Film

Pokémon: Detective Pikachu, nuovo intrattenimento e atmosfere surreali

All’uscita del trailer di Pokémon: Detective Pikachu le reazioni sono state diverse ma ben pronunciate: sbalordimento, scompiglio e grandi ghigni stampati sul volto, insieme alla promessa interiore che sarebbe stato un film da non perdere. Nell’attesa le aspettative non sono cresciute epicamente né si sono deteriorate. Ma devo fare una premessa: solo da quel famoso trailer Detective Pikachu con me aveva già vinto, ma adesso posso anche confermarvi che il film meritava tutti quei ghigni che mi sono passati sul volto nell’attesa.

La pellicola, prodotta dalla Pokémon Company, Legendary Pictures e Warnes è un nuovo tassello del franchise, che così si arricchisce di un nuovo modello spettacolare di intrattenimento (del resto un sequel è già in produzione) senza però intaccare i canoni più rigidi o infastidire i fan più devoti. Dan Hernandez, Benji Samit, Rob Letterman e Derek Connolly offrono allo spettatore un’ottimo script, godibile e ovviamente adatto a diversi livelli di pubblico. Ma è anche grazie a un’esperienza visiva che sì, in questo caso supera forse le aspettative, che il film è una montagna russa incantata.

Il film è sì una corsa parallela rispetto alle alte produzione cinematografiche dell’universo Pokémon, ma è comunque basato su un videogioco omonimo, uno spin-off della saga uscito in Giappone nel 2016. Il gioco si è trasformato nella sua brillante trasposizione, mettendo in scena una storia gustosamente hard-boiled.
Tim Goodman (Justice Smith), un ventunenne agente assicurativo, ha abbandonato da anni il sogno di diventare allenatore di Pokémon, a causa della morte della madre. Il padre, assente, si trova a investigare su di un caso a Ryme City, una città costruita con lo scopo di far convivere pacificamente, niente sfide e niente Pokéball, esseri umani e Pokémon. Un giorno però resta vittima di un incidente e Tim si metterà a indagare. Incrocerà la strada con un Pikachu che si rivelerà essere l’ex partner di suo padre Harry. Lo rivelerà, perché sì, questo Pikachu parla, chiaro e credo che ormai sappiano anche su qualche altra linea temporale parallela alla nostra che a dare la voce al Pokémon tipo Elettro è Ryan Reynolds, ma soprattutto Tim riesce a comprenderlo.

La pellicola è una classica crime story, condita dal più classico schema di crescita interiore del protagonista e dalla freschezza del genere buddy movie. Ormai molti l’hanno fatto, tipo tutti, ma anche io mi ritrovo ad accostare Detective Pikachu a Who Framed Roger Rabbit? Certamente il film soffre di una certa linearità rispetto alla pellicola di Zemeckis, molto più caustica e ricca nella scrittura, ma chiaro che si è cercato di mantenere uno standard che colpisse tutti i tipi di spettatore. Ma ambientare una storia del genere nell’universo Pokémon ha i suoi picchi di gloria e qui sta la ragione della piacevolezza che scaturisce dalla visione (io continuo a pensarci, un live action dei Pokémon, what a time to be alive).

Prima di tutto il già citato forte impatto grafico del film che restituisce allo spettatore un vero e proprio sentore di organicità. I Pokémon, così come gli scenari urbani e non, da Ryme City alle foreste, sono terribilmente realistici.
Altro punto a favore dell’ambientare una crime story nell’universo Pokémon è la leggerezza con cui si strizza l’occhio al fan più esperto, i feels si sentono, ecco. I citazionismi abbondano e ammorbidiscono il gioco ma creano anche importanti agganci.

Ma l’aspetto che secondo me merita più attenzione è il porsi di Pokémon: Detective Pikachu come opera praticamente weird. Bisogna partire da Ryme City, un agglomerato urbano visionario, che ricorda luoghi tentacolari di pellicole come Blader Runner o romanzi come Neuromante. Da qui è facile calcare la mano e andarci giù pesante, istituendo un luogo irreale, neon e non mappabile dove creature come i Pokémon interagiscono con gli esseri umani. Ovvio che sarà qui che avverrà un cortocircuito, ovvio che questa bomba pronta a esplodere condurrà lo spettatore verso un panorama che si arricchisce di sfaccettature sempre più brillanti e visionarie.

Lo spettatore insomma è tenuto ad accettare questo nuova fetta e visione dell’universo Pokémon (compreso il finale, di cui non discuteremo visto che questa è una sana recensione priva di spoiler, ne parliamo in privato però? Dai). La questione gli è sempre più facile grazie allo snodarsi dell’intreccio e alle ottime performance dei due protagonisti, anche se lo stesso giudizio non può essere però allargato al resto che cast che spesso è più rigido e matematico nell’interpretazione.
Pokémon: Detective Pikachu è molto probabilmente, l’inizio di una nuova era per il franchise Pokémon, che garantisce così un divertimento a più livelli, regalando inoltre un’ottima esperienza visionaria.

Diletta Crudeli

Classe '91. Pur avendo studiato Beni Culturali ed editing credo di saperne di più sui viaggi nel tempo e sulle zone infestate. Leggo un sacco di libri e cerco sempre di avere ragione, bevo tanto caffè, e provo piacere nell'essere un’insopportabile so-tutto-io. Per intrattenervi posso recitare diversi sketch dei Monthy Python.
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