Film

Quills: la libertà dell’arte e del sesso

Io Quills l’ho visto per caso, recuperando svogliatamente la (noiosissima) filmografia di Joaquin Phoenix qualche anno fa, trascinata in un impeto d’amore folle dopo la visione di I’m Still Here. Sapete, quelle salite per la serie “questo è il miglior attore del mondo!” che si arenano sullo scoglio di una riga di titoli tritamaroni intervallati da capolavori casuali.

Quills fa parte della seconda categoria.

Filmone del 2000 passato sotto silenzio senza motivo, racconta gli ultimi mesi di vita del Marchese de Sade (un Geoffrey Rush al massimo della forma), rinchiuso nel manicomio di Charenton. Grazie alla complicità della lavandaia Kate Winslet, il Marchese riesce a far “evadere” dalle mura della struttura i suoi romanzi erotici, che raggiungono un editore e scandalizzano la Francia. Napoleone in persona manda Michael Caine, sadico medico stronzone, a dirigere il manicomio per tener d’occhio lo scrittore – nonostante le resistenze dell’abate di Charenton (Joaquin Phoenix, un pretino inamidato da fetish religioso), che ha molto a cuore il benessere dei degenti ed è affezionato al Marchese.

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Ogni personaggio di questa sceneggiatura incredibilmente bella ha un lato bianco e un lato nero (proprio come i Ringo e come i porno interrazziali):

  • L’abate è un grande. Prete filantropo, buono come il pane, sparge unicorni che vomitano arcobaleni e fa pure dipingere gli acquerelli ai pazzi. Riesce a catalizzare la violenza dei ricoverati in attività ludico ricreative, praticamente è in odore di santità. E di contro, è disperatamente innamorato di Madeleine, la lavandaia complice del Marchese. Solo che con quella brutta faccenda del voto di castità se la vive malissimo, potrebbe costruire una muraglia cinese di sessualità repressa.
  • Il dottore, Michael Caine, è il classico pezzo di merda con la maschera di rettitudine. Apparentemente irreprensibile, il viscido bastardo è in realtà un vecchio porco. Sposa un’orfanella nemmeno sedicenne prelevandola da un convento di suore pettegole, e la costringe ai doveri coniugali. Ci godrete immensamente quando la ragazza, emancipata dalla lettura clandestina di Justine, riuscirà finalmente a farsi valere – fuggendo con un giovane e figo architetto.
  • Madeleine, la lavandaia, è una gran brava figliola. Aiuta la madre cieca nel lavoro, si smazza la biancheria dei matti, ricambia segretamente l’amore represso del pretino (che le insegna a leggere e a scrivere). MA ha un disperato bisogno di evadere e le storie erotiche, grottesche e buffe del Marchese la tengono in sella. Instaura con lui un rapporto bellissimo di luci e ombre, di attrazione, repulsione e reale affetto.
  • I matti di Charenton, di cui cinque o sei veramente ben caratterizzati, sono la cassa di risonanza di tutta la vicenda – con il loro chiaroscuro ricco di contrasti. Incarnano violenza, repressione, bisogni naturali, voglia di libertà, paura, in un calderone di umanità profondissima.
  • Su tutti, veglia il Marchese. Disperato e capriccioso mattatore destinato a diventare un burattinaio tragico, a distruggere vite, ad appiccare roghi, a scrivere col vino, col sangue e con la merda, in nome dell’arte e della libertà.

Quills è proprio una storia di libertà. Ma stiamo parlando di libertà assoluta, libertà di scegliere, libertà di fare il male. La stessa libertà imbizzarrita degli scritti del Marchese de Sade. L’arma a doppio taglio del libero arbitrio più biblico: quando l’uomo può scegliere il male nulla ci garantisce che non lo farà, ma proprio in questa scelta risiede il senso più profondo e più autentico dell’esistenza.

Il tema dell’emancipazione sessuale in Quills è una metafora di questa libertà: il sesso e l’arte sono due strumenti per riconciliare in parte l’individuo con se stesso.

Preparatevi a un paio di pugni allo stomaco: se non sbaglio Quills è vietato ai 18, ma il sesso e la violenza che si scatenano nel corso del film non vengono mai esplicitamente mostrati. Tagli di montaggio discreti (e forse ancora più impressionanti) si abbassano pudicamente sulle sequenze più crude della vicenda. E allora, direte voi, miei curiosi lettori: che c’è di così traumatico?

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C’è il dolore. C’è il senso di impotenza, di perdita, di ingiustizia. C’è quella libertà brutale, con cui ci sentiamo immediatamente in sintonia, pronta ad abbattersi come la ghigliottina della splendida sequenza iniziale sui nostri sogni. E c’è la consapevolezza che noi, come Madeleine, nasconderemmo gli scritti del Marchese nella biancheria sporca per portarli di soppiatto al cancello, dove ci aspetta un emissario sconosciuto di cui non sapremo mai il nome. Ma che verrebbe automatico battezzare “Speranza”.

Quills è una film che ci parla di fuoco, di amore per la narrazione e per la creatività, di quelle correnti sotterranee della nostra anima che ogni tanto spaccano le zolle e ci lasciano lì, col culo appoggiato sulle macerie fumanti, a interrogarci sul senso della vita (e a risponderci “42!” – chi becca la citazione la lasci nei commenti sulla pagina di TheMacGuffin).

Ed è anche, in certi passaggi, decisamente divertente – perché è scritto in modo divino. Insomma, vi basta tutto questo per guardarlo o vi devo lasciare una testa di cavallo tra le lenzuola?

Sara Boero

Sua madre dice che è nata nel 1985, a lei sembrano passati secoli. Scrive da quando sa toccarsi la punta del naso con la lingua e poco dopo si è accorta di amare il cinema. È feticista di Tarantino almeno quanto Tarantino dei piedi. Non guardatele mai dentro la borsa, e potrete continuare a coltivare l'illusione che sia una persona pignola.
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