
Ritratto della giovane in fiamme: un bel film che poteva essere molto di più
Che fatica scrivere questo articolo. Ritratto della giovane in fiamme è nelle sale dal 19 dicembre. Miglior sceneggiatura al Festival di Cannes nel 2019, potenziale miglior film straniero ai Golden Globe, potenziale palma d’oro, potenziale, potenziale, potenziale. Ecco la parola che più di tutte descrive questo film. C’è chi lo definisce un capolavoro, chi il film dell’anno, chi addirittura lo ha inserito tra i film del decennio. Ne vidi il trailer prima di vedere Un giorno di pioggia a New York (di cui lascio qui la recensione) ed anche io mi ero messo nell’ottica di essere d’accordo con tutte queste affermazioni. Poi è successo qualcosa.
Il 2019 è stato un grandissimo anno per il cinema: è stato infatti l’anno di Parasite, di Once Upon a Time… in Hollywood, di Joker. Film che abbiamo amato tutti, chi più chi meno. Film che ci hanno fatto piangere, ridere, sorridere, ghignare, rabbrividire, esaltare ed ora anche stufare (bello Joker, bravo Phoenix eh… però…). Ma qual è il punto? Il punto è che temo che in questo momento siamo troppo concentrati ad adorare Tarantino, Phillips, Allen, Joon-ho e Scorsese per apprezzare davvero qualsiasi altro nuovo film. Come se fossimo un po’ saturi e con la testa troppo incentrata sulla corsa agli Oscar. Phoenix o Di Caprio? E De Niro?

IL PROBLEMA PIÙ GRANDE DI RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME È QUELLO DI ESSERE USCITO ADESSO
Marianne è una pittrice alla quale viene commissionato il ritratto di Héloise: donna promessa in sposa contro ogni sua volontà, della quale il futuro marito aspetta la raffigurazione su tela. Non è la prima a cui viene affidato questo compito. Essa infatti succede ad un pittore che fallì nel suo intento a causa della ribellione e della rabbia insite nella giovane per le quali quest’ultima rifiuta di posare per un ritratto che segnerà in maniera così indelebile il suo destino e la sua intera vita. Tra le due nasce complicità, e quella che dapprima doveva fingere di essere una dama di compagnia per poter dipingere di nascosto il quadro, diventa l’amore proibito e segreto di una donna costretta nei rigidi schemi di una società che annulla e svilisce completamente la sua figura e la sua esistenza (siamo a fine ‘700).
La sceneggiatura è potente, la fotografia sublime ed i costumi incredibili. Gli occhioni di Noémie Merlant bucano lo schermo ed entrano nelle viscere e nell’anima, lo sguardo tetro di Adèle Haenel rende bene la tristezza del suo personaggio. Le due attrici impersonano bene i loro personaggi. Lo stesso non si può dire di Valeria Golino, qui completamente fuori contesto e un po’ sottotono. I temi affrontati sono tanti e importanti: c’è la solitudine, c’è la chiusura di una società maschilista a cui donne come la madre di Héloise (Valeria Golino) sottostanno senza farsi domande, e conseguentemente c’è il rancore verso quest’ultima, la frustrazione e la rivendicazione della propria libertà individuale e sessuale.

Ma allora cosa manca a questo film per essere un grande film?
Prima di tutto il ritmo. L’andamento dell’opera è incredibilmente lento. Il film dura due ore, ma sembra durare almeno mezz’ora in più. Curiosa (e personalmente apprezzata) la scelta di non inserire musica se non quella che viene suonata dai personaggi o riprodotta negli ambienti in cui si trovano. Emblematica l’assenza quasi totale del sesso maschile pur rimanendo presente e pesante nel clima in cui vivono i personaggi. Chiaro il concetto di voler esaltare tutti i temi sopra citati attraverso un rapporto omosessuale contestualizzandolo nel ‘700 per evidenziare retaggi che ancora oggi ci portiamo dietro.
Dubbi sull’utilità di certe scene o situazioni. Dal nulla, a un certo punto, l’inserviente della famiglia si ritrova a vivere in prima persona un altro tabù riguardante l’universo femminile. Ecco subentrare la solidarietà tra donne ingabbiate in modi diversi dalla società in cui vivono, ed ecco il senso di questa situazione… Che però non è spiegata né sviluppata.
Ho faticato ad affezionarmi ai personaggi, e questo mi è dispiaciuto perché ogni personaggio ha delle caratteristiche precise ed è molto profondo, ma di questa profondità si sa poco. Probabilmente per scelta si sono voluti rappresentare i punti di forza di donne molto fragili al fine di nobilitarle, ma è un peccato non mostrare come la forza di ognuno di noi nasca in realtà dalle nostre fragilità più profonde. Per apprezzare appieno una persona forte bisogna conoscere anche ciò contro cui lotta, e questo non può avere a che fare soltanto con la condizione sociale. Si sa poco della psicologia dei personaggi, delle loro storie. Ciò che è più evidente è che siamo di fronte ad un film femminista. Molto attuale e figlio del tempo in cui viviamo.
Conclusioni
Se dovessi consigliare Ritratto della giovane in fiamme sì, lo farei. È comunque un bel film e stiamo parlando della migliore sceneggiatura di Cannes. È un lavoro di assoluto livello e con un valore sociale decisamente importante.
Se mi è piaciuto Ritratto della giovane in fiamme? Sinceramente non lo so. Ho ancora bisogno di metabolizzarlo per capirlo. Di sicuro non lo aiuta essere uscito in un periodo così pieno di film incredibili che tanto stanno facendo parlare di loro e che tanto hanno estasiato un pubblico così vasto che ormai si aspetta solo più di vedere premiato il proprio attore/film preferito agli Oscar.
Di certo ad aiutare questa pellicola non è la distribuzione, altro grande dispiacere. Imbarazzante come in tutto il Piemonte sia visibile in sole due sale: Torino e Bra. Ho faticato a trovare un cinema che lo proiettasse. Ad oggi, a Torino, l’unico ad averlo in programmazione è il Cinema Nazionale.