Film

Ronin: Il canto del cigno di John Frankenheimer

John Frankenheimer, classe 1930, fu una delle personalità del cinema d’azione più solide che la Settima Arte abbia potuto vantare. Lavorando regolarmente, questo regista ha potuto sfoggiare un curriculum impressionante che annovera pellicole come L’uomo di AlcatrazIl treno e il sequel del poliziesco vincitore di Oscar Il braccio violento della legge di William Friedkin. Eppure, malgrado il riconoscimento critico che ha contribuito a trasformare i titoli appena citati in classici del genere, il lavoro di Frankenheimer viene spesso sottovalutato (per non dire “dimenticato”) quando si parla di action moderni, e l’aver chiuso la carriera prima di morire nel 2002 con una mezza ciofeca come Trappola mortale con Ben Affleck non deve aver contribuito molto alla cosa.

Il vero canto del cigno di Frankenheimer è però Ronin, un thriller spionistico datato 1998 con protagonista un Robert De Niro nella sua ultima interpretazione di vera classe pre-Irishman. Non vorrei mai risultare troppo romantico nei confronti di un lungometraggio a cui sono affezionato dalla prima adolescenziale visione che mi lasciò letteralmente sconvolto, ma Ronin va annoverato senza sé e senza ma tra quella manciata di grandissimi action anni Novanta (tra cui Point Break di Kathryn Bigelow e Heat di Michael Mann), dallo stampo molto classico ma modernissimi nella tecnica, che costituirono la risposta ai barocchismi del Bayhem in quegli anni imperante tra i botteghini internazionali.

La trama è di quelle più classiche nel vero senso della parola. All’indomani della Guerra Fredda, vari mercenari ex membri dei corpi segreti vendono al miglior offerente le proprie abilità di ricognizione e attacco. Cinque di questi (tra cui De Niro) vengono reclutati da un cliente senza volto a Parigi per impadronirsi di una valigetta il cui contenuto non deve essere rivelato per alcuna ragione. Come in ogni film del genere che si rispetti, seguiranno tradimenti e colpi di scena a condurre lo spettatore allo smisurato confronto finale in cui ogni conto in sospeso sarà pareggiato. Niente di nuovo, tutto già visto, ma estremamente coinvolgente per la freschezza con cui viene trattato il tutto.

Basterebbe dire che tra gli sceneggiatori del film è coinvolto il David Mamet di Gli Intoccabili per convincervi a recuperare questo Ronin, perché per circa due ore viene confermato quanto sia possibile (con impegno e dedizione) creare una storia e personaggi tutto sommato ordinari senza essere scontati. La sceneggiatura è congegnata con rigore e destrezza, giocando bene le carte del mistero per alimentare la curiosità e tratteggiando personaggi anti-eroici i cui rapporti sono giocati tutti sull’ambiguità e la mancanza di fiducia.

A beneficiare di questa attenzione per il comparto narrativo sono i dialoghi (memorabile e quasi filosofico il sermone legato alle origini dei ‘ronin’, i samurai solitari del Giappone feudale) e soprattutto gli eccezionali attori, tutti incredibilmente in parte. Anche se era ovvio aspettarci bellissime interpretazioni da gente come Jonathan Pryce e Sean Bean (in questo film morirà o no? Ve lo lascio scoprire!), la vera chicca da gustare è invece la splendida alchimia tra De Niro e Jean Reno, protagonisti di alcuni duetti davvero cazzuti e intensi.

Per quanto riguarda l’azione in sé, Ronin è un titolo assolutamente eccezionale, un concentrato di adrenalina e tensione con pochi pari nel suo genere. Frankenheimer sfrutta le suggestive location parigine per dare corpose lezioni di regia con sequenze al cardiopalma dal vivo in ambienti ristretti lineari, dinamiche e ben calibrate malgrado la sinergica velocità del ritmo impressa dal montaggio. Ogni tipo di artifizio digitale di post-produzione è bandito e ogni esplosione, ogni colpo sferrato nei combattimenti corpo a corpo o nelle sparatorie è tangibilissimo e viscerale. Non si potrebbe davvero chiedere di più a questo pregevole esempio di cinema classico, di mestiere, realistico in tutto e per tutto, consigliato anche a chi non è un appassionato del genere.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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