Film

Polytechnique: la poesia del trauma

Siete rimasti folgorati dalla coraggiosa rilettura dell’invasione aliena di Arrival o dall’impatto visivo poco “replicabile” di Blade Runner 2049? Bene, allora Polytechnique è un film che non dovete assolutamente perdere, perché la terza pellicola di Denis Villeneuve potrebbe riservare sorprese su più di un fronte per comprendere l’evoluzione di un autore già grande ai suoi esordi.

Uscito nel 2009, Polytechnique è la trasposizione di un celebre fatto di cronaca nera, ovvero il massacro del politecnico Ecole di Montereal, nel quale quattordici studentesse vennero freddate a fucilate dal sociopatico misogino Marc Lépine. Il fatto, consumatosi nel 1989, è una ferita aperta con pochi precedenti nella recente storia canadese, e Villeneuve compie un lavoro fulgido e realistico per fotografarne la disperazione, molto diverso per stile dai suoi ultimi film di fantascienza.

La poetica peculiarità di Polytechnique è la sua affascinante fotografia in bianco e nero, calzante per enfatizzare la sofferenza dei protagonisti di una vicenda tanto dolorosa; ma in generale tutto il film, tecnicamente parlando, è una bomba. Maestosa nella ricercatezza delle inquadrature e in un impiego del sonoro da lasciare a bocca aperta, la regia di Villeneuve è pulitissima, e pur rinunciando a spettacolarismi che in un film del genere sarebbero stati inutili, le sequenze visivamente potenti ed emotivamente eccezionali non mancano.

Noi spettatori vediamo scorrere sullo schermo le sanguinarie gesta del folle pluriomicida filtrate attraverso gli occhi terrorizzati e confusi degli studenti del politecnico. Non c’è alcuna morbosa insistenza nella rappresentazione della violenza, e la stessa psicologia di Lépine non viene più di tanto approfondita, se si esclude un monologo iniziale estratto dalle lettere lasciate dal giovane omicida prima del massacro.

L’obiettivo del regista non è tanto denunciare la follia del gesto di Lépine quanto, probabilmente, soffermarsi sulle conseguenze di un trauma sulla psiche. I protagonisti del film sono dilaniati dai sensi di colpa e dall’agonia. La cosa che più sorprende, però, è come il tocco apparentemente distaccato e documentaristico di Villeneuve riesca a trasmettere tutta l’umanità dei fatti.

In chiusura, Polytechnique è il primo vero capolavoro di un cineasta che non ha mai sbagliato un colpo in tutta la sua carriera, da confrontare con il più sperimentale Elephant di Gus Van Sant. Anche se, a differenza di quest’ultimo, il film di Villeneuve è indubbiamente più intimista e commovente.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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