
Rimetti a noi i nostri debiti, così così la prima di Netflix nel Belpaese
Se vi state chiedendo se Rimetti a noi i nostri debiti varrebbe il prezzo di un biglietto del cinema la risposta è un secco no.
Meno male che Netflix c’è avrà pensato Antonio Morabito. O almeno è quello che avrei pensato io se fossi stato in lui perché al botteghino il suo film avrebbe fatto una figura poco dignitosa. Anche se qualche spunto interessante c’è, quindi ben venga il paracadute offerto dal colosso statunitense.

Eh sì, bisogna ammetterlo, perché il film prodotto da Lotus Production era stato pensato per un pubblico standard ma i denari di una multinazionale difficilmente si posso possono rifiutare nel 2018. E la verità è che il nostro panorama ha un disperato bisogno di spinta economica e visibilità a livello mondiale (il film è disponibile in 190 Paesi nel mondo, a differenza di capolavori che non usciranno mai dai confini nazionali), se non altro per dare la possibilità ai registi di domani di trovarsi nella posizione di poter competere con i rivali provenienti da ogni angolo del pianeta.
Visto sotto questo aspetto Rimetti a noi i nostri debiti è un buon punto di partenza, anche se con un gap non indifferente nei confronti dei tanti prodotti Netflix che stanno emergendo nella sezione “film”.
PERCHÉ È LA SAGRA DEI TRISTI LUOGHI COMUNI
Io non voglio rassegnarmi al fatto che un giorno anche il cinema italiano riuscirà a scrollarsi di dosso le ragnatele dei luoghi comuni che lo avvolgono però, ahimè, non è questo il giorno. Eppure, i luoghi comuni come tali riservano sempre un bel fondo di verità.
E se nelle intenzioni del regista c’era la volontà di fare un film attuale e politico ovvio che si finisse a parare nella situazione economica attuale, disastrata e allo sbando come poche volte nella nostra storia. Da qui l’incipit del film, che ci presenta la coppia di protagonisti come la rappresentazione di una bella fetta d’Italia, divisa tra quelli disposti a tutto pur di sbarcare il lunario e quelli che ancora non si sono rassegnati a farlo.

Marco Giallini è Franco, un esponente della prima categoria che lavora per una società che compra debiti e debitori dalle banche in modo da poter riscattare i soldi in maniere poco lecite. E poi c’è Claudio Santamaria che è Guido, debitore che finisce con il passare dall’altra parte della barricata per poter sopravvivere. E il passaggio non è così netto come ci si aspetterebbe perché gli esseri umani fanno schifo sia dall’una che dall’altra parte.
Non sarebbe neanche male come leitmotiv eppure Rimetti a noi i nostri debiti pecca di poca incisività per il 90% della sua durata. Non arriva all’osso di niente, né dei personaggi e né delle situazioni.

UN PO’ PIÙ DI CATTIVERIA AVREBBE FATTO BENE
Cattiveria agonistica eh, quella voglia di non accontentarsi, di andare oltre alla mediocrità che troppo spesso viene fuori nel film di Morabito. Ben lontano da Il venditore di medicine, per dare un metro di paragone. A eccezione della scena nella tromba delle scale e del personaggio del Professore (Jerzy Stuhr) gli unici che salvano la baracca sono gli attori protagonisti, che dimostrano (come se ce ne fosse bisogno) di essere tra i migliori che offre il panorama italiano.

Non c’è dubbio che la tematica è forte e la prima mezz’ora è davvero angosciante nel senso buono del termine, ossia, fa provare qualcosa allo spettatore! Lo fa entrare in un mondo che forse non conosce ma che è terribilmente vicino a lui.
Poi però non rimane nulla di tutto questo perché man mano che Rimetti a noi i nostri debiti avanza, escono fuori lacune nella sceneggiatura grosse come le buche nelle strade della Capitale, che fa da sfondo alla vicenda. I legami tra i personaggi sono superficiali e scontati, sconclusionati e stridenti mentre il canovaccio narrativo si perde senza davvero portare a un finale che si possa definire tale. Diciamo che il film ad un certo punto finisce. E ci si accorge che è anche durato fin troppo.
È questo il problema di noi italiani, siamo fiacchi, c’è poco da fare.
E il cinema in quanto specchio della nostra società non può che riflettere questo senso di stanchezza che ci portiamo dietro, la poca voglia di fare, di mettersi in gioco e di vivere le emozioni che ci riempiono il cuore e i polmoni. Siamo senza Governo, senza Nazionale di calcio, senza casa, senza lavoro e l’unica cosa che anima i ragazzi è la musica trap. A casa mia si chiama toccare il fondo della botte.
E alla fine Rimetti a noi i nostri debiti è questo, una storia che parla di gente che ha toccato il fondo della vita e non riesce a fare niente per risalire la china della propria dignità.
TIRANDO LE SOMME DI TUTTI ‘STI DEBITI
Cosa si può salvare di questa “prima” cinematografica su Netflix?
Forse solo il fatto che ci sia una “prima” cinematografica su Netflix.
Nel senso che non mi sento per niente propenso a consigliare questo film ai miei amici sparsi per il mondo, però allo stesso tempo è un primo passo, per lo meno ci siamo anche noi nei piani del Megadirettore di Netflix e speriamo che i soldi per le prossime produzioni originali siano meglio spesi.
Io comunque rimango in attesa della seconda stagione di Suburra, perché tanto, visto che dobbiamo rimanere in tema di umanità che fa schifo almeno in Suburra fa schifo bene.