockbuster realizzati con ben altri mezzi, dei quali probabilmente Jacques Tati rimarrebbe un po’ spaventato ma affascinato, in cerca della sua 70mm. 

Direttamente dal futuro, Playtime si inscrive in quella infinita lista di film-che-devono-essere-visti assieme alle altre avventure ideate da Tati. Le vacanze di Monsieur Hulot o Mio zio tra le altre, pellicole essenziali non solo nel panorama cinematografico francese che definiscono un gusto di fare cinema personale e più nuovo di tanta filmografia odierna.

 

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