
Il Signore degli Anelli: quando Bakshi perse la scommessa
Molto prima della pluripremiata trilogia di Peter Jackson, un lungometraggio d’animazione ci aveva già raccontato le vicende epiche della Guerra dell’Anello. Ecco perché il film animato de Il Signore degli Anelli, anche se poco conosciuto, rimane ancora oggi un tentativo interessante e, soprattutto, coraggioso.
Una pantomima di ombre dietro una tela rossa. Inizia così l’adattamento di Ralph Bakshi de Il Signore degli Anelli del 1978: un prologo fatto di personaggi in live-action che rimarrà uno dei momenti più scadenti e low budget dell’intera pellicola. Ma niente paura: superato questo momento di iniziale sconforto, in cui ci viene raccontato di come Isildur si impossessa dell’anello, e Gollum e Bilbo eccetera eccetera, il resto del film è molto meno posticcio di quanto, secondo me, si pensi nei circoli tolkieniani di tutto il mondo.
Quello che si dice “un inizio scoppiettante”.
Il film d’animazione de Il Signore degli Anelli non fu certamente il primo tentativo di portare la Terra di Mezzo sullo schermo: qualcuno, infatti, si era già misurato con Lo Hobbit (con risultati sì scadenti, ma mai quanto quelli della trilogia Lo Hobbit di recente memoria, ferita che brucia ancora e mai guarirà del tutto – come quella inflitta dalla lama di Morgul). Si tratta, invece, dello sforzo migliore (e più ripagato dal pubblico) prima della trilogia del 2001 di Peter Jackson. Del resto, il film di Bakshi arrivò in un’epoca in cui pensare di fare una trasposizione cinematografica (animata o live-action che fosse) di un’opera titanica, monumentale e per certi versi “difficile” come Il Signore degli Anelli era quasi impensabile.

Partiamo dai punti di debolezza del film. Del buffo prologo non c’è nient’altro da aggiungere se non che è un pezzo veramente brutto (vedere per credere). Capitolo chiuso. Poi ci sono le licenze (leggi: gli svarioni) che i traduttori italiani hanno portato in sala di doppiaggio, e che furono per anni una delle principali cause di ricovero dei puristi tolkieniani. Esatto, perché ogni volta che qualcuno dice “Aruman”, “Gollam”, “Baggin”, “Eochin” al posto di Eowin, o “Silvani” al posto di Nani da qualche parte c’è una fata un innocente tolkieniano che cade morto.
Un’altra cosa che, nel farmi compulsivamente storcere il naso, avrebbe potuto portarmi alla paresi è il fatto che le comparse del film (e gli Spettri dell’Anello) non siano animazioni classiche, ma attori in carne ed ossa opportunamente “ricalcati” con la tecnica del rotoscope (con risultati alterni). A causa di impellenti esigenze artistiche (leggi: limiti di budget) anche i nostri eroi si trasformano, alla bisogna nelle scene d’azione, in attori live-action. Esatto, nel film ci sono due versioni di ogni personaggio che si danno il cambio: la versione animata e quella in carne ed ossa. DRINKING GAME. Shottino ogni volta che il personaggio animato e quello in carne ed ossa si danno il cambio. NO. Non è una buona idea.
Ultima nota dolente (collocata in zona Denethor in una scala di sopportabilità che va da zero a Denethor): i grandi assenti del film. In questo caso sono principalmente tre (come recitano i versi “tre anelli ai grandi assenti sotto il cielo che risplende“):
- L’ormai dimenticato Tom Bombadil, non pervenuto nemmeno nella trilogia di Jackson. È ormai chiaro ai più come il buon vecchio Bombadillo – saltellando tra un ehi dol e un salice bal billo – abbia pestato i piedi a qualcuno di grosso.
- Dama Arwen, mentre in compenso Aragorn ci delizia raccontando la storia d’ammore interraziale tra Beren e Luthien – ops, Lutezia. Ecco, un tolkieniano ci ha appena lasciato (e il prossimo potrei essere io).
- Il bullizzato Glorfindel, il cui posto al guado del Bruinen è stavolta rubato da Legolas, mentre nella trilogia di Jackson l’usurpatrice era Arwen – a dimostrazione di come anche Glorfindel sia ormai poco gradito ai piani alti.

Lo so. Detta così, il film sembra tutt’altro che valido. Ebbene, questo è a mio avviso uno di quei pochi casi in cui un film con tante cose bruttine diventa magicamente un film tutto sommato decente. Non da Oscar, capiamoci. Meritevole di essere visto, soprattutto – non solo – dagli appassionati. Il mio cuore mi dice che questo film ha ancora una parte da recitare, nel bene o nel male, prima che la storia finisca.
Innanzitutto, alcune animazioni sono abbastanza pregevoli. Grazie alla tecnica del rotoscopio (la stessa tecnica usata nelle produzioni Disney più datate), sono ricalcate – letteralmente – le complesse espressioni facciali e le movenze naturali degli attori in carne ed ossa. La storia, poi, è abbastanza fedele al romanzo originale. In alcuni casi, è ancora più fedele della trilogia di Jackson (che ha preso più di uno spunto da questo film). Una chicca su tutte: il Saruman vestito di rosso è più coerente del Saruman in bianco di Jackson. L’idea del Saruman multicolore, infatti, viene espressa nel romanzo di Tolkien nel momento in cui il capo degli Istari decide di allearsi con le forze oscure.

Ma c’è un altro motivo per cui un fan del mondo di Tolkien dovrebbe vedere questo film. Se, dopo l’indimenticabile trilogia di Peter Jackson, tutti abbiamo un’idea chiara e definita di come il mondo e i personaggi della Terra di Mezzo debbano apparire, con la versione animata del ’78 scopriamo che una diversa interpretazione visiva di quest’immaginario è possibile. Ci rendiamo conto che le raffigurazioni dei personaggi eterni di Tolkien non sono univoche, ma anzi sono suscettibili dello spirito e del gusto di una determinata epoca, o generazione. Lo stile del vestiario, ad esempio, può essere immaginario, moderno e slegato alla coerenza con una determinata epoca storica (come avviene nell’opera di Jackson) ma anche scarno e medievale (come nell’opera di Bakshi). Gli elfi non devono avere gonne e capelli lunghi di default, gli Ent non devono per forza essere esili, e così via.
Scopriamo un mondo di Tolkien “oltre il franchise di Peter Jackson” che diventa potenzialmente infiniti mondi. Secondo me, è proprio questo il bello di un opera che valica il tempo trattenendo immutata la sua potenza narrativa e immaginifica. Raccontando la storia – anche nel restare fedeli al canone tolkieniano – ciascuno la rende propria ogni volta, con le illustrazioni, la musica, ma anche con il cinema (motivo per cui una nuova trasposizione de Il Signore degli Anelli nei prossimi anni è certamente possibile).

Per il dispiacere di molti e per buona pace degli investitori, l’opera di Bakshi non è mai stata completata. L’intera opera era stata infatti pensata per essere composta di due film. Il primo copre solo La Compagnia dell’Anello e metà de Le Due Torri, il secondo non ha mai visto la luce. Bakshi perse la scommessa che poi Jackson ha vinto alla grande. E così, il Frodo di Bakshi ancora, eternamente, si dirige verso quella scala tortuosa che non vedremo mai, mentre gli assediati del Fosso di Helm si godono la loro vittoria. Noi, con loro, aspettiamo un epilogo che non arriverà.
P.s. se siete tremendamente nostalgici dei vecchi cartoni, andate a trovare la pagina Sigle Cartoni Animati!