
Raw – La carne più buona è quella attaccata all’osso
Raw: una malatissima pietra miliare del cannibal-movie
Se volessimo fare dell’ironia potremmo dire che questo film è l’apoteosi della classica raccomandazione che le mamme premurose fanno ai bimbi schizzinosi: “Prima di dire che qualcosa non ti piace bisogna assaggiarla”.
Dalle parti di Raw c’è qualcuno che l’ha presa tremendamente sul serio.
Iniziamo col dire che Raw è un film francese e, anche se detta così non vuol dire sostanzialmente nulla, ricordiamoci che i cugini d’oltralpe negli ultimi anni hanno contribuito all’horror con robina mica male come Alta tensione (Alexandre Aja, 2003), Frontiers – Ai confini dell’inferno (Xavier Gens, 2007), À l’intérieur (Alexandre Bustillo, Julien Maury, 2007) e Martyrs (Pascal Laugier, 2008). Noi invece, al di là di esperimenti apprezzabili ma certamente di secondo piano come The End? – L’inferno fuori possiamo pure stare zitti e proseguire lungo il muro della vergogna della Fu Commedia all’Italiana.
Ma che cos’è questo Raw, che da gran parte della nostra critica ha ricevuto la stessa accoglienza di un abbonamento premium a Brazzers in un asilo nido? Raw è un film malato, certo, ma sublime, che racconta la storia di come l’essere umano non faccia altro che zompare allegramente da un’ossessione all’altra, dal fascio-veganesimo alla giugulare del prossimo.
La protagonista è Justine (un nome a caso, oppure scelto apposta per ricalcare quello della protagonista del romanzo Justine o le disavventure della virtù del marchese De Sade? complottisti scannatevi), nazivegana-fruttariana-crudista che mangia praticamente solo gambe di sedano non trattate, distillato di tofu e centrifugato alla carota biologica. Ma col rimorso.
Justine viene da una famiglia di veterinari vegetariani dove è stata educata al disprezzo per ogni tipo di cibo animale. Quando si iscrive alla facoltà di veterinaria però viene sostanzialmente obbligata, durante un rito di iniziazione per le matricole, a mangiare carne. Da quel momento la vita della ragazza si trasforma irrimediabilmente in un dramma dell’orrore, caratterizzato da una cosa sola: il bisogno compulsivo e irrefrenabile di carne cruda.
Qualsiasi tipo di carne cruda.

La bellezza di Raw sta nel non strafare, nel mantenersi quadrato e asettico, evitando con un bel salto in lungo lo splatter caciarone e l’exploitation, perché il discorso che conduce la regista Julia Ducournau è molto più elevato. Ecco, non prendete Raw per il figlio con l’erre moscia di Cannibal Holocaust o un lontano cugino di Green Inferno di Eli Roth, perché il cult di Deodato (padre del cannibal-movie) qui non c’entra proprio un bel tubo: Raw parla di reazione alla repressione delle istituzioni, una reazione ferina che ha ovviamente conseguenza tragiche e macabre. L’insorgente cannibalismo di Justine è figlio di una voracità tenuta nascosta per troppo tempo, che a poco a poco si mescolerà a quella della sorella, personaggio assolutamente fondamentale.
In meno di 100 minuti questo film ci dimostra come i francesi siano ancora parecchi passi avanti a noi, innanzitutto per una libertà di espressione che dimostrano quasi con noncuranza, mettendo sul piatto di Cannes un film che ha sì disturbato gli spettatori di mezzo mondo, ma che in Italia avrebbe scandalizzato anche i pederasti più incalliti suscitando chissà quali polemiche e controversie. In Francia invece ha fatto (giustamente) scalpore, con gente che sviene in sala e quant’altro, ma è stato preso per quello che è: un’opera d’arte moderna che racconta di questioni antiche come traumi, nevrosi, repressione, il lato oscuro dell’essere umano che si manifesta mordendo, azzannando e scarnificando.
Ecco, quando mi dicono che il cinema di genere serve solo per l’intrattenimento io rido, tantissimo.
La regista mette nel frullatore un po’ di tutto: ribellione adolescenziale (soprattutto dal punto di vista femminile), il bullismo, l’oppressione familiare, la metamorfosi, gli eccessi di un’età di passaggio, la bestialità fisica e sanguigna che sopprimiamo tutti i giorni e che può esplodere in ogni momento, riducendoci a bestie affamate, disposte a tutto per cibarsi. Gli influssi sono tanti, dalla Carrie di Stephen King al classico filone cannibal, ma – se vogliamo azzardare un accostamento – c’è tanto anche del body-horror di Cronenberg (Brood – La covata malefica, La mosca) non tanto perché ci siano mutazioni mostruose visibili, ma perché il cambio di dieta di Justine passa attraverso una sofferta e invisibile metamorfosi che rischia quasi di ucciderla. Una metamorfosi fisica però, che terrorizza e precipita lo spettatore in un incubo a occhi aperti che è un vero e proprio gioiellino dell’horror moderno, che ha ricevuto il dovuto plauso da parte della critica, ma che il pubblico ha sostanzialmente snobbato, mentre le sale dove si proietta robaccia come Slender Man e The Nun sono piene come uova.
Same old song and dance, cantavano gli Aerosmith.
Ça va sans dire, direbbero i cugini mangiarane.