
Pride: quando due mani unite fanno la differenza
L’orgoglio di Pride che va oltre i diritti dei soli gay.
Stasera ho voglia di qualcosa di allegro, ma non di una commedia sciocca senza fondamenta. Di qualcosa che faccia ridere, ma col cuore, magari trattando un tema più serio. Qualcosa alla Full Monty, con quell’ironia british che sa prendere in giro anche i temi più drammatici ma senza dimenticarsi di cosa si sta parlando.
Stasera mi sa che mi riguarderò Pride.
Siamo nel 1984, a Londra. In occasione del Gay Pride l’attivista gay Mark convince i suoi amici a marciare chiedendo offerte per i minatori, che scioperano da mesi contro Margaret Lady di Ferro Thatcher e le sue rigide posizioni politiche. L’idea di Mark è tanto semplice quanto importante: perché non unire le forze di due gruppi similarmente vessati da governo e polizia, per supportarsi a vicenda? I gay, dice Mark, sanno benissimo cosa vuol dire essere malmenati senza ragione, oppressi, sopraffatti. Ora lo sanno anche i minatori, quindi perché non porgere loro una mano in aiuto?
Così nasce LGSM, Lesbiche e Gay Sostengono i Minatori. Mark (Ben Schnetzer), Joe (George MacKay), Gethin e Jonathan (Andrew Scott e Dominic West), Steph (Faye Marsay) e gli altri amici trovano però delle difficoltà. Nonostante la nobile intenzione di estendere la rete di solidarietà tra gruppi di cittadini in difficoltà, non appena l’LGSM dichiara ai sindacati di minatori di essere una comunità gay, gli aiuti vengono rifiutati. Sono pur sempre gli anni ’80, e i gay sono ancora dei pervertiti brutti e cattivi; chi mai si sognerebbe di stringere la mano a gente simile?
Dopo innumerevoli telefonate a vuoto, solo il sindacato di un paesino dal nome impronunciabile in Galles accetterà gli aiuti economici, invitando i donatori ad andarli a trovare… e scatenando una serie di simpatici equivoci. Ovviamente le relazioni che nasceranno da quell’incontro andranno tutte a buon fine (è pur sempre una commedia) e tra amicizie impossibili, lezioni di danza, un concerto incredibile e coming out liberatori, minatori e LGSM riusciranno ad aiutarsi a vicenda.
Anche se riusciamo a capire fin dall’inizio lo sviluppo felice di alcune di queste situazioni, ciò non toglie il fatto che Pride è in grado di suscitare un sacco di emozioni nello spettatore. Percepiamo le passioni fortissime che muovono il protagonista, i timori di Joe detto Bromley, i sentimenti che corrono tra Gethin e Jonathan (del quale invidiamo la scioltezza con cui balla in una scena memorabile). Ma non solo dei gay, ed è qui che sta la forza di Pride: nel senso di partecipazione e solidarietà che sentiamo nei confronti dei due gruppi, diversi sì, ma ugualmente oppressi, chi per un motivo chi per l’altro.
Quando poi, sul finale, scopriamo che la storia raccontata è tutta vera (un po’ romanzata certo, ma reale fino al midollo) allora non resta che sorridere compiaciuti perché con Pride il regista Matthew Warchus ha raccontato una bella pagina di storia inglese nonostante il contesto quanto mai tragico.
I minatori inglesi hanno davvero scioperato per 51 settimane contro la Thatcher che da vera Iron Lady ha stretto sempre di più la morsa costringendoli a cedere dopo un anno di lotte. Mark Ashton è stato davvero un attivista gay che ha fondato gruppi di sostegno ed è diventato segretario della sezione giovanile del Partito Comunista di Gran Bretagna; a lui sono davvero dedicati un fondo di ricerca per l’AIDS e una targa commemorativa sulla facciata dell’unica biblioteca a tema interamente LGBT di Londra.
L’unica pecca, se forse se ne può trovare una, è il modo in cui viene glissato il finale doloroso della storia dei minatori, optando invece per una conclusione felice della controparte omosessuale. Ma non per questo Pride perde di verve: dall’inizio alla fine rimane un film simpatico, gradevole, caratterizzato da una splendida colonna sonora Eighties e di una fotografia allegra e colorata, che tuttavia non si dimentica mai delle vicende serie narrate.
Per concludere, vi chiedo di guardare bene negli occhi Hefina: riuscite a riconoscerla?
Amava vestirsi di rosa in Harry Potter e l’Ordine della Fenice…
Chi l’avrebbe mai detto che Dolores Umbridge sarebbe diventata di mentalità così aperta?