Film

Requiem for a dream – Quando un film ti devasta psicologicamente

Apprezzo particolarmente i film che sanno davvero emozionare, sia in positivo che in negativo.

In positivo direi che la lista è piuttosto lunga mentre in negativo è cortissima, anche perché sono difficilmente impressionabile. Per saper emozionare “in senso negativo” intendo le pellicole che ti uccidono psicologicamente. Dai, ognuno di noi ha visto almeno un film che lo ha sconvolto.

Ho deciso di confessarvi il film che mi ha procurato il malessere peggiore. Forse non proprio il peggiore visto che quello schifo di Pennywise in IT mi ha deviato a tal punto da non riuscire più a guardare un maledetto clown manco in foto.

La prima volta che ho visto Requiem for a dream (2000) di Darren Aronofsky non mi ricordo che età avessi, direi primi anni di Università. Un mio amico mi aveva detto di starci bene alla larga: lo aveva descritto come un gancio tremendo allo stomaco che lo aveva scosso. Se tu mi dici stai alla larga da questo film perché mi ha scosso io 5 minuti dopo sono già davanti allo schermo, svaccata con i popcorn in cerca di emozioni forti. Il bastardo comunque aveva ragione, sono rimasta profondamente turbata.

Requiem è un film cattivissimo, un lungo e doloroso viaggio verso l’autodistruzione di quattro tossicodipendenti, diviso metaforicamente in tre stagioni: estate, autunno e inverno. Non esiste la primavera, ovvero la rinascita. C’è solo spazio per il declino, la disperazione e il dolore.

Durante l’estate facciamo la conoscenza dei protagonisti. Sara Goldfarb (Ellen Burstyn) è una casalinga vedova molto sola, che passa le sue giornate davanti al televisore e o a chiacchierare in strada con le vicine. Un giorno viene invitata a partecipare al suo talk show preferito, quindi decide di mettersi a dieta per rientrare nel suo vestito rosso che le ricorda il defunto marito e la laurea del figlio. Peccato che il medico a sua insaputa le prescriva delle pillole dimagranti a base di anfetamine. Harry (Jared Leto) è suo figlio, menefreghista e tossicodipendente che insieme alla sua ragazza Marion (Jennifer Connelly) e al suo amico Tyrone (Marlon Wayans) cerca in ogni modo di trovare i soldi per comprarsi la droga.

Requiem for a Dream

L’estate sembra essere positiva per tutti: Sara perde peso ed è felice del risultato, e i tre ragazzi iniziano un proficuo commercio di droga.

Ma arriva l’autunno quindi la caduta e il declino. Le cose iniziano a sfuggire di mano ai protagonisti che si ritrovano sempre di più a dover fare i conti con la propria dipendenza. E giunge poi l’inverno, il triste epilogo. Il finale è agghiacciante: la rassegnazione e l’accettazione di essere dei perdenti e che la loro esistenza sia inevitabilmente segnata.

Il film ti butta addosso una vagonata di ansia e malessere. La prima volta che l’ho visto, arrivata alla fine, mi sono abbandonata ad una sorta di pianto liberatorio. Non ce la facevo più. Il regista Arfonsky è un gran sadico di merda: ti esaspera, bombardandoti a suon di violenza psicologica con scene ripetute allo sfinimento, scene che vanno velocissime, scene che umiliano i protagonisti, scene che ti mettono a disagio. E non la pianta fino a che non è felice e soddisfatto, quindi fino a quando non ha distrutto tutti i personaggi.

Ti senti male perché pur non vivendo in quell’ambiente degradante e malsano sei empaticamente vicino ad ognuno di loro, provi pena e speri in una loro rivincita, anche se sai  benissimo che non avverrà.

Sono stata a lungo indecisa su quante stellette assegnare alla pellicola. È un film veramente emozionante ma tremendamente imperfetto. Se si scruta attentamente il film saltano all’occhio un sacco di lacune, la sceneggiatura in primis. La storia dei tre ragazzi non è per nulla eccezionale, anzitutto vista e rivista in qualsiasi film che parla di droga. I personaggi di Leto e di Mayner sono insipidi e te li scordi dopo poco. Leto secondo me non è neanche azzeccato per la parte, ha il faccino troppo pulito e poco sciupato per interpretare un eroinomane con i fiocchi. Meglio la Connelly che però purtroppo, in questo film, ti rimane solamente impressa per la bellezza mozzafiato e per le scene di prostituzione davvero forti.

Ma le imperfezioni sono ben bilanciate da diversi pro: la resa visiva è un coltello affilato, la regia è decisamente originale e la colonna sonora di Clint Mansell è una goduria, specie Lux Æterna, l’indimenticabile main theme ripetuto per tutto il film.

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Il punto di forza più grosso comunque è il personaggio di Sara. La sua storia è il vero boccone amaro difficile da mandare giù.  La spaventosa trasformazione fisica e psicologica che subisce per colpa delle pillole è straziante. A differenza degli altri tre tossici, che se la sono cercata, Sara è una vittima impotente (prendeva inconsapevolmente delle anfetamine, ve lo ricordo) e colei che nel film ha pagato ingiustamente il prezzo più caro per la propria dipendenza. La sua unica “colpa”, se così si può chiamare, è quella di essere una persona estremamente debole e fragile, alla disperata ricerca del consenso altrui e di amore da parte del figlio.

L’attrice che la interpreta, Ellen Burstyn, recita in modo divino, un mostro. Ci regala una delle interpretazioni più scioccanti ed intense che si siano mai viste in giro. Quell’anno l’Oscar glielo ha soffiato la dentona più sopravvalutata amata di Hollywood, Julia Roberts, che ha vinto immeritatamente grazie all’indecente Erin Brockovich. MA FATEMI IL PIACERE!

Requiem for a dream è in sostanza un bel collasso di nervi che sa trascinarti molto bene tra le debolezze dell’animo umano. Non è un film che consiglierei a tutti. Se siete delle persone molto vulnerabili o facilmente impressionabili evitatelo e guardatevi l’orripilante Erin Brockovich per poi dirmi quanto è inutile la Roberts. Se siete dei duri provateci, ma finisce comunque a schifo perché questo film è fatto per farci soffrire, tenetevelo bene a mente.

Facciamo così: io vi lascio il trailerA voi la scelta.

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Sarah Tavella

25anni (+3). Novese per nascita, londinese d'adozione. Lavora nel Marketing e come direbbe Amélie Poulain, "a Sarah Tavella piace": perdere la voce ai concerti rock, i film dove vince il cattivo, guidare senza una meta.
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