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Riviera International Film Festival – Due mesi dopo: film consigliati e altre amenità

RIFF 2019 – Due mesi dopo.

Una regola generale del giornalismo, soprattutto quello odierno, che vive di foto, di copertura, di immediatezza, di dirette Facebook e di filtri Instagram, dice che la notizia più efficace è quella brand new, nuova di zecca. Bisogna stare sul pezzo zì, direbbe uno sbroccato 17enne random di oggi. Siccome però si trovano anche i 17enni che dicono non mi sta bene che no, anche a noi del MacGuffin non sta bene che no. La fretta è cattiva consigliera e noi, dopo le emozioni del Riff 2019, ci siamo presi la nostra pausa per archiviarle, queste emozioni, e valutarlo per bene.

Cosa è stato.

Partiamo da un fatto assodato: il Riviera Film Festival di Sestri Levante è una figata.

Non ci dilungheremmo su questo, lo abbiamo detto della prima edizione del 2017, lo abbiamo ribadito nel 2018 e lo abbiamo anticipato sulla fiducia quest’anno.

Come l’anno scorso la carne al fuoco era tanta, da proiezioni alimentate dall’energia eolica di Portofino, passando per barche elettriche che portavano i turisti in giro per il litorale, fino alle masterclass di Claire Forlani, Dougray Scott, J. Miles Dale e di Sky Series.

Ci siamo come al solito innamorati dell’atmosfera e delle persone che hanno animato questo festival. Siamo rimasti colpiti alla grande presenza scenica della minuta Yalitza Aparicio, una che, se non sapessi essere una candidata all’Oscar, ti farebbe venire voglia di abbracciarla talmente è modesta e disponibile, timida e impacciata, in maniera direttamente proporzionale al talento epressivo che possiede. Ci siamo lasciati conquistare da Stella Egitto, madrina del festival, di meravigliosa bellezza e spontaneità e che ha sopportato i nostri continui tampinamenti e domande, salutandoci sempre con gentilezza e chiaccherando amabilmente con tutti.

Questo è stato il RIFF 2019: un red carpet molto umano, che ti mostra un mondo dello spettacolo sano, lontano dall’idea corrotta che abbiamo ormai sviluppato. È glamour e qualità. Ecco, nei nostri articoli sul festival ci siamo spesso soffermati troppo su il primo punto, ma due mesi dopo, con l’emozione dei tappeti rossi in archivio, vorremmo focalizzarci sulla seconda.

Cosa abbiamo visto.

La qualità dei film che abbiamo visto quest’anno è stata ancora più alta. È stato davvero questo il grande passo avanti del Riff 2019  rispetto al 2018. Significativo il fatto che alcune delle pellicole non distribuite in Italia in concorso abbiano goduto di finanziamenti consistenti nei loro paesi e abbiano partecipato a numerosi festival, ben più famosi ed “esperiti” del Riviera. Capitolo a parte meriterebbero i documentari sull’ambiente in concorso, pazzeschi per qualità e per potenza di percosse del pugno nello stomaco che ti piazzano. Non è nostra materia ma vi consigliamo in particolare: Active Measures e The Human Element.

Il manifesto del RIFF 2019

Abbiamo visto un Riviera Film Festival che si prepara a diventare, quindi, una vetrina di grandissima qualità e risonanza, sinonimo di assoluto valore riguardo i film proposti, che ci hanno stupito tantissimo. È su questo che vogliamo concentrarci stavolta. Di seguito proseguiamo, infatti, proponendovi tre liste:

1- La lista dei consigli per gli acquisti, ovvero quei film da recuperare assolutamente in qualche modo.

2  – La lista dei film molto belli.

3 – La lista delle poche note stonate.

Promossi con entusiasmo e clamore.

Partiamo ovviamente dal vincitore, Sons of Denmark di Ulaa Salim (Danimarca), un film che mostra come a volte la finzione supera la realtà o che forse è la realtà che è diventata così terrificante da essere diventata un incubo cinematografico. Questa è la sensazione predominante che si ha guardando il film: un thriller atipico, distopico e tremendamente drammatico. Nella Danimarca del futuro, dei militanti arabi vogliono uccidere un leader politico xenofobo dell’estrema destra. Ma durante l’attentato, qualcosa va storto. La sceneggiatura, perfetta, alterna colpi di scena, tradimenti, agguati a personaggi in continua evoluzione, ma soprattutto si riempie di sangue, omicidi e violenza. Sulle note della lacrimosa di Mozart, Sons of Denmark descrive la totale follia del mondo che stiamo vivendo, dominato dalla paura del diverso, dal rifiuto delle nostre radici e dalla violenza.

Protagonisti di Paper Flags

Ritmo al cardio palma. Visivamente inquietante, emotivamente potente. Imperdibile.

Si prosegue con Paper Flags di Nathan Ambrosioni (Francia), primo film a essere proiettato e primo pugno allo stomaco.

Questa è la sensazione dominante, che riesce a perdurare anche quando dopo il film cerchi di mangiarti in pace una pizza. Due fratelli, un ex carcerato e una ragazza solitaria, in lotta contro se stessi e l’uno contro l’altro, nello slancio continuo verso una vita migliore, una vita felice, che può esistere solo se impareranno a stare insieme. I due attori protagonisti sono assolutamente sensazionali, vincitori entrambi del premio per la migliore recitazione.

I preferiti del MacGuffin.

La redazione intera presente al festival si è lasciata poi magicamente meravigliare da Curtiz, di Tamas Yvan Topolanszky e Claudia Sumeghy (Ungheria). La lavorazione di Casablanca e uno sguardo a chi l’ha voluto realizzare così. Questa è, in soldoni, la trama di Curtiz. È, azzarderei, uno dei migliori film dedicati al Cinema che abbiamo mai visto. Bellissimo e superbo nella sua realizzazione. Gli attori sono assolutamente in parte, la ricostruzione dell’ambiente, dell’atmosfera lavorativa della Hollywood dell’epoca è a dir poco perfetta e la storia è raccontata con una grazia invidiabile. Il lavoro fatto sul regista Micheal Curtiz e sul mondo che lo circonda è stupefacente e sfaccettato, piombando anche sui lati più oscuri e inquietanti. Il lavoro fatto con le riprese e nella fase di post-produzione è condotto con grandissimo gusto ed eleganza. Ma c’è una cosa che dovrete tener ben presente: Curtiz è un film a basso costo.

Di cose da dire su questo magnifico (capo…?) lavoro ce ne sono davvero tante. A voi l’emozione di trovarle.

Concludiamo la lista dei nostri favoriti citando il vincitore morale della manifestazione: Kiril Sokolov, emergente regista russo dello scoppiettante Why Don’t You Just Die. Prendete Tarantino elevato all’ennesima potenza quando ci parte con il liquido rosso e i drammi famigliari francesi, concentrati in una sola stanza, diventata il centro della tragedia morale, aggiungete un pizzico di umorismo sovietico e di critica alla società russa e BOOOM, una bomba a orologeria cinematografica. Un film di una violenza inaudita, di una carica umoristica insensata e di un’intelligenza pazzesca. Il regista stesso, intervistato da noi, che mi sciorina, tra le sue ispirazioni, Dostoevskij, con indosso una maglietta da nerd, è la summa di questo capolavoro qualitativamente trash. Dimostrazione? La signora 70enne in prima fila che applaude entusiasta. Caro Kiril, hai vinto il premio speciale MacGuffin.

Promossi con soddisfazione.

La categoria successiva, meno scoppiettante della precedente, si apre con il sensibilissimo Summer Survivors di Marija Kavtaradze (Lituania), dove un inizio molto lento, ragionato e solo apparentemente noioso è la preparazione necessaria per un film che scava dentro le nostre fragilità attraverso le stesse debolezze di un gruppo di “pazzi” e “rifiuti nella società” che si deve imbarcare nel più classico dei road trip per raggiungere una nuova clinica psichiatrica. Tralasciando le citazioni che abbiamo voluto trovare di Tre Uomini e Una Gamba, il film merita per come riesce a rendere leggera quella pazzia che tanto ci spaventa, ma allo stesso tempo rendendoci consapevole di essa.

Il viaggio prosegue in bicicletta con Domestique di Adam Sedlak (Rep. Ceca). Il “Domestique” è un ruolo fondamentale in una squadra ciclistica: assiste il capitano (e solo lui) e lo aiuta per favorirlo nel suo cammino verso il traguardo. In Italiano, noi lo chiamiamo “Gregario”. È proprio un gregario ha il profondo desiderio di elevarsi da questo ruolo nella squadra, sottoponendo il suo corpo a costanti e dure sessioni di allenamento, mentre a moglie ha il profondo desiderio di avere un figlio e compila tabelle su tabelle per monitorare i periodi di fertilità. Un uomo, una donna e due diverse ambizioni, assolutamente incompatibili. Ambizioni che diverranno presto ossessioni, portando i due a soluzioni sempre più estreme.

Scheletro di questo film è la routine ferrea dei due e il modo in cui l’obbiettivo di uno finisce sempre per rallentare quello dell’altro. Chiuso e claustrofobico sin dalla sua prima inquadratura e sempre più angosciante, il film ci trascina, con il suo linguaggio estenuante e morboso, fino alla sua terrificante conclusione. Un thriller domestico davvero ben realizzato.

Un film per ogni genere.

A proposito di angoscia, abbiamo adorato anche Gwen di William McGregor (Inghilterra) dove una madre vedova cerca di sopravvivere alle dure condizioni climatiche insieme alle figlie nelle desolate campagne irlandesi dell’ottocento. La fame, il freddo, la povertà, tutto sembra perduto, finché strani fenomeni paranormali si manifestano ai loro occhi. Un horror non convenzionale, che lavora a livello psicologico, piuttosto che sensoriale. Il suo regista lavora per sottrazione, lasciando tutto nella vaghezza e nel non detto, per poi far esplodere la tensione accumulata in un agghiacciante finale. Il film fa paura, ma anche riflettetere. Chi sono i mostri? Chi sono i fantasmi? Siamo forse noi i nostri stessi demoni? Recuperatevelo. Fate lo stesso anche per Hopelessy Devout di Marta Diaz De Lope Diaz (Spagna), un film che ci pone davanti alla seguente domanda: perché una donna non dovrebbe essere a capo della propria confraternita religiosa, cui ha dedicato tanti anni e tanto amore? È quello che si chiede anche Carmen, mentre cerca di nascondere nella vasca da bagno il corpo privo di coscienza dell’uomo che ha preso il posto che le spetta. Divertente dall’inizio alla fine, le tre attici protagoniste esilaranti. Da vedere.

Bocciati.

Sarebbe assurdo pensare che tutti i film proposti incontrino i gusti del pubblico o perlomeno di parte di esso. Sono pochissime le note stonate del RIFF 2019, due per la precisione.

La prima è stata The Heart, nonostante la  simpaticissima regista svedese Fanni Metelius (Svezia), tra l’altro protagonista femminile del film, con cui ci siamo intrattenuti a lungo a parlare, senza che ci convincesse però della bontà della pellicola. La storia si basa sulla parabola di una giovane coppia che si conosce e va a convivere dopo brevissimo tempo. Brevissima è anche la durata dell’entusiamo, dato che, dopo poco, lui comincia a non volerla toccare manco con un bastone lungo tre metri. A dire della cara Fanni il film si propone di essere un ritratto intimistico di un fenomeno poco comune, quello dell’uomo che non ha voglia, topos cinematografico in realtà spesso battuto negli ultimi anni. Il film risulta noioso e trooooppo intimistico; le inquadrature sono così vicine alle effusioni dei due, e in generale a ciò che fanno, da risultare fastidiose. I numerosi riferimenti agli apparati sessuali risultano più grotteschi che coraggiosamente provocatori, come probabilmente si proponevano di essere. Da salvare il finale del film.

Completamente non da salvare invece, secondo tutta la redazione, il film Firecrackers di Jasmine Mozzafari (Canada). Due ragazze laureate all’università della strada e che vivono in un buco sperduto del Canada progettano di prendere tutto e andarsene a New York, facendo il dito medio alla loro vita schifosa e senza sbocchi. Il film probabilmente voleva ritrarre la soffocante realtà di certe frange della società, senza valori e educazione e quindi da compatire, perché senza sogni e prospettive, ma semplicemente, a nostro parere, il film non riesce in questo intento, producendosi in una pellicola ripetitiva, che non ti fa, appunto, compatire coi sentimenti delle protagoniste.

Cosa ci si aspetta dopo il RIFF 2019.

Insomma, ci aspettiamo di tutto da questo festival, sotto tutti i punti di vista, l’anno scorso ci aveva talmente scioccato la bellezza della manifestazione da farci dimenticare i film, quest’anno è stato il contrario. Cosa potrà succedere del 2020? Noi invitiamo tutti voi lettori, se non l’aveste ancora fatto a tenervi liberi per il prossimo maggio, che siate appassionati di cinema, che siate appassionati di mare o che siate semplicemente appassionati della atmosfera che solo il grande Cinema sa dare. A Sestri Levante tutto ciò c’è in abbondanza.

Ne approfittiamo per ringraziare gli organizzatori del RIFF 2019 Vito D’Onghia, Massimo Santimone e Stefano Gallini Durante.

Riccardo Cavagnaro

Vede la luce nell'anno 1991. Da quando ha visto "Jurassic Park" all'età di 3 anni sogna segretamente di toccare un dinosauro vivo. Appassionato lettore, viaggiatore, ascoltatore di musica e bevitore. Tutte queste attività arricchiscono sicuramente il suo bagaglio culturale, ma assottigliano pericolosamente il suo portafogli.
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