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Refn e la violenza, ovvero quando la violenza diventa arte

Sì, sono d’accordo con voi amici pacifisti: la violenza è cosa cattiva e sbagliata, non si fa, molto meglio risolvere le cose con carezze, sguardi dolci e accordi economici taciti. Tutto molto vero e molto giusto, ma questo implica il fatto che la violenza non debba essere mostrata? Domanda retorica. È nel mio interesse farvi conoscere questo signore danese che, a quanto pare, ha uno strano fetish per la violenza e quindi ritiene che nei suoi film essa debba necessariamente essere presente. Per chi abbia vissuto tra le nuvole negli ultimi (almeno) 5-6 anni o per chi sia capitato qui in modo casuale, il suo nome è Nicolas Winding Refn e a Nicola la violenza piace.

nicolas winding refn
Brutto e vagamente inquietante.

Ma passiamo a ciò di cui voglio parlare con voi oggi: vedremo insieme innanzitutto perché Nicola Carico Refn usa la violenza nei suoi film e successivamente indagheremo sul ruolo di essa in ciascuna pellicola. Ci tengo a precisare che, siccome in alcune occasioni utilizzerò aneddoti/eventi tratti direttamente dalla vita del regista, questa è anche una sorta di monografia sul danese. Contenti bimbi? Bene, io più di voi.

Appendice paraculo: tutto ciò che verrà discusso e trattato in questa sede è esclusivo oggetto di interpretazione e rielaborazione di idee proprie del regista, dalle quali il sottoscritto si dissocia con convinzione. In altre parole: non fatemi passare per un violento/sadico/mangiatore di bambini perché quello semmai è Refn. Ora muoviamoci che devo andare a strappare le budella da un corpo.

nicolas winding refn
Bello ciccino.

Perché a Nicola Refn piace la violenza?

Non lo sappiamo con precisione, ma siamo certi del fatto che il buon Refn abbia trascorso un’infanzia poco serena. Vi basti sapere che da piccolo, in un culmine di tensione e stress, ha rivolto nel sonno la sua pistola ad aria compressa RIGHT IN DA FACE alla matrigna. È invece indubbio che il regista abbia fatto della violenza il suo marchio di fabbrica, spargendola a iosa in tutti i suoi film. Giungiamo quindi alla seconda domanda:

Perché i film di Nicola sono tutti violenti?

Art is an act of violence vi risponderebbe lui. Va bene, ma… CHE CAZZO MI SIGNIFICA? Due sono i problemi riguardanti questa affermazione:

  • in che senso?
  • quindi se non esiste violenza non esiste arte?

Per quanto riguarda la prima domanda, è chiaro che l’affermazione scottante di Refn si presta a diverse interpretazioni, ma quella che il sottoscritto vi attribuisce è che l’arte deve contenere violenza perché diventi tale. Fermi, lo so che sembra una stronzata, ma piano piano capiremo.

Per quanto riguarda la seconda domanda, invece, la risposta è no. O almeno lo spero, perché se davvero Refn pensasse una cosa del genere sarebbe un completo idiota. “Abbiamo millenni di espressioni artistiche di immensa bellezza e valore culturale.” “Sì, ma… dov’è la violenza?” “Bè, signor Refn… quella… non c’è” “BRUCIATE IL LOUVRE!”. Quindi, escluso che sia così, io credo che Nicola intenda che la SUA arte per esistere (e per essere tale) deve essere/contenere violenza. Ergo, sì, penso che se Refn guardasse la donnabruttacheforsesorrideforseno saprebbe apprezzarla, non come Duchamp.

Dunque, riiiicapitolando: Nicola è convinto che l’arte debba essere e/o contenere violenza per essere considerata tale, ma che questa “definizione” si presti solo ed esclusivamente alla sua arte, al suo cinema. Resta comunque un’idea malata, affascinantemente malata. Fin quando i film sono belli siamo tutti contenti. Quasi.

refn
“Hey questa frase è davvero suggestiva! Sarebbe molto interessante se ci costruissi sopra la mia filmografia!”

Veniamo alla sostanza: come si manifesta e soprattutto che ruolo ha la violenza nei film del danese? Prendiamo ora in esame i singoli prodotti cinematografici del bimboconlabruttainfanzia quindi, che ve lo dico a fare, da qui in poi L’ARTICOLO CONTERRÀ SPOILER. So che voi siete dei temerari e che lo leggerete lo stesso. Bro fist per voi.

LA VIOLENZA COME CONDIZIONE AMBIENTALE: PUSHER – TRILOGIA (1996, 2004, 2005)

pusher

Se siete tra quelli che conoscono Refn solo per i nuovi prodotti, cancellate dalla testa il tipo di violenza a cui siete abituati. La trilogia di Pusher usa sì la violenza (meno nel primo e nel secondo capitolo, di più nel terzo), ma non nel modo spregiudicato al quale Refn ci ha abituati da Bronson in poi. La violenza di Pusher è la naturale (e obbligata) risposta che i personaggi manifestano come reazione all’ambiente in cui vivono, ovvero quello dello spaccio di droga. Chi per scelta, chi per lucro, chi per bisogno, tutti i personaggi della trilogia sono collegati a quel mondo e, per sopravviverci o per dominarvici, sono costretti a ricorrere alla violenza, fisica o verbale che sia.

N.B.: tutti e tre i film sono in parte autobiografici. Nel primo capitolo la disperazione e l’alienazione dalla società e dagli affetti caratterizzanti Frank (Kim Bodnia) sono il correlativo dello stato psichico del Refn giovane/adolescente: Nicola è infatti dislessico (ha imparato a scrivere a 13 anni!), ha difficoltà a relazionarsi con gli altri (soprattutto con le donne) ed è gravemente depresso. Nel secondo capitolo quando Tonny (Mads Mikkelsen, Hannibal Lecter in Hannibal) uccide suo padre, Refn dice che è come se lui si fosse vendicato: vendetta attuata nei confronti dei familiari che gli hanno fatto passare una pessima infanzia. Inoltre, mentre il film veniva girato, nacque la prima figlia del regista, ed infatti in Pusher II Tonny scappa chissà dove con suo figlio, unica speranza di salvezza rimastagli. Nel terzo capitolo infine il complesso rapporto tra Milo (Zlatko Buric) e la figlia riflette le nuove responsabilità che investono Refn in quanto padre.

LA VIOLENZA COME REAZIONE (A CATENA) ALLE SITUAZIONI: BLEEDER (1999)

bleeder

In Bleeder, film dimenticato assieme al successivo Fear X, la violenza si manifesta come reazione dei personaggi alle situazioni che li coinvolgono, o meglio, travolgono: Leo (Kim Bodnia) picchia la moglie perché non riesce a convivere con l’idea che avrà un figlio, a sua volta Louis (Levino Jensen), fratello della moglie, malmena Leo e gli fa iniettare nelle vene del sangue infetto di HIV. Malato. Per controcontroreazione Leo sparerà ad una gamba di Louis per poi successivamente sparare alla sua stessa mano facendo infine colare il sangue che ne fuoriesce sul corpo di Louis in modo da passargli l’HIV. Malatissimo. Insomma la violenza genera altra violenza e alla fine diventa l’unico mezzo per reagire alle situazioni.

LA VIOLENZA INDOTTA (PSICOLOGICAMENTE): FEAR X (2003)

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Discorso molto diverso per quanto riguarda Fear X. In questo caso la violenza non è esplicita se non in un paio di situazioni, ma piuttosto psicologica, non manifesta. Il cervello di Harry (John Turturro) è “violentato” dalla martellante fissazione di trovare il killer di sua moglie per chiedergli perché l’abbia uccisa. Il protagonista, nonostante sarebbe plausibilissimo, dichiara più volte di non avere nessuna intenzione di vendicarsi una volta trovato l’uccisore. Tuttavia, quando ci si ritrova faccia a faccia non resiste e scatena la sua furia, con risultati tutt’altro che positivi. Quindi è chiaro che la violenza che si manifesta in Fear X è a sua volta indotta da un’altra violenza, quella psicologica.

LA VIOLENZA COME FORMA D’ARTE: BRONSON (2008)

bronson

È il primo film di Refn nel quale la violenza si manifesta nei luoghi e nei modi a cui tutti oggi siamo abituati: spregiudicata, esagerata, spettacolarizzata ed estetizzante. La furia violenta di Charles Bronson (Tom Hardy), ovvero il criminale più violento e pericoloso del Regno Unito, si abbatte su tutto e su tutti ed è il modo attraverso il quale il criminale ottiene notorietà. È così che la violenza diventa la sua forma d’arte, la cosa in cui egli ripone tutto se stesso e in cui riesce meglio.

Anche qui i paralleli tra Charles Bronson e Nicola Refn si sprecano: così come l’arte di Bronson è la violenza, così Refn usa la violenza come propria forma d’arte, riponendola nei suoi film.

LA VIOLENZA COME SOPRAVVIVENZA: VALHALLA RISING (2009)

valhalla rising
Quello sguardo che se ti percepisco a un emisfero di distanza cambio direzione

Prigioniero, costretto a stare sempre con un collare metallico alla gola, chiuso in una gabbia peggio degli animali, costretto a combattere in scontri omicidi contro altri uomini e malnutrito. Ora ditemi voi se è bello vivere in queste condizioni, ditemi se una volta liberi non vi verrebbe voglia di frantumare qualsiasi osso componga lo scheletro dei vostri aguzzini, se non vorreste stringere il vostro possentissimo pugno per poi scagliarlo a una velocità tale che nuvola speedy puoi solo farmi un pippone gigantesco. Questo è esattamente ciò che succede a One-Eye (un muto e ciecato Mads Mikkelsen) in Valhalla Rising. Ma il punto non è questo, infatti One-Eye è violento perché la violenza è l’unica cosa che gli permette di sopravvivere: prima negli scontri alla gladiatore, poi quando deve difendersi dall’indispettimento (giusto per usare un eufemismo) dei cristiani. Che comunque i crani spappolati e le budella estratte dalle pance sono sempre belli.

LA VIOLENZA ESTETIZZANTE: DRIVE (2011)

drive
Il fottuto orgasmo visivo

Drive è forse il film della “nuova” filmografia di Refn più “””””canonico”””””: segue archetipi narrativi classici, cliché tipici del genere thriller e via dicendo. Ciò non gli vieta di essere un capolavoro e di essere un prodotto immensamente originale. Perché? Perché Refn ha una cura estetica maniacale, quasi perfetta e (soprattutto) in questo Drive c’è un assoluto equilibrio dualistico, rappresentato dal personaggio principale. Il protagonista senza nome (Ryan Gosling) sembra diviso tra anima buona di giorno e anima cattiva, sporca di notte e questo dualismo è riflesso nella rappresentazione: a fare da contraltare al Ryan Gosling tenero e dolce con Irene (Carey Mulligan) troviamo l’uomo capace di compiere azioni mostruose. Azioni, queste, veicolate in maniera sublime dalla protagonista del nostro articolo: la violenza, una violenza bella da vedere e che crea armonia estetica.

LA VIOLENZA COME ATTO PUNITIVO (E VENDICATIVO): SOLO DIO PERDONA (2013)

solo dio perdona
“Mi sto cagando addosso ma sto cercando di non darlo a vedere”.

Refn sa essere un soggetto decisamente interessante, sicuramente controverso, ma sa anche apparire molto stupido. L’idea che in Solo Dio perdona egli abbia pensato di raffigurare Dio che punisce i peccatori fa ridere e, cosa peggiore, toglie valore al film, ma insomma: chi ha visto sa. Il penultimo film di Nicola è probabilmente il suo più esplicitamente violento: la violenza, gli arti mozzati e il sangue sono OVUNQUE. Ma viene il bello, perché per quanto l’idea di Dio che punisce i peccatori faccia ridere, qui un giustiziere, un “punitore” c’è: si chiama Chang ed è un ex poliziotto vietnamita. Bene, Chang, ogni qual volta lo desideri o ogni qual volta ritenga il suo avversario “un peccatore”, sguaina da posti ignoti la sua katana e come se non ci fosse un domani, ma neanche uno ieri, recide braccia, teste, occhi, gole e pance come farebbe un macellaio alla richiesta di 2 kg di crudo. Eccheccazzo calmati. Tuttavia nella filosofia del film queste amputazioni/morti sono appunto atti punitivi di Chang a.k.a. Dio nei confronti dei tizicheglidannofastidio a.k.a. peccatori.

Ammetto comunque che quando il nostro poliziotto perfora la gola di Crystal (Kristin Scott Thomas) con colpo deciso ho goduto ancestralmente.

LA VIOLENZA COME INVIDIA O COME ANNICHILIMENTO: THE NEON DEMON (2016)

the neon demon
No, non è morta.

Perché ci sono due opzioni di violenza? Perché The Neon Demon è speculare, in ogni sua forma e quindi anche nel contenuto. Capito il gioco di parole? Sono simpatico eh?! Il senso è che l’ultimo film di Nicola si può interpretare in un modo, ma anche esattamente nel suo opposto, ma di questo non discuteremo ora, se volete una recensione del film ve la lascio qui.

La violenza si manifesta come invidia in quanto Jesse (Elle Fanning) ruba il posto di modella alle altre ragazze, le quali per tutta risposta LA MANGIANO. Ma fermi tutti, perché come ho detto sopra il film si può leggere anche in maniera ribaltata. Una delle due ragazze che ha mangiato Jesse a una certa vomita un suo occhio, segnale questo che ella non riesce a contenere questo peso (passatemi il termine) a tal punto da annichilirla completamente e portarla ad uccidersi.

nicolas winding refn
“Mamma quanto so’ figo!”

Una cosa è certa: la violenza per Refn è necessaria. Ma anche un’altra cosa è certa a dire il vero: quest’uomo ha cambiato il cinema.

Mario Vannoni

Un paesaggio in ombra e una luce calante che getta tenebra su una figura defilata. Un poco inutile descrivere chi o cosa sono io se poi ognuno di voi mi percepirà in modo diverso, non trovate?
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