Film

Qualcosa di Alice: il lato horror del paese delle meraviglie

Quando si vuole parlare di Jan Švankmajer, di solito si comincia con la celebre citazione de The New Yorker: il mondo si divide in due categorie, coloro che non hanno mai sentito parlare di questo regista e coloro che sanno di avere a che fare con un genio. Bellissima e spocchiosa il giusto, per carità, ma a mio avviso andrebbe riveduta più o meno così: il mondo si divide fra chi ama la fantasia, e quei poverini che invece no. Come sono arrivata a questa conclusione? Ma vedendomi Qualcosa di Alice, che domande.

Qualcosa di Alice, noto in Italia anche solo come Alice, è un film del 1988, nonché il primo e forse più noto lungometraggio del regista cecoslovacco. La storia, lo avrete capito, si ispira al celeberrimo romanzo di Lewis Carroll, ma dell’Alice originaria ha solo qualcosa, appunto. Se state pensando al cartone animato della Disney, beh, dimenticatevelo: qui non ci sono radure soleggiate, uccellini che cinguettano o animaletti buffi e inoffensivi. La sensazione che vi resterà addosso dopo i titoli di coda è un po’ di inquietudine unita a un certo malessere; ma anche un fascino che raramente uno schermo sa trasmettere.

Il film si apre mostrandoci Alice, interpretata dalla perfetta Kristýna Kohoutová, unica attrice in carne ed ossa, inizialmente in riva a un fiume, poi nella sua cameretta; ed è qui che il sogno prende vita. Un coniglio impagliato dall’aria tutt’altro che tenera inizia a battere i denti, quindi distrugge la teca di vetro in cui è rinchiuso, infine prende la fuga; il tutto perdendo e masticando la segatura che lo tiene in vita. La piccola Alice naturalmente lo segue, intraprendendo a sua insaputa un viaggio indimenticabile: tra pozioni magiche, forbici che prendono vita, calzini semoventi, teschi minacciosi e carte da gioco parecchio umane, Jan Švankmajer ci regala un caleidoscopio di immagini e colori formidabile.

Girato in stop-motion e con pochissimi mezzi, Qualcosa di Alice è il grande cinema strafatto di LSD. Grottesco, surrealista, a tratti un po’ cupo, persino con qualche risvolto horror, riesce a mescolare gli squallidi interni tipici dell’Est Europa negli Anni Ottanta a una giostra di personaggi vivaci, irriverenti, spaventosi. Per certi versi potrebbe ricordare i primissimi lavori di Tim Burton – non a caso un altro che è rimasto affascinato da Carroll – , ma con molto più Vecchio Continente nell’aria.

qualcosa di alice

Švankmajer fa di tutto per ottenere un effetto straniante, e ci riesce alla grande: facendo ripetere ad Alice le stesse tre frasi durante tutto il film, poco importa se escano effettivamente dalla sua bocca o da uno degli altri personaggi, dando vita a bistecche grasse e putrescenti, innestando teschi appuntiti su corpi di gallina, trasformando la protagonista in una bambola di porcellana. Con poche, semplici mosse, ecco che un tè ridanciano e fracassone si trasforma in una discesa agli inferi. Ma che tutti quanti vorremmo compiere almeno una volta nella vita.

Sia che vogliate darvi arie da grande critico di una qualche rivista culturale, sia che abbiate voglia di scoprire qualcosa di insolito, sia che non sappiate come svoltare la sera di Halloween, Qualcosa di Alice sarà la panacea di tutti i problemi. E fidatevi: i vostri occhi vi ringrazieranno.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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